
Trump appare vincente. In pochi giorni le gaffe e l’imbarazzo per le sue contraddizioni si sono rovesciati in una serie di successi. La guerra all’Iran rimane incerta nell’esito militare, ma sicuramente non è stata una sconfitta per la Casa Bianca, che rafforza il suo sodalizio con Netanyahu senza pagare alcun prezzo politico. Certo, una parte dell’America ribolle. Ma l’opposizione sembra ancora lontana da quella pancia popolare che rimane saldamente legata al presidente sovranista.
Sulla scena internazionale si susseguono risultati che il tycoon può vendere come successi. La decisione di esentare la Silicon Valley dalla minimum tax – l’imposizione fiscale che doveva colpire i lauti profitti realizzati dalle imprese digitali – è un’amarissima beffa per l’Europa. Avevamo pensato una norma per ridurre l’accaparramento di risorse da parte dei monopoli digitali americani, e poi li abbiamo esentati da questa norma. Nemmeno le “sette sorelle” del petrolio – al tempo del loro massimo potere, negli anni Sessanta – avrebbero potuto concepire un tale privilegio. Siamo a una resa senza condizioni. Come i palestinesi e gli iraniani, sotto le bombe.
Il mercato si sta rivelando ormai del tutto indifferente alla concorrenza e anche alla democrazia. Trump, nel pieno dell’ebbrezza, sta persino sfidando la sua base elettorale più militante, il movimento Maga, con l’ultima impennata autocratica. È esattamente quel meccanismo di censimento e controllo delle opinioni dei cittadini che il regime cinese ha avviato qualche anno fa. La massima approssimazione al “grande fratello” che in Occidente suscita ripulsa e sarcasmo, ma che trova ora piena cittadinanza nel cuore del Paese guida del capitalismo. Si tratta di un gigantesco data base, in cui dovrebbero confluire i dati di tutti gli americani: sia quelli amministrativi (sanità, scuola, fisco) sia quelli comportamentali (social, opinioni, dichiarazioni). A rendere ancora più inquietante il disegno, è il soggetto a cui è stato affidato: Palantir, la demoniaca impresa digitale di Peter Thiel, il massimo teorico dell’autoritarismo bianco sovranista, che ha incarnato l’idea di una nuova mistica visione del potere degli algoritmi, arrivando fino a scavalcare la morte in un delirante progetto di transumanesimo.
Ora, però, il cuore del contrasto fra Trump e i suoi supporter più devoti, come Steve Bannon, è proprio sul ruolo dello Stato. Bannon, fedele all’ispirazione anarco-capitalista, chiede di procedere alla riduzione di ogni vincolo pubblico, lasciando mano libera ai capitalisti; mentre Trump mira a un apparato centrale che renda permanente il suo potere.
Questo è il vero fulcro del nuovo scenario ideologico della destra: l’irreversibilità del potere. Siamo a un’interpretazione del governo che sfida ormai chiaramente la legge e le norme costituzionali, rendendo i governanti sovranisti imputabili di gravi reati. Questo vale negli Stati Uniti, è accaduto in Brasile, sta accadendo in Argentina – e potrebbe accadere in Francia o Germania, nel caso di un successo delle liste dell’ultradestra. E soprattutto: è in divenire nel nostro stesso Paese.
Trump non intende certo restaurare la supremazia dello Stato, quanto imporre un proprio potere personale, addirittura dinastico, come ha appena dichiarato il figlio, che fa sapere che si sta preparando a succedere al padre quando, in un tempo lontano, dovrà inevitabilmente abbandonare la prima linea. Una destra senza alternanza è l’orizzonte che si profila. Con lo stravolgimento di ogni meccanismo costituzionale imposto da un ampio consenso popolare. Dovrebbe essere questo, allora, il focus per una sinistra che sembra interessata, invece, solo a marginali battaglie “estetiche” sui diritti civili. Perché le forze più competitive e avanzate dello stesso capitalismo moderno hanno perso di vista ogni funzionalità della democrazia nello sviluppo?
Eppure, proprio le tecnologie digitali hanno un’intima natura decentrata, in cui la partecipazione attiva di utenti e comunità è essenziale per salvaguardare l’efficienza e l’efficacia del sistema. Perché si sceglie una deriva autoritaria e oscurantista? La ragione sta proprio in un’insidia che viene dallo sviluppo tecnologico, che, se supportato politicamente, renderebbe invece meno stabili e rigidi i poteri finanziari e istituzionali, costringendo imprese e politica a misurarsi con forme di democrazia diretta e istantanea. Un progresso senza libertà – è la formula della destra, che sembra schiacciare la sinistra in un luddismo senza progresso. Sottrarsi a questa tenaglia è essenziale. Non solo per competere nel governo, ma per salvare la democrazia.