Toti, la sfera pubblica ridotta a mercato
Vada come vada, sotto il profilo giuridico e penale, l’arresto del presidente della Regione, Giovanni Toti, con l’accusa di corruzione, pone probabilmente fine a un sistema di potere che ha governato la Liguria per quasi un decennio. Oltre a Toti, nella retata sono finite altre personalità di spicco del vertice decisionale politico-affaristico che ha contraddistinto un’epoca: Paolo Emilio Signorini, già presidente dell’Autorità di sistema portuale del Mediterraneo occidentale, oggi direttore di Iren, Aldo Spinelli, potente immobiliarista e imprenditore della logistica, con annesso figlio. Coinvolti anche Francesco Moncada, consigliere di amministrazione di Esselunga, e altre figure minori. Nel mirino degli inquirenti, in particolare, la vicenda della spiaggia libera di Punta dell’Olmo trasformata in privata, e attribuita agli Spinelli dopo una serie di passaggi, e altre concessioni e favori in cambio di finanziamenti ritenuti illeciti. A Toti viene inoltre contestata una serie di accuse, che vanno dall’accesso a carte di credito intestate agli Spinelli fino ad altre regalie ricevute sotto varie forme, e gli vengono attribuiti anche contatti con la mafia per voto di scambio.
In città la notizia ha destato sorpresa. L’elettorato totiano superstite – il prestigio politico del presidente era da tempo in declino, anche per una serie di scelte di schieramento ondivaghe e discutibili, che lo hanno visto transitare per diverse formazioni, dopo avere abbandonato Forza Italia, fino alla creazione di “Noi moderati” – insorge contro la magistratura di sinistra, e parla di un arresto legato alla temperie pre-elettorale.
Maggio argentino
Sono passati più di cinque mesi di governo, ma un chiaro sostegno da parte dell’amministrazione Biden alla politica economica di Javier Milei tarda a venire, nonostante il presidente argentino abbia più volte sostenuto che il rapporto con Washington, come con Israele, rimane il perno della sua politica estera. Di certo, la situazione potrà cambiare con un eventuale ritorno di Donald Trump nel 2025; ma per il momento Milei muove i suoi passi in una diplomazia che postula come prioritario il consolidamento di rapporti politici con partiti, leader e attori economici che non occupano cariche di governo. Si tratta, in gran parte, di figure dell’estrema destra e di uomini d’affari come Elon Musk, che, non a caso, si è detto entusiasta delle nuove possibilità che l’Argentina, grande produttore di litio, sembra offrire in ambito minerario. Milei finora ha seguito, in politica estera, un approccio estremamente ideologico e superficiale, che gli ha procurato più di qualche grattacapo con la Cina e il Brasile, e qualche scambio al vetriolo con López Obrador, con Gustavo Petro e, da ultimo, con Pedro Sánchez.
A Firenze, bandiera bianca
Firenze è stata da lungo tempo pessimamente amministrata, ormai è una città plasmata dai grandi interessi speculativi e attraversata da enormi diseguaglianze; ma l’alternativa al Pd di Nardella e Funaro non può essere la destra. Non può e non deve esserlo. L’Associazione 11 agosto è nata per liberare Firenze. Molti fiorentini si sono iscritti, hanno partecipato con entusiasmo agli eventi organizzati e ci hanno creduto. Stanchi delle politiche che hanno devastato una città e ne hanno deturpato l’identità. L’occasione sarebbe arrivata con le prossime elezioni.
Georgia, un’Ucraina due?
Non abbiamo dubbi su come si sarebbe comportato Iosif Stalin, georgiano doc, di fronte al conflitto in atto nella sua patria tra chi vuole ritornare nell’orbita russa – in particolare il governo –, e chi, la cittadinanza, è attratta all’80% dall’Europa. Per fortuna, quei tempi barbarici non ci sono più, e restano solo nella testa di chi ha vissuto quel periodo oltre che nei libri di storia. Negli ultimi decenni la Georgia – luogo di nascita anche dell’ultimo ministro degli Esteri sovietico, Eduard Shevardnadze, nonché presidente del Paese dal 1995 al 2003 –, dopo essere stata coinvolta, durante la presidenza di Mikheil Saak’ashvili, nel conflitto separatista dell’Abcasia e dell’Ossezia del Sud, ha vissuto una fase di apparente democratizzazione, finalizzata a rafforzare i poteri del parlamento e del premier, ridimensionando quelli del capo dello Stato, che in futuro sarà eletto non più dal popolo ma dalla massima assemblea del Paese.