Tag: Luca Baiada
L’antifascismo non si impara sul “New York Times”
La riforma Cartabia è legge, ed è già vecchia
Discorsi ai bambini per l’infantilismo degli adulti
È il 2021, il mandato di Sergio Mattarella volge al termine, si discute sulla successione. I partiti sono afasici e condizionati da ricatti lobbistici, le formule politiche suonano vuote di contenuto e astruse nelle forme, i problemi aperti sono parecchi e il personale istituzionale è inadeguato. Ci si sta rendendo conto che, fra ruggini e veti incrociati, gli ostacoli all’elezione del nuovo presidente pesano. Facendo visita a una scuola, mentre i bimbi sventolano bandierine, Mattarella si schermisce: “Io sono vecchio, tra qualche mese potrò riposarmi”. Tutti registrano con cura e, naturalmente, se molti si rammaricano in pubblico, ci sono altri che hanno l’acquolina in bocca in privato. Però, vecchio: che parola tabù, nel linguaggio della comunicazione. Si dice anziano, magari terza età. Al limite si parla di vasta esperienza, di lungo percorso; e Berlusconi, alle elezioni politiche, strizzando l’occhio alla prudenza risparmiosa, ha detto “sono l’usato sicuro”.
Con quel vecchio, che è una franca ammissione di umanità e anche una velata rinuncia, mentre parla a chi ha la vita davanti, Mattarella si affaccia sulla scelta del prossimo titolare del Quirinale e in pratica si mette di lato. Ma quest’anno, proprio lui, diventa il nuovo presidente. C’è la possibilità che, nell’insieme, le sue funzioni come capo dello Stato durino quasi tre lustri. Non è chiaro se quei bambini abbiano ricevuto spiegazioni.
Come dare il bonus per le stragi naziste con i soldi...
Riforma Cartabia, una giustizia con la mascherina
Mostri di carta: la Russia contro “La Stampa”
“La Stampa” pubblica un articolo che gira intorno all’assassinio di Putin. Nel Paese del “qui lo dico e qui lo nego” il linguaggio dev’essere un altro, specialmente adesso. Il quotidiano torinese, poi, è tra i più schierati in favore dell’Ucraina. L’ambasciatore russo perde la testa e sporge denuncia per istigazione a delinquere e apologia di reato; il gesto diventa un’occasione mediatica. Una fotografia, non si capisce se casuale o maliziosa, ritrae il diplomatico con l’aureola vermiglia di un segnale di sosta vietata, facendone la caricatura di un’icona. La Federazione nazionale della stampa reagisce indispettita e annuncia di voler essere parte civile, ricordando che i giornalisti sono già bersagliati da azioni legali e querele-bavaglio.
Come se non bastassero settimane di violenza, migrazioni forzate, morti e distruzioni, si devono vedere scaramucce in cui il senso delle proporzioni e della realtà sembra un caro ricordo. L’attendibilità della “Stampa” era nota al popolo torinese, anche quando Torino era la Fiat e la Fiat era il movimento operaio. La chiamavano con una parola mezza sprezzante, mezza affettuosa e tutta convinta: la busiarda. La memoria della vecchia ambasciata sovietica a Roma non deve avere lasciato tracce, in quella russa di oggi; eppure è probabile che una parte del personale sia di lungo corso, e l’ambasciatore Razov è un diplomatico di carriera. Se guardassero meglio negli archivi troverebbero, per esempio, che il più famoso fra i padroni storici del quotidiano, Gianni Agnelli, partì volontario nella criminale aggressione italiana all’Unione sovietica, e lo rivendicò come un merito.
Le proposte governative sui magistrati: peste suina al palazzo di giustizia
Trent’anni da Mani pulite e dalle stragi di Capaci e via D’Amelio. Il clima di resa dei conti prende corpo, ed è facile dire che i magistrati se la sono voluta. Luca Palamara – tanto per prendere il personaggio simbolo di un brutto andazzo – in fondo è stato destituito, anche se continueranno a circolare i suoi indispensabili libri. La destituzione è una cosa invisibile, una mosca bianca, nei ranghi del potere politico, dove tutto s’accomoda. Evidentemente la posta in gioco è un’altra, e forse non bisogna neanche cercarla nei mali del correntismo e del carrierismo.
Viviamo in una strana economia fatta di sovvenzioni, prelievo diseguale, spesa arruffata. Una montagna di denaro fa promesse e compra consenso, mentre, all’ombra del suo sottobosco, l’inflazione, la speculazione e l’accaparramento, insieme con le crisi industriali irrisolte, erodono i benefici prima ancora che arrivino. Sussidi e manovre stanno creando un modello inedito, una buffa sintesi di liberismo protetto, a basso valore aggiunto, polarizzato sul cemento e sul mattone, e di un corporativismo che sembra multipartito.