Tag: Cina
Che succede in Cina
Tutte le difficoltà tra Tel Aviv e Mosca
India neutrale, un’ambiguità che appare provvisoria
L’impoverimento dei russi sotto il nazionalismo
Tra la Russia e l’Ucraina una mediazione cinese?
Le ceneri della Ostpolitik
Con le bombe su Kiev, tramonta anche l’ultimo simulacro della Ostpolitik. Il sogno di Willy Brandt – quello di una Germania che sapesse guardare a oriente, espresso nella sua estrema incarnazione dalla politica di Olaf Scholz nei confronti della Russia – pare cancellato per sempre, o quantomeno archiviato fino a un’epoca diversa e certo non prossima. Eppure, quanto a lungo il rapporto con la Russia, nel bene come nel male, è apparso un destino ineludibile per i tedeschi! E viceversa, quante volte sull’asse Mosca-Berlino si sono consumate le sorti dell’Europa!
Il governo della coalizione “semaforo”, dopo essersi mostrato a lungo esitante, poco allineato con le posizioni della Nato, in “concorde disaccordo” con i francesi, e dopo avere fino all’ultimo scommesso sulla trattativa, si è deciso solo in extremis a bloccare le verifiche al gasdotto Nord Stream 2, e anzi lo ha fatto giusto il giorno prima che le cose precipitassero. Il gasdotto sottomarino, ormai ultimato, è importantissimo, perché dovrebbe collegare direttamente la Germania, affamata di energia dopo la chiusura delle ultime centrali nucleari ancora operative, ai giacimenti russi, senza dovere transitare attraverso paesi terzi. Chiuderlo non è solo una “sanzione” al pari di altre: vuol dire rinunciare a un progetto ambizioso.
Piccolo paradosso per evitare una guerra mondiale
Facile porre fine al contenzioso tra la Russia e la Nato: basterebbe che la prima chiedesse di entrare nella seconda! Così, già inutile dopo la fine del Patto di Varsavia, l’Alleanza atlantica diventerebbe superflua del tutto e finalmente potrebbe sciogliersi. In fondo, già prima che si dissolvesse l’“impero del male” (come lo aveva chiamato Ronald Reagan), i “due mondi” avevano mostrato più punti di contatto che differenze: stessa brutalità nell’affrontare le controversie internazionali (gli Stati Uniti con la guerra nel Vietnam, l’Unione Sovietica con l’invasione dell’Afghanistan), stesso industrialismo spinto, con disprezzo totale dell’ambiente. Per arrivare a un ingresso della Russia di Putin nella Nato, tuttavia, sarebbe necessario che essa non fosse quel regime illiberale e nazionalista che abbiamo imparato a conoscere in questi anni, che non avesse annesso la Crimea, che non mirasse oggi, probabilmente, ad annettersi il Donbass, che si comportasse in questa zona di frontiera con l’Ucraina non diversamente dagli austriaci nel Sud Tirolo. Che fosse, insomma, un’economia capitalistica come tutte le altre, e non quel sistema governato da un ex del Kgb, nostalgico di una grandezza che non può tornare, espressione degli interessi di un’oligarchia che conta, a quanto pare, non più di ventimila persone.
Al-Sisi: siamo tutti per il modello cinese
Australia, Regno Unito, Stati Uniti: l’azzardo dei sottomarini
La guerra fredda con la Cina è iniziata
Non è di poco momento ciò che si profila con l’accordo racchiuso nell’acronimo Aukus (Australia, United Kingdom, United States). Mediante la fornitura all’Australia di sottomarini a propulsione nucleare, una nuova Nato va schierandosi tra l’Oceano pacifico e indiano, a un tiro di schioppo dalla Cina. Si può nutrire la più spiccata antipatia per il regime cinese – questo strano pasticcio storico capitalistico-comunista – e riconoscere, tuttavia, che in politica internazionale esso non ha manifestato la minima intenzione bellicosa, nonostante non abbia rinunciato alle rivendicazioni su Taiwan e alcune isolette minori controllate dal Giappone.
È quindi solo una mossa da paesi che cercano scompostamente di sottrarsi al loro declino, quella messa in campo da quest’Occidente ristrettamente anglosassone formato dagli Stati Uniti, da un Regno Unito ripreso, dopo la Brexit, dalla tradizionale subalternità filoamericana e dal suo avamposto nell’indopacifico facente parte del Commonwealth (gli australiani sono tuttora sudditi di sua maestà britannica). Per quanto riguarda gli Stati Uniti, si potrebbe dire: appena chiusa una bestialità – con l’ammissione ufficiale dell’assassinio di dieci civili, tra cui sette bambini, scambiati per terroristi in Afghanistan e colpiti con un drone il 29 agosto scorso –, se ne intraprende un’altra.