A che punto le guerre
Sarebbe stranoto che le guerre si facciano ponendosi degli obiettivi, e magari anche un termine temporale entro cui raggiungerli. Ma da un certo momento in poi – diciamo, a voler far data, dall’attentato alle Torri gemelle del 2001 – sembra che sia codificato un altro tipo di conflitto bellico, quello della “guerra infinita”. Qualcosa che non scaturisce da un proposito realistico, e il cui prototipo, se vogliamo, fu quello dell’invasione dell’Afghanistan da parte statunitense e occidentale. Si sarebbero dovuti sgominare i talebani, costruendo, per la prima volta in quel Paese, uno Stato nazionale democratico o almeno con una parvenza di democrazia – ma com’è terminata quella guerra? Con il ritorno dei talebani, con l’abbandono delle donne e degli uomini che avevano creduto in una prospettiva “occidentale”, allo stesso regime da cui erano usciti, a costo di tanti lutti e distruzioni, vent’anni prima.
Si può parlare quindi di una trasformazione della guerra? Essa è certo sempre la stessa sotto molti aspetti, con i bombardamenti e le ferite inferte alla popolazione civile, costretta a fuggire o a lasciarci le penne, con gli insensati batti e ribatti (oggi ben visibili in Ucraina, dove le controffensive degli uni rimandano alle offensive degli altri, in un circolo vizioso). Ciò che appare diverso è la scelta degli obiettivi. Hitler, per folle che fosse il suo progetto, voleva il dominio sull’intera Europa. Nei primi mesi, e fino a tutto il 1940, parve che quell’obiettivo fosse a portata di mano: cosicché Mussolini ruppe gli indugi e condusse l’Italia in guerra per potersi sedere al tavolo della pace. Calcolo sbagliatissimo, eppure non privo di una parvenza di realismo.
Il senso del governo Meloni per le armi
“Regimi autoritari, dittature e Paesi in guerra”: è questa una descrizione sommaria di una parte dei destinatari delle esportazioni italiane di armamenti nel mondo, secondo la rivista dell’Archivio Disarmo (“Iriad Review”, Studi sulla pace e sui conflitti 06/2020, 30 anni di 185: dal commercio senza vincoli all’export del 2020). Come sappiamo, pecunia non olet. E ci vorrebbe tanta fantasia per immaginare che dal 2020 a oggi la situazione sia migliorata, da questo punto di vista, con l’allargamento e l’inasprimento di conflitti storici, come quello russo-ucraino o quello mediorientale. Eppure il governo italiano, tra le priorità della sua azione, avverte l’esigenza di adeguare la normativa vigente per renderla “più rispondente alle sfide derivanti dall’evoluzione del contesto internazionale”. È quanto si legge nella relazione che accompagna il disegno di legge di iniziativa governativa, primo firmatario il ministro degli Esteri Antonio Tajani, dal titolo “Modifiche alla legge 9 luglio 1990, n.185, recante nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”, agli atti del Senato (ddl n. 855), che sta compiendo il suo iter nella commissione Esteri e Difesa di palazzo Madama.
“Sbilanciamoci!”, libro dei sogni o manovra economica alternativa?
La “contro-finanziaria” presentata da “Sbilanciamoci!” – promossa da una cinquantina di associazioni della società civile, reti ed enti del Terzo settore impegnati da anni (nasce nel 1999, e la prima contro-manovra risale al 2000) nell’elaborazione di proposte di politica economica e fiscale alternative – è ancora una volta un’altra cosa rispetto alle scelte sull’utilizzo delle risorse pubbliche alle quali siamo abituati, e che ormai sembrano “oggettive” e immodificabili. “Sbilanciamoci!”, facendo fede al significato del suo stesso nome, propone un approccio completamente diverso al problema della gestione delle risorse pubbliche e del controllo del debito. Si tratta, in sostanza, di una vera e propria legge di Bilancio alternativa descritta dai detrattori come “il libro dei sogni”, ma che in realtà – anche dal punto di vista tecnico – si potrebbe realizzare concretamente se solo ci fossero le volontà politiche. Tutte le proposte sono dotate di copertura finanziaria.
Dieci anni dopo Mandela, il Sudafrica si interroga
Il Sudafrica ha ricordato con misura i dieci anni dalla scomparsa (5 dicembre 2013) del suo eroe nazionale e liberatore dall’apartheid, Nelson Mandela o “Madiba”, come veniva chiamato dal suo clan. Non c’è stato alcun evento ufficiale. Mandela è stato commemorato in una cerimonia a Johannesburg, con l’intervento del premio Nobel per la pace 2014, Malala Yousafazi, l’attivista pachistana che si batte per l’educazione per tutti, e in particolare per le bambine. La famiglia ha deposto mazzi di fiori ai piedi della statua di Mandela, nella capitale Pretoria, dove si è vista la presenza di alti dirigenti di Hamas. Mandela è sempre stato un grande sostenitore della causa palestinese, e non aveva certo dimenticato le complicità di Israele con il regime dell’apartheid. Il presidente sudafricano, Cyril Ramaphosa, già leader del sindacato e compagno di lotta di Mandela, non ha pronunciato alcun discorso ufficiale.


