
Novità sui risarcimenti per stragi e deportazioni naziste. Nella lunga battaglia legale – sempre più carica di senso politico attuale, mentre scorre il sangue di nuovi crimini –, dopo il decreto legge del governo Draghi (vedi qui) e poi l’inerzia dei governi Draghi e Meloni (vedi qui), adesso gli atti vanno alla Corte costituzionale. La Consulta si è già pronunciata, nel 2014; e quella sentenza, presieduta e scritta da Giuseppe Tesauro, ha dato speranze alle vittime e sostegno alle cause civili. Dal 2014 i processi sono andati avanti, e c’è stato un tentativo coraggioso di esecuzione su beni tedeschi a Roma: Istituto archeologico germanico, Goethe Institut, Chiesa evangelica luterana e Scuola germanica. Ma ad aprile, subito dopo un nuovo ricorso di Berlino alla Corte internazionale di giustizia, il governo – presidente Draghi e ministra della giustizia Cartabia – è salito sul ring con un fulmineo uno-due: il blocco immediato dei processi e un fondo-ristoro per le vittime, promesso ma poi rivelatosi privo di decretazione attuativa. Arrosto per la Germania, fumo per le vittime.
Nel 2014, a sollevare la questione alla Consulta era stato il tribunale di Firenze, giudice Luca Minniti. Stavolta è quello di Roma, giudice Miriam Iappelli; e il processo è proprio quello per l’esecuzione sui beni tedeschi a Roma. Dopo il decreto-legge di quest’anno, nella stessa causa era intervenuta l’avvocatura generale dello Stato, per la presidenza del Consiglio e per i ministeri dell’Economia e degli Esteri, schierandosi contro le vittime “in un’ottica di collaborazione istituzionale”. È amaro vedere posizionamenti in cui la ragion di Stato è preferita alle persone. Il tribunale di Roma non ha seguito i cattivi consigli.
L’ordinanza richiama l’“insopprimibile garanzia della tutela giurisdizionale dei diritti di cui agli articoli 2 e 24 della Costituzione”, e soprattutto invoca il diritto al giudice. Cita precedenti, perciò vediamone qualcosa.
Anzitutto, c’è una decisione della Consulta, la 18 del 1982: “È intimamente connesso con lo stesso principio di democrazia l’assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi controversia, un giudice e un giudizio”. La sentenza riguardava il Concordato, e si vede una buona simmetria: malgrado le prerogative dell’autorità religiosa, oppure degli Stati e della comunità internazionale, insomma senza offesa né a Pietro né a Cesare, la Repubblica ha la sua Carta e su certe cose non si deve transigere.
Poi, sempre della Consulta, la 128 del 2021 e la 87 del 2022. Queste decisioni hanno dichiarato illegittime le norme, occasionate dalla pandemia, che ostacolavano le procedure esecutive sull’immobile di abitazione. Ottimo paragone. Il decreto legge del 2022 priva le vittime dell’esecuzione, ma solo se il debitore è lo Stato tedesco e solo per i crimini nazisti. Proviamo a considerare, insieme, gli effetti delle pronunce costituzionali del 2021-2022 e del decreto legge. Un cittadino – debitore riottoso, sì, ma non per crimini di guerra e contro l’umanità – abita in un immobile sotto esecuzione ed è esposto a un’emergenza sanitaria: perde la casa. I beni tedeschi in Italia, invece, sono intoccabili. Cioè: una persona è trattata peggio di un ente, debitore per crimini atroci, che non ha problemi né di denaro né di alloggio né di salute.
L’ordinanza richiama gli articoli 3 e 111 della Costituzione, ricordando i principi di eguaglianza sovrana fra gli Stati e di parità delle parti nel processo. L’argomento è un vero dito nell’occhio per i goffi sovranismi e patriottismi nostrani. Il trattamento favorevole è solo per la Germania: “Il legislatore statale – scrive il tribunale – sembra aver creato una fattispecie di ius singulare”.
Viene in mente un’usanza barbara dell’Italia berlusconiana, le leggi ad personam, e vi è una sottile continuità: l’operazione di allineamento agli interessi tedeschi ha avuto una fase cruciale nel 2008, al vertice italo-tedesco di Trieste fra Merkel e Berlusconi (mentre Giorgia Meloni era ministra). Il tribunale mette in relazione questo trattamento di favore sia con l’istituzione del fondo-ristoro, sia col mancato decreto interministeriale: “Questo squilibrio fra le parti processuali non pare trovare un contrappeso idoneo nella costituzione di un fondo di ristoro […] senza che sia attualmente prevista la disciplina del procedimento amministrativo ad esso relativo, l’entità parziale o totale del futuro ristoro, le modalità di erogazione”.
Che succederà, e quando? Nel 2014, la rimessione alla Corte costituzionale è stata fatta a gennaio, la sentenza si è avuta a ottobre. A volte la storia entra in un’aula, raramente freme per una moltitudine e per il futuro; ma allora è successo, e nell’udienza si sente, dentro gli schemi del discorso giuridico (vedi qui). La decisione è stata presa a maggioranza; delle posizioni minoritarie, ciò che è filtrato non sta in piedi. La motivazione, come detto, si deve a Tesauro, che ha ribadito il suo sostegno alla giustizia anche successivamente: per esempio nel 2019, in Senato, a un convegno della Fondazione per la critica sociale (vedi qui) .
Adesso, dei giudici del 2014 nessuno più è in servizio. La presidente è una donna, Silvana Sciarra, e ce ne sono altre tre fra i giudici. Fa sperare, considerando il peso di quei fatti: lutto per le stragi, solitudine per le deportazioni; per lunghi anni vedovanza, bambini orfani e miseria. La firma di Cartabia sul decreto-legge non si concilia con queste suggestioni; quanto alla decretazione attuativa, proprio la ministra, al forum Ambrosetti di Cernobbio, ha promesso – “concluderemo gli impegni che avremo con la giustizia prima di lasciare questa esperienza di governo” –, e invece non è stata fatta. Ora è donna anche la presidente del Consiglio, ma c’è da escludere che il tema entri nella sua ultima novità promozionale: gli “appunti di Giorgia”.
Un po’ di ottimismo. La decisione del 2014 è arrivata al traguardo in salita: la sentenza dell’Aia era recente e contraria; la Cassazione (penale, 32139 del 2012), sui massacri di Bardine, San Terenzo e Vinca, l’aveva seguita perché “ineluttabile”. Ogni critica all’Aia sembrava ingenuità o eresia. Adesso c’è un precedente, la sentenza del 2014, appunto, col suo seguito di consensi e citazioni lusinghiere in atti di giustizia, anche all’estero (Brasile e Corea). E poi, il dilagare dei dispotismi e delle guerre, come quella nell’Est europeo, esige la massima tutela delle persone. Come si può chiedere per Buča la giustizia che si nega per Marzabotto?
Le parole di Tesauro, al convegno in Senato, sembrano su misura per il caso che pende ora: le vittime che hanno diritto al risarcimento: “Che se ne fanno, di questo diritto, lo mettono al muro, fanno un bel quadro per guardarselo, oppure possono farlo valere davanti a un giudice?”. Più chiaro di così.
Una volta tanto si possono ripetere in positivo, per una pronuncia di giustizia, le parole di Primo Levi: è successo, quindi può succedere.