Banche, valvassori e grande finanza
Il governo Meloni non ama perdere. Respinto (per ora) l’assalto del Monte dei Paschi di Siena, e in particolare delusi gli appetiti dell’amico Caltagirone su Mediobanca, dopo il no del salotto buono della finanza italiana, gli uomini della premier sono adesso a caccia di alleati di peso per riaprire i giochi della marcia di Roma su Milano – come l’ha definita il sindaco Sala – e di finanziatori per una nuova grande stagione di privatizzazioni. Per privatizzare pezzi importanti dello Stato (prima di tutto poste e ferrovie), e per appoggiare gli amici scalatori di banche, conquistando magari anche le Generali, salvadanaio del risparmio degli italiani, servono soldi (tanti) e agganci con i big della finanza. Fin qui – direte – niente di male. Il governo dei sovranisti è coerente con le promesse elettorali, e sta cercando di fare il bene della “nazione” e dei suoi sudditi. Eppure, a guardare bene i fatti, si capisce qualcosa di più, e si svela l’inganno di una falsa rappresentazione.
Per la propaganda spicciola e per i tanti “strilloni” alle dipendenze del governo, Giorgia Meloni e il suo ministro, Giancarlo Giorgetti, sarebbero dei geniali protagonisti di grandi mosse tattiche, volte ad aprire i rubinetti dei finanziamenti esteri in favore dell’Italia. Bisogna attirare investitori nel nostro Paese. Così gli incontri a palazzo Chigi e a via Venti Settembre, con i capi dei grandi fondi finanziari, sono ammantati di un’aria di segretezza artificiale e, al tempo stesso, venduti ai media e ai social con messaggi rassicuranti verso l’opinione pubblica. Parliamo con i “padroni del mondo” per i vostri interessi – fanno sapere. Una scena che si è ripetuta più volte dopo gli incontri di Meloni con Musk e con Larry Fink, amministratore delegato di uno dei tre fondi finanziari più importanti del mondo, BlackRock. Il film si è ripetuto nei giorni scorsi, con il ministro Giorgetti che ha incontrato di nuovo i vertici del fondo americano guidati dal presidente Rob Kapito. Alle agenzie di stampa finanziarie, il ministero dell’Economia ha fatto sapere che si è trattato solo di un incontro amichevole per festeggiare il venticinquesimo anno di presenza di BlackRock in Italia, dove il fondo, che gestisce un asset di oltre 11,5 trilioni di dollari, è presente nei pacchetti azionari più importanti di Piazza Affari, tra cui lo stesso Monte dei Paschi di Siena. Si è trattato di un incontro in agenda da tempo – dice l’ufficio stampa. Un impegno istituzionale di routine, un gesto di cordialità nei confronti degli amici americani.
Ancora sul caso Almasri: l’ipocrisia dell’Italia
Su “terzogiornale” del 10 febbraio, Gian Giacomo Migone (vedi qui) ha giustamente denunciato la cattiva coscienza di quella parte dell’opposizione che continua a non ammettere il vero problema alla base della mancata consegna del criminale libico alla Corte penale internazionale: il “patto scellerato” concluso a suo tempo dall’ex ministro Pd del governo Gentiloni, Marco Minniti, con le autorità libiche, patto che ha permesso e continua a permettere la detenzione di migliaia di migranti in campi di prigionia che, a quanto pare, sarebbe meglio chiamare “campi di tortura”. Questo silenzio è perfettamente funzionale alla politica di Meloni, che, come scrive Migone, “è riuscita a trasformare il caso Almasri in una disputa con il potere giudiziario” e “non intende rinunciare alla paternità (o alla maternità) di una politica spregiudicatamente ostile a ogni forma di immigrazione”.
Elezioni in Ecuador: “pareggio tecnico” al primo turno
Daniel Noboa e Luisa González si contenderanno la presidenza dell’Ecuador in un ballottaggio il prossimo 13 aprile, dopo il “pareggio tecnico” verificatosi nelle elezioni del 9 febbraio. Con quasi la totalità delle schede scrutinate, entrambi i candidati raggiungono il 44% dei voti, con Noboa avanti di qualche decimale. I due si erano già affrontati nelle elezioni del 2023, quasi quindici mesi fa, quando Noboa era stato eletto per terminare il mandato del suo predecessore, Guillermo Lasso, dimessosi per evitare l’impeachment, diventando il più giovane presidente nella storia del Paese (vedi qui). González ha celebrato quella che ha descritto come una “grande vittoria”, dato che il responso delle urne le ha assicurato un risultato migliore del previsto. Il voto ha premiato una campagna che ha scelto di parlare ai quartieri più poveri della costa, e questi l’hanno ricambiata regalandole una prestazione storica. Ha ottenuto il miglior risultato per il suo movimento, in un primo turno, da quando Rafael Correa ha lasciato la presidenza otto anni fa.
Che cos’è la trumpizzazione?
Si tratta forse di un aspetto non messo a fuoco: sotto un profilo nient’affatto secondario, la trumpizzazione degli Stati Uniti consiste nel loro assumere un volto da Paese dell’America latina. Prima di Trump, infatti (la cui figura, ricordiamolo, ha dei punti di contatto con quella di Silvio Berlusconi, non foss’altro che per la loro comune provenienza da un impero imprenditoriale costruito a partire dal mattone), la parte del caudillo era recitata da “uomini forti” tipicamente latinoamericani. Parliamo di dittature più o meno velate (talora anche “di sinistra”, se vogliamo) scaturite dall’implosione, per così dire, di un sistema presidenzialista in direzione di forme autoritarie. Il peronismo, che al riguardo può essere assunto come una sorta di idealtipo, altro non era che questo (al netto della presenza femminile di Evita, che ne rendeva più complessa e affascinante l’immagine): il carisma di un uomo che diveniva il protettore della nazione. Anche nel suo caso per via elettorale, non con un golpe.


