Derive brussellesi: la nuova Commissione europea
La lunga e tormentata vicenda delle nomine operate da Ursula von der Leyen con lo scopo di costruire una squadra efficiente per la nuova Commissione, che si appresta a entrare in funzione nel dicembre prossimo, ha assunto negli ultimi giorni tratti grotteschi. Un politico compassato e di lungo corso come Bernd Lange (Spd), capo della commissione Commercio del parlamento europeo ha affermato che la questione delle nomine è “lentamente degenerata in un teatro dell’assurdo”. Per von der Leyen non si è trattato unicamente di essere partita con il piede sbagliato, ma dei difficilissimi equilibri da disegnare dopo una tornata elettorale che ha visto un consistente spostamento a destra.
La lotta per i posti di commissario, nelle ultime settimane, è stata accesa come non mai, e giocata intorno a patteggiamenti poco trasparenti. Il conflitto intorno alle posizioni apicali dell’Unione ha mostrato chiaramente le divisioni interne al progetto europeo, e il peso degli spostamenti di potere derivanti dai risultati della recente tornata elettorale. Lo attestano le dimissioni a sorpresa di una figura potentissima come Thierry Breton, commissario per il Mercato interno e i Servizi dal 2019 al 2024, ex ministro francese, manager di livello internazionale e responsabile nella scorsa tornata di molte decisioni importanti. Breton, furibondo, si è dimesso all’ultimo momento, creando una situazione più che imbarazzante per la presidente della Commissione.
L’attacco israeliano in Libano
“Battere Hamas senza diventare Hamas”. Così qualche giorno fa, in un’intervista rilasciata a “La Stampa”, Eshkol Nevo, noto scrittore israeliano, manifestava la sua preoccupazione legata al perdurare del conflitto in corso tra l’organizzazione islamica palestinese e l’esecutivo dello Stato ebraico presieduto da Netanyahu. Uno scontro, militarmente impari, che ha provocato, all’indomani della strage di israeliani del 7 ottobre, oltre quarantamila morti tra i palestinesi e migliaia di feriti a Gaza, diventata un cumulo di macerie. Ma l’intellettuale, noto per la sua sensibilità nei confronti della questione palestinese, non ha capito, o comprensibilmente ha rimosso, che il suo Paese, suo indiscusso punto di riferimento esistenziale (“non ho altro posto dove andare oltre Israele, qui c’è il mio futuro e quello della mia famiglia”, ha detto nell’intervista), è diventato Hamas non solo durante quest’ultimo anno, ma ormai da tempo, e che non ha nessuna intenzione di tornare a essere il Paese dei “due popoli due Stati”, come previsto dagli accordi di Oslo del 1993.
Armi e petrolio: i legami dell’Italia con Israele
Che l’Italia commerci regolarmente con Israele non è un segreto, mentre, nell’ultimo anno, molti sono i Paesi che hanno deciso di ridurre i loro rapporti con “l’alleato mediorientale” a causa del genocidio in atto sui territori palestinesi. Giovedì 12 settembre, al Senato, si è discussa l’interrogazione sull’esportazione di armamenti verso Israele e sulla licenza di sfruttamento di giacimenti di gas al largo delle coste di Gaza assegnata a Eni. Durante l’incontro, la senatrice Anna Bilotti (5 Stelle) ha chiesto che sia sospeso il commercio di armi come richiesto dal Consiglio generale dell’Onu, e sia considerata illegale l’esplorazione legata alle risorse energetiche in acque palestinesi.
Una sinistra fra padre e figlia
Marco Revelli, nella sua lunga storia di intellettuale e documentatore delle vicissitudini della sinistra italiana, ha sempre avuto un’aura di pacata affabilità, anche nelle contrapposizioni più roventi. Una lucida dolcezza, quella che caratterizza il suo sguardo, che si incrocia nei passaggi più complessi di quella particolare famiglia politica che è specificamente la sinistra torinese. La culla dei grandi partiti operai, sulla scia della grande fabbrica automobilistica, ha indotto – da Gramsci a Gobetti, da Bobbio a Foa, e ancora da Novelli a Bertinotti – una società intellettuale potentemente immersa nei processi di trasformazione socio-industriale.