Caso Almasri: il ritorno della “mummia” Minniti
Ci sono figure politiche che, col trascorrere del tempo, assumono tratti quasi caricaturali. E questo non perché si trasformino o cambino le loro opinioni, ma proprio perché le conservano immutate anche in situazioni completamente diverse rispetto a quelle che le avevano generate. Lo sforzo di rimanere uguali a se stessi le deforma, ne evidenzia gli aspetti che una volta rimanevano celati. Si tratta, probabilmente, del “complesso della mummia” di cui parlava il critico cinematografico André Bazin: in pratica della necessità psicologica che spinge l’uomo a cercare di “salvare l’essere mediante l’apparenza”, perpetuando atteggiamenti che gli diedero in passato notorietà.
Questa la prima impressione che si ricava dal ritorno clamoroso dell’ex ministro degli Interni, Marco Minniti (di cui vedi qui un ritratto), con una intervista sull’affare Almasri rilasciata al “Corriere”, cui hanno fatto seguito altre dichiarazioni del medesimo tenore nel corso della trasmissione radiofonica “Zapping”. Le argomentazioni di Minniti, che sostiene con vigore le scelte di Meloni, perfino accusata tra le righe di non essersi finora difesa adeguatamente, sono in buona parte quelle note, pubblicamente espresse già all’epoca dello scellerato patto con la Libia nel 2017. Si possono ridurre a tre: in primis il riferimento a una superiore ragion di Stato, per cui la Libia sarebbe una “questione di interesse nazionale”, a causa di una altrimenti insostenibile pressione migratoria; in secondo luogo, l’Africa è un crocevia di terroristi da tenere a bada, cui viene ad aggiungersi – terzo elemento – la nuova questione economico-geopolitica: “Senza il gas del Nord Africa non sarebbe stato possibile chiudere i rubinetti con la Russia”.
La Libia della “peggio gioventù”
Appena sei mesi fa, l’Italia ha rischiato un altro incidente “diplomatico” con la Libia del generale Khalifa Haftar. Tra il luglio e l’agosto del 2024, suo figlio Saddam è stato trattenuto, identificato, interrogato all’aeroporto di Capodichino (Napoli). Su di lui c’era una segnalazione spagnola che invitava a controllarlo, seguirlo. Era sospettato da Madrid di traffico di armi. Furono, quelle, ore di panico italiano. Proprio lui che era diventato un punto di riferimento, lui che riusciva a tenere ben compressa la valvola di sfogo della immigrazione irregolare verso l’Italia, seppure avendo un alto tariffario per ogni immigrato in meno diretto sulle nostre coste; per una incomprensione di un “atto dovuto”, di cui l’Italia avrebbe fatto volentieri a meno, rischiava di diventare il casus belli, insomma lo “sgarro” nei confronti della Cirenaica del generale Haftar. Sei mesi dopo, dall’Interpol che ha sede in Francia, parte il mandato d’arresto della Corte penale internazionale nei confronti del “torturatore”, “stupratore”, “sequestratore” e “assassino”, il generale Najeem Almasri.
Trump pazzesco su Gaza
Hanno scioccato il mondo le dichiarazioni di Donald Trump sul futuro di Gaza. Seduto alla Casa Bianca, dinanzi a un camino acceso, ha raccontato – accanto a un Benyamin Netanyahu impettito e sorridente – quello che secondo lui sarà il futuro dei palestinesi della Striscia. Dovranno abbandonare le proprie case e la propria terra per lasciare agli Stati Uniti lo spazio e il tempo di costruire una “riviera”, un paradiso turistico per “tutte le persone della zona”. Washington si prenderebbe addirittura l’onere, dimostrando tutta la sua magnanimità, di bonificare le centinaia di “pericolose bombe inesplose” disseminate nella Striscia. Bombe che, per la stragrande maggioranza, riportano il marchio “made in Usa”, come denunciato dal servizio del programma televisivo statunitense della Cbs, “60 Minutes”. Trump e i suoi funzionari l’hanno presentata come un’operazione umanitaria di soccorso agli “sfortunati” abitanti di Gaza, che si sarebbero ritrovati, per un tiro meschino della sorte, a vivere in un luogo di guerra e di morte.
Minerali strategici: corsa neocoloniale in Africa
Una decina di giorni fa, la conquista di Goma (vedi qui), nel nordest della Repubblica democratica del Congo, in una regione ricchissima di cobalto, da parte del gruppo M23 appoggiato dal vicino Ruanda, ha confermato una volta di più il ruolo che hanno i minerali strategici nella nuova corsa all’Africa. La transizione energetica (i pannelli solari, le pale eoliche, i veicoli elettrici, così come i touch screen e le connessioni tra sistemi) porta in primo piano la necessità di procurarsi alcuni tipi di minerali, di cui l’Africa è particolarmente dotata. Così la domanda mondiale è in rapido aumento, mentre il continente non ha ancora sfruttato tutte le sue potenzialità.


