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Fisco, rivolta più che “rivoluzione”
Meloni alla Cgil: se il peluche diventa sindacato
Un intervento abilmente ruffiano, favorito da un contesto fragile ed evanescente. L’irruzione della premier di destra nel congresso della Cgil segna un cambio di scena del tutto inedito. Il sindacato viene derubricato a grande patronato dei poveri, ai dipendenti viene assicurata la protezione contro la concorrenza internazionale alle loro aziende, a pensionati e ceto medio basso si assicura un fisco clemente. In cambio, si pretende la neutralità sulle strategie politiche del governo e sulle forme di privilegio della proprietà e soprattutto dell’impresa, la cui esclusiva nella gestione economica non si discute.
Sarebbe facile e anche provocatorio parlare di una platea intesa dalla Meloni come la Camera delle corporazioni dei deboli, ma non sarebbe sbagliato. Il sindacato diventa un soggetto politicamente neutrale, che compie periodicamente la sua questua dinanzi al governo, che trova modo di sostenere gli ultimi, di garantire i penultimi e di premiare i secondi; mentre i primi diventano controparti che si devono arrendere al potere dell’esecutivo o diventare una quinta colonna di un globalismo penalizzante della nazione. In questo schema non si parla di diritti, tanto meno di conflitti, ma solo di redditi accessori, di servizi sociali compensativi. Il potere non è tema che riguardi il sindacato.
Qualche domanda sul congresso (mediatico) della Cgil
Giorgia Meloni sarà la prima leader di destra a partecipare a un congresso della Cgil. “Giorgia accetta la sfida”. “Giorgia nella fossa dei leoni”. “La prima volta nella tana del lupo…”. Non vi annoieremo con i titoli dei giornali e con gli strilli social. E nemmeno con il dibattito che si è aperto, fuori e dentro il sindacato, sull’opportunità della scelta, che il segretario generale Maurizio Landini ha spiegato con semplicità durante la conferenza stampa di presentazione: “Noi non abbiamo mai avuto pregiudiziali e abbiamo sempre invitato a tutti i nostri congressi i presidenti del Consiglio in carica”. Poi – naturalmente – sono stati i vari governi a scegliere.
E infatti, ripercorrendo la lunga storia congressuale, si scopre che i premier che hanno voluto partecipare “di persona” alle assise del sindacato sono stati in ordine di apparizione: Giovanni Spadolini (1981), Bettino Craxi (1986), Romano Prodi (1996). Silvio Berlusconi, che ha governato l’Italia per un ventennio, inviò al suo posto Gianni Letta (2010). Con un precedente del genere era scontato che la notizia principale del XIX Congresso Cgil, che si terrà a Rimini dal 15 al 18 marzo, sarebbe stata quella dell’annuncio della partecipazione della premier, che parlerà per venti minuti, venerdì 17 marzo. In politica la superstizione è bandita.
Quel caicco fantasma
Passerella governativa a Cutro
Superbonus, ma per pochi
Poche vicende sono rivelatrici del domicilio reale del potere politico attuale (il famoso "pilota automatico" caro a Mario Draghi) come quella del superbonus, stroncato dallo stop al mercato dei crediti fiscali imposto dal governo Meloni dopo una lunga serie di interventi di modifica che avevano già messo a dura prova il settore dell'edilizia, grazie a questo e altri bonus uno dei motori trainanti della ripresa economica post Covid. Tutti ricordano le polemiche sulle "truffe", sui prezzi gonfiati, sui lavori mai realizzati ma fatturati (a spese dello Stato). Fu il direttore dell'Agenzia delle entrate a chiudere il caso chiarendo al parlamento che fra i diversi bonus edilizi il superbonus incideva marginalmente, per il 3 per cento delle frodi accertate. E del resto, qualcuno ha mai visto un dibattito sulla necessità di chiudere tutti gli ospedali alla luce dei tanti casi di malasanità? O sull'urgenza di sciogliere qualche apparato dello Stato i cui uomini hanno commesso reati anche gravissimi? Nemmeno le organizzazioni neofasciste che assaltano le sedi sindacali, come sappiamo, vengono chiuse. Quanto alle speculazioni sui prezzi dei materiali per le ristrutturazioni ecologiche, uno Stato che non ha i mezzi per intervenire qualche domanda se la dovrebbe fare.
Invece, ecco che, incurante dei rischi che il rovesciamento delle sue esplicite promesse elettorali comporta per la sua credibilità, Giorgia Meloni ha sposato la linea del suo ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, e ha tuonato: il superbonus è "un disastro" e costa "duemila euro a ogni italiano". Giuseppe Conte ha replicato al governo spiegando che quello che Giorgetti chiama "bubbone" in realtà "è un Pil cresciuto nel 2021 del 6,7 per cento e nel 2022 del 3,9 per cento, numeri che in Italia non si vedevano da 35 anni”. Non sarà certo questa l'occasione in cui si romperà la coalizione governativa, ma anche in questo caso è da rilevare lo smarcamento di Forza Italia, che continua a perseguire una agenda unitaria un po' intermittente.
Una sconfitta che dovrebbe far ritornare a sognare
Che botta. Un terremoto. Ci fu una copertina del “manifesto”, il giorno del trionfo di Berlusconi, quasi trent’anni fa. Fondo nero, lampadina al centro di una stanza. Lampo di luce e un sinistro “click”. Come dire, “adda passà ’a nuttata”. Poco tempo dopo quel voto, con il suo buio, ci fu un incoraggiante 25 aprile a Milano. Ecco, la sconfitta elettorale di domenica e lunedì, in un quarto dell’Italia (Lombardia e Lazio), lascia più solo quel popolo indomito che, nonostante tutto, in questi anni ha combattuto per riaffermare valori e politiche di un fronte progressista, di sinistra, popolare e cattolico-democratico. E che ha tenuto accesa la fiammella della solidarietà e delle politiche inclusive del welfare.
Tutto questo oggi scricchiola e domani forse non ci sarà più. Dispiace profondamente dovere riconoscere l’onda alta di Giorgia Meloni che, dopo quattro mesi, rischia di trasformarsi in uno tsunami che potrebbe cancellare la storia repubblicana nata dalla Resistenza e dalla sconfitta del nazismo e del fascismo. Che ci porta fuori dall’alveo dell’Europa degli Spinelli, dei Brandt, dei Mitterrand che si sono susseguiti nel tempo. Oggi il nostro orizzonte sembra essere Visegrad, mentre si rinsalda l’asse Parigi-Berlino. Sempre di più filoatlantisti, e sempre più giustizialisti con i deboli e accondiscendenti con i potenti.
Lagnanze di una paria
Qualche riflessione sul fenomeno mafioso
Il nostro Guido Ruotolo, in un articolo del 19 luglio 2021, riferisce di un libro pubblicato da Michele Santoro e da lui stesso (vedi qui), che intende offrire una ricostruzione della strage di via D'Amelio, a Palermo, molto diversa da quella diventata nel tempo dominante: non ci sarebbe stato un uomo dei servizi segreti sul luogo dell'attentato a Borsellino, ma un semplice "picciotto" scambiato per un agente. Per conseguenza, gran parte della dietrologia che si è fatta e si va facendo intorno a quel caso (incentrata, com'è noto, sulla scomparsa della famosa "agenda rossa" del magistrato palermitano) sarebbe frutto di fantasia, la strage del 19 luglio 1992 essendo un delitto di mafia, privo di apporti "esterni". Chi scrive non ha particolari elementi di giudizio per sposare una versione dei fatti o un'altra. È fuor di dubbio, però, che nel caso fosse credibile la ricostruzione fornita da Ruotolo e Santoro, basata sulle dichiarazioni a loro rese dal "pentito" Avola, ciò non muterebbe la sostanza, il senso complessivo del discorso circa la mafia come un fenomeno criminale che ha potuto giovarsi, nel corso della storia dell'Italia repubblicana, di una molteplicità di appoggi e collusioni nelle istituzioni e nella politica.
La circostanza che Matteo Messina Denaro sia stato catturato ormai ammalato, al termine di una trentennale latitanza, può servire come una conferma della tesi intorno alla ramificazione dei sostegni di cui godono i boss mafiosi. Potrebbe trattarsi non soltanto, e non principalmente, di un tessuto culturale siciliano che fungerebbe da protezione per un certo ambiente criminale; non sarebbe, cioè, una presunta antropologia locale – l'impasto di arcaismo e modernità tipico del Mezzogiorno d'Italia, con la sua concezione omertosa, familistico-individualista, della vita sociale – alla base delle coperture mafiose, ma qualcosa di più specifico, che attiene alla stessa "storia naturale" del potere in Italia. Siamo in effetti nel Paese delle trame e dei misteri. Nulla di paragonabile, in Europa, alla vicenda italiana: quale altro Paese, per dirne una, ha dovuto subire una minaccia di colpo di Stato fin dall'apertura progressista del primo centrosinistra, negli anni Sessanta, per avere osato mettere in discussione – in particolare con il tentativo di una legge urbanistica sui suoli pubblici – l'assetto proprietario e di potere tradizionale? E dove altro si è mai visto un capo dello Stato (Antonio Segni) coinvolto nell'organizzazione del pre-golpe?