Scholz e Macron: la saggezza e la mediocrità
Il presidente francese non sa più che cosa inventarsi per ridurre il distacco da Marine Le Pen, che, stando ai sondaggi, è di ben tredici punti. La lista di Renaissance (così si chiama ora il partito macroniano, nome che può essere tradotto a piacere con Rinascita o Rinascimento ed è, se possibile, ancora più insulso del precedente, La République en marche) con i suoi due piccoli alleati centristi è al 18%, mentre il Rassemblement national di Marine Le Pen è al 31% nelle europee, che in Francia sono le uniche consultazioni con il proporzionale a turno unico. Macron è perso senza il doppio turno (il sistema elettorale voluto da De Gaulle), che nel 2022, portandolo al ballottaggio di fronte alla candidata di estrema destra, gli ha permesso di essere rieletto con i voti di tutti coloro che non ci stanno a farsi governare da un’emula dichiarata di Perón e, peggio ancora, erede di Vichy.
Si potrebbe credere allora che la Francia sia messa meglio dell’Italia, dove al governo c’è invece un’erede di Salò – ma non è così. Perché la politica di Macron, privo di una maggioranza autosufficiente, cerca costantemente a destra i voti nell’Assemblea nazionale; e nel governo, messo su di recente con un giovane tirapiedi (anche questo scelto in concorrenza con Le Pen, che ha collocato un trentenne alla guida del partito alle europee), ha imbarcato perfino una vecchia amica dell’ex presidente Sarkozy, Rachida Dati. È una tipica tattica di inseguimento dell’avversario sul suo terreno, riprendendone tutti i temi, in particolare quello anti-immigrazione. Così Macron sta ottenendo il risultato contrario, facendo crescere una destra che – o perché corteggiata in parlamento o perché puntata a dito nei discorsi – è sempre più al centro della scena, con la sua componente di tradizione gollista che non riesce a decidersi tra Macron e la stessa Le Pen.
Dalla Basilicata al Piemonte gli affanni del “campo largo”
Possiamo dire che l’Italia sia l’unico Paese dell’Europa occidentale a non avere mai avuto un governo di sinistra, arrivando forse a qualcosa che gli assomigliava (vedi Prodi e il Conte 2), ma comunque ben lontano da quanto successo altrove. Le ragioni si possono individuare nella vecchia conventio ad excludendum nei riguardi dei comunisti, e poi nell’incapacità degli stessi di creare, dopo la caduta del Muro di Berlino, un grande partito socialdemocratico (come avrebbe voluto Sergio Cofferati). Ora, questa maledizione potrà protrarsi fino alle “calende greche” se l’attuale opposizione al governo delle destre non troverà un’unità, individuando con chiarezza chi possano essere gli attori impegnati nella costruzione di un campo, “largo” o “stretto” che sia, in occasione del voto nazionale che dovrebbe tenersi, tranne sorprese, nel 2027.
Dove va l’Argentina di Milei?
Nel mese di febbraio, l’Argentina ha conquistato il poco invidiabile primato di Paese con l’inflazione più alta al mondo: ha superato il Libano e il Venezuela, e le prospettive per l’anno in corso non sembrano destinate a cambiare. I dati sono stati resi noti dal Fondo monetario internazionale, secondo il quale, fatta eccezione appunto per il caso argentino, l’80% dei Paesi, nell’anno in corso, registrerà un calo dell’inflazione rispetto al 2023. Mentre nel resto del pianeta l’aumento medio dovrebbe essere attorno al 5,8%, all’Argentina governata dall’ultraliberista Javier Milei, nel 2024, andrà ancora una volta la maglia nera, con un tasso d’inflazione superiore al 200%. Secondo l’Istituto nazionale di statistica e censimento (Indec), il mese scorso l’Argentina ha registrato un aumento dei prezzi al consumo del 13,2%, cioè del 276,2% in un anno; mentre il Libano si ferma al 177%, e il Venezuela ha registrato una deflazione dello 0,5%, in un mese, e un aumento dell’85% su base annua.
5 Stelle, il “partito-non partito” con un piede nel passato
“La notizia della mia morte è grossolanamente esagerata”: la leggenda vuole che Mark Twain, sul finire dell’Ottocento, abbia replicato così alle voci che lo volevano già passato a miglior vita. Notizie, annunci, previsioni di questo genere sul Movimento 5 Stelle ne leggiamo e ascoltiamo ormai da un paio di lustri: se non esagerate, certamente si sono finora dimostrate tutte premature, come dimostrò, un anno e mezzo fa (ne parlammo qui), l’inattesa risalita, rispetto ai sondaggi che li davano in caduta libera, dei suoi consensi nelle elezioni politiche. D’altro canto, anche la previsione “governeremo col Pd”, lanciata recentemente da Giuseppe Conte da uno studio televisivo (forse per motivare gli elettori abruzzesi, che però a quanto pare non hanno accolto la promessa con eccessivo entusiasmo) potrebbe rientrare nella stessa categoria di notizie certamente premature.