Impasse francese
Non si sa quale coniglio possa ancora uscire dal cappello di Macron, ma è piuttosto improbabile che un presidente che ha preferito appoggiarsi a destra nominando Barnier, tiri fuori adesso un nome di sinistra. La cosa più drammatica, per lui, sarebbe quella di doversi rimangiare per intero la sua “politica dell’offerta”, che sarebbe quella di favorire i ricchi: quindi forse cercherà qualcuno capace di rimettere in sesto le finanze francesi con qualche taglio al welfare, ma senza disturbare troppo i ceti abbienti con una manovra fiscale pesante. Barnier però è caduto proprio su una legge di Bilancio che era più un colpo al cerchio (cioè tagli) che alla botte (tasse); e inoltre perché, privo com’era di una maggioranza, ha fatto ricorso al famigerato codicillo della Costituzione, il 49.3, che permette al governo di passare senza un voto, nella speranza che i lepenisti non avrebbero poi dato il loro assenso a una mozione di sfiducia presentata dalle sinistre. Ma Marine Le Pen ha i suoi guai (un processo che la vede imputata di détournement di fondi pubblici, che potrebbe concludersi con una condanna alla ineleggibilità), ed è perciò interessata a stringere i tempi, oltre che attenta a non perdere la sua componente elettorale “sociale” lasciando passare una legge di Bilancio antipopolare.
Così ora la palla è ritornata a Macron. La domanda che ci si pone è quanto ancora potrà durare senza dimettersi. Ricordiamo che, in virtù della Costituzione, non può più sciogliere l’Assemblea nazionale fino alla prossima estate. Nel caso di una elezione presidenziale anticipata, invece, la situazione si azzererebbe, e la Francia potrebbe votare contestualmente per un nuovo parlamento e vedere poi come si mette.
Francia: Africa addio
Il macronismo è morto non solo a Parigi. Aveva già cominciato a morire in Africa, una morte lenta per ciò che rappresenta la presenza militare nel continente. Non è detto che sia un male. Gli ultimi colpi – come ci riferiscono le cronache di questi giorni – sono venuti da due tradizionali amici e alleati della Francia: il Ciad e il Senegal. Il 28 novembre, il ministro degli Esteri del Ciad, al termine di una visita del suo omologo francese, annuncia la fine della collaborazione militare con Parigi. Senza motivazioni particolari, il ministro afferma: “La Francia deve ormai considerare che il Ciad è cresciuto e maturato, che il Ciad è uno Stato sovrano molto geloso della sua sovranità”. Lo stesso giorno il presidente del Senegal dichiara, in un’intervista a un giornale francese, che “ben presto non ci saranno più soldati francesi” nel Paese.
Siria, tra islamisti e curdi è guerra aperta
È durata poco in Siria l’alleanza, se così possiamo chiamarla, tra i gruppi jihadisti della Hayat Tahrir al-Sham (Organizzazione per la liberazione del Levante) e le milizie curde (vedi qui). Sostenute dagli Stati Uniti, queste ultime sono però invise ai turchi – da qui la rottura prevedibilissima del fronte – che considerano l’Ypg e l’Ypj (rispettivamente, Unità di protezione popolare e Unità di protezione delle donne) emanazioni del Pkk (Partito dei lavoratori del Curdistan) del leader Abdullah Ocalan, in carcere in Turchia dal 1997, dopo il fallito tentativo di chiedere asilo politico in Italia. Il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, tenterà ora di convincere il nuovo inquilino della Casa Bianca, Donald Trump, ad allentare gli aiuti ai curdo-siriani e dunque al Rojava (Amministrazione autonoma della Siria del Nord-est). Si tratta di quasi un terzo della Siria, circa 55.000 chilometri quadrati per cinque milioni di abitanti – un esempio che non fa dormire sonni tranquilli ad Ankara, perché rappresenta un embrione di un possibile, quanto improbabile, futuro Stato curdo.
Se la Volkswagen esplode
“Pronti allo sciopero”, recita l’inequivocabile striscione davanti alla fabbrica di Zwickau, dove si è avviata l’astensione dal lavoro. Quasi tutta la Volkswagen, nove sedi su dieci, è da lunedì sul piede di guerra. I lavoratori degli stabilimenti tedeschi sono entrati compattamente in sciopero per bloccare i licenziamenti annunciati dalla casa automobilistica, che minaccia di mandare a casa migliaia di operai, di ridurre i salari del 10%, e addirittura di chiudere definitivamente alcune fabbriche. La crisi che attraversa la produzione automobilistica europea sta picchiando duro, e la proprietà sta progettando di scaricare sulla forza lavoro le perdite e il crollo delle vendite.