Ma l’Italia di chi è?
Musk non è cattivo. Ha le sue idee, e in democrazia ognuno è libero di esprimere le proprie opinioni, anche quando si tratta di scegliere da quale parte stare nella competizione elettorale di altri Paesi. Quindi l’appoggio (anche finanziario) di Elon Musk all’ultradestra tedesca non deve essere stigmatizzato, mica vogliamo essere antidemocratici? Si può sintetizzare così uno dei messaggi principali lanciati dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nel corso della sua lunga e surreale conferenza stampa, la quarta in due anni di governo. La premier ha perfino fatto finta di non vedere il terremoto politico che sta crescendo in Germania, in vista delle elezioni di febbraio. Qualche ora prima della diretta sulla piattaforma di Musk, tra l’uomo più ricco del mondo e la candidata di Alternative für Deutschland, Alice Weidel, il Bundestag aveva fatto sapere che sta esaminando se il sostegno offerto da Musk possa costituire un finanziamento illegale. Secondo la legge, che vieta le donazioni provenienti da Paesi extra-Ue, la pubblicità elettorale di terzi è infatti considerata una donazione al partito.
La nuova politica è fatta così. Chi comanda determina il racconto e riscrive la storia a piacimento, mettendo le dinamiche reali nel retropalco. Con questo modulo della comunicazione, si può dire tutto e il contrario di tutto (Silvio Berlusconi in confronto era un giovane seminarista ingenuo). Se le colpe sono dell’Europa e di Merkel, che ha aperto all’immigrazione e alle politiche verdi, è quasi banale affermare che Hitler era pericoloso non in quanto nazista sterminatore di ebrei, ma in quanto comunista. L’asticella è stata alzata a livelli impressionanti, e che forse non avevamo previsto, avendo perso troppo tempo dietro ad apparenze e false questioni. Invece di studiare il nuovo capitalismo e di raccontare i poteri forti reali, anche la sinistra italiana si è persa in grovigli inutili. Invece di studiare il potere emergente e dilagante di uno come Musk, ma anche delle Big Three (BlackRock, Vanguard, State Street), abbiamo discusso della contesa tra Conte e Grillo. Ora siamo spiazzati, balbettiamo qualcosa sui satelliti, che in fondo ci servono e che Musk può fornirci subito senza aspettare i tempi biblici della tecnologia europea, che potrebbe fornirli solo nel 2035. Priorità, di questi tempi, è quella di recuperare il tempo perduto, a cominciare dalla capacità di fare analisi. Capire che cosa diavolo sta succedendo.
Droni: perché la Turchia non è un buon partner commerciale
“Bayraktar”, dal suono onomatopeico di uno scoppio, è il nome di un drone utilizzato in diverse situazioni belliche: in Etiopia, nel Nagorno-Karabakh, nella guerra russo-ucraina, e a più riprese dall’esercito turco contro le forze curde. Questo piccolo velivolo, dal costo di circa cinque milioni di dollari, comandato da remoto e capace dei peggiori stermini, porta il nome di Ozdemir Bayraktar, fondatore della Baykar, la compagnia turca che ha recentemente acquisito la Piaggio Aerospace. L’azienda, con sede a Başakşehir in provincia di Istanbul, è stata fondata nel 1984 – data di orwelliana memoria – e si occupa di produzione di armi che permettono di uccidere senza sporcarsi le mani. Fabbrica, infatti, la sistemistica per la difesa di ultima generazione, che sfrutta l’intelligenza artificiale e i droni a pilotaggio remoto da guerra. Il direttore tecnico di Baykar è Selcuk Bayraktar, figlio del fondatore e genero del presidente turco Erdogan. Avendo studiato al prestigioso Mit (l’Istituto di tecnologia del Massachusetts), Selcuk Bayraktar è arrivato a progettare uno dei prodotti di punta dell’azienda, il drone Tb2: il primo hunter-killer (“cacciatore-assassino”) di costruzione interamente turca, adatto per la sorveglianza a medie altitudini.
L’Ecuador verso le elezioni
Nel corso dell’anno che è appena cominciato, sono cinque i Paesi latinoamericani che saranno chiamati alle urne per eleggere presidenti e/o rinnovare i rispettivi parlamenti. Primo sarà l’Ecuador, le cui elezioni generali si svolgeranno il 9 febbraio, con un eventuale ballottaggio per la carica di presidente il 13 aprile. Seguirà la Bolivia, il 17 agosto, con ballottaggio per la massima carica dello Stato, se ciò si rendesse necessario, il 19 ottobre. Con qualche chance da parte della destra, viste le divisioni in seno al Movimiento al socialismo, di ritornare al governo. Quindi l’Argentina, che rinnoverà parte del parlamento il 26 ottobre, in una tornata elettorale particolarmente importante per La libertad avanza del presidente Javier Milei, per il quale l’appuntamento costituisce una sorta di referendum popolare sul suo operato.
Zone rosse e dintorni. La governance della miseria
Che le zone rosse fossero venute per restare, fu subito chiaro ai malcapitati protagonisti delle manifestazioni anti-G8 del 2001. Parve strano, allora, che una città europea potesse essere materialmente blindata; credemmo che non fosse possibile isolare Genova in zone ermeticamente chiuse e non comunicanti, imporle una camicia di forza – ma ci sbagliavamo, e quei giorni drammatici ce lo mostrarono con asprezza. Così cancelli, grate, no-go areas, da apparati di disciplinamento – tipici di città del Sud del mondo, rigidamente divise in città dei ricchi e città dei poveri – fecero la loro comparsa anche da noi, senza destare più di tanto indignazione o critiche, e soprattutto osservazioni riguardo alla loro legittimità.