Un’altra rigenerazione urbana è possibile
Ci sono parole che, col tempo, assumono un significato completamente nuovo, e che vanno a volte a soppiantare termini utilizzati in precedenza. È il caso di “rigenerazione urbana” che lentamente è andato sostituendo parole e concetti quali “riuso”, “riqualificazione”, “recupero”, ampliandosi progressivamente, fin quasi a inglobare l’intero ambito dell’urbanistica tradizionale. Oggi se ne parla ovunque. Dopo le vicende milanesi, il tema è diventato di attualità politica, non più solo una questione tecnica, ritenuta a lungo appannaggio principalmente di urbanisti, architetti e sociologi. Che cos’è la rigenerazione urbana? La definizione non è facile, data appunto l’espansione quasi ameboidale del concetto: i tentativi di definirla risultano per lo più inadeguati, sfocati, come recita un bel libro recente di Arturo Lanzani sul tema (Rigenerazione urbana e territoriale al plurale. Itinerari in un campo sfocato, edito da Angeli).
La rigenerazione presenta, fin dai suoi albori, due tratti contrastanti: da una parte, è intesa come recupero di patrimonio, conservazione e restauro; dall’altra, guarda a una tradizione anglosassone di renewal in chiave sociale, inteso come insieme di interventi mirati a migliorare “i valori economici, sociali e culturali di un determinato territorio”, secondo quanto recita per esempio la legge regionale della Puglia del 2008, che fa suo lo spirito di questa seconda interpretazione. Insomma, fin dall’inizio sono presenti due corni della questione: da un lato c’è l’intervento conservativo-rigenerativo sul patrimonio costruito esistente, dall’altro il benessere di chi vive sui territori interessati dai processi. Come dire: non c’è vera rigenerazione in assenza di un miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti, e le ristrutturazioni devono essere bilanciate da un lascito di servizi e strutture pubbliche.
Quei migranti che è impossibile fermare
Se tutto filerà liscio, la trovata pubblicitaria cinica e crudele del governo Meloni, i due centri detentivi per immigrati irregolari in Albania, comincerà a funzionare non prima del 1° luglio del 2027, un anno dopo l’entrata in vigore del Patto sulla migrazione e asilo che il parlamento e il Consiglio europeo dovranno approvare, con una maggioranza qualificata, di almeno quindici dei ventisette Paesi dell’Unione. E se funzioneranno i due centri diventeranno tutt’altra cosa rispetto al progetto iniziale. Sembrava che i destini della sicurezza in Italia, il bastone da roteare per impedire l’invasione “barbarica” dei “clandestini”, dopo l’impraticabile blocco navale proposto in campagna elettorale, sarebbe stata l’apertura dei centri di rimpatrio in Albania, dove trasportare i salvati in mare da navi italiane.
Per un’Europa sociale e politica
[Se si decontestualizza un Manifesto come quello di Ventotene, gli si può far dire qualcosa di diverso da quelle che erano le sue intenzioni; ciò non toglie, tuttavia, che si tratti di un testo effettivamente datato. Scrivendolo nel pieno della Seconda guerra mondiale, quando sembrava che tutto stesse crollando, i suoi estensori si collegavano a una tradizione rivoluzionaria che è poi la stessa in cui si inscrivevano i Mazzini e i Garibaldi, che sarebbe oggi facile far passare per “terroristi”. L’idea di un periodo di dittatura rivoluzionaria, che troviamo nel testo, è la stessa sostenuta da Garibaldi “per fare presto e bene”. Tutto il gruppo che di lì a poco darà vita al Partito d’azione, e che nella Resistenza svolse un ruolo non indifferente, era vicino a quella prospettiva, che potremmo definire neorisorgimentale. Vittorio Foa ricordava di essere stato, in certi momenti della sua complessa biografia politica, molto attratto dall’idea “garibaldina”. L’Europa sarebbe stata socialista, prima ancora che federale, ma di un socialismo diverso da quello sovietico: lo Stato centrale, in generale lo statalismo, erano la “bestia nera” di una visione a tinte fortemente libertarie (si potrebbe dire proudhoniane), che fu detta anche liberalsocialismo. Il problema, però, come emerse chiaramente dalle elezioni per la Costituente del 1946, con il misero risultato di poco superiore all’1% conseguito dal Partito d’azione, era che il rapporto di massa di quel gruppo era inesistente. Il Partito socialista, dato per spacciato dagli azionisti, pur con le sue contraddizioni interne, arrivò primo tra i partiti della sinistra, seguito a ruota dai comunisti. Un altro dramma del socialismo italiano si era consumato. E i Foa e gli altri (non Altiero Spinelli, che però, molti anni dopo, fu eletto parlamentare europeo come indipendente nelle liste del Pci) non poterono fare altro che adeguarsi alla situazione, distante dai loro ardori giovanili, di una Repubblica governata dalla Democrazia cristiana e di un’opposizione comunista e socialista per un tratto non breve allineata allo stalinismo – R. G., 20/3/2025].
In Turchia la stretta repressiva del Sultano
Il cappio di Erdogan si stringe sempre più intorno al collo degli oppositori politici. L’arresto del sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, è la punta dell’iceberg di una lotta senza quartiere del presidente contro tutti coloro che minano il suo potere, presente o futuro. Imamoglu ha infatti dimostrato più volte di essere capace di unire le opposizioni e rappresentare un’alternativa reale all’egemonia di Erdogan. Lo ha dimostrato nelle elezioni a sindaco di Istanbul del 2019, quando il presidente turco provò a sovvertire il risultato, facendo invalidare il voto dalla commissione elettorale. Il leader dell’Akp, che di fatto governa la Turchia dal 2003, ha cominciato la sua carriera politica proprio da Istanbul, diventando sindaco della città più importante del Paese, nel 1994. E sa bene che Imamoglu ha le carte in regola per riuscire a percorrere la stessa via. Cosa di cui ha dato nuovamente prova nel 2024, quando è stato rieletto sindaco con il Partito popolare repubblicano (Chp). Nelle elezioni dello scorso anno, l’Akp è precipitato ai minimi storici, e Imamoglu è stato internazionalmente proclamato l’avversario diretto di Erdogan, l’unico eventualmente in grado di sconfiggerlo alle elezioni del 2028, mettendo così fine a una leadership che dura da ventidue anni.


