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L’anarchico Cospito contro la “personalità dello Stato”

Alfredo Cospito, in altri tempi, sarebbe stato passibile della pena capitale. Si deve ringraziare la sensibilità del legislatore democratico se sarà condannato soltanto all’ergastolo, perché il reato di “strage contro la personalità interna dello Stato”, a cui la Cassazione ha voluto ricondurre la sua vicenda, è una di quelle fattispecie giuridiche che vengono dritte dritte dal codice Rocco, il famigerato codice penale fascista. Invece il 41/bis, contro cui Cospito sta conducendo uno sciopero della fame, è qualcosa di più recente: è un regime carcerario “duro”, cioè con l’aggiunta di un certo numero di restrizioni supplementari, applicato di solito nei confronti dei mafiosi e dei camorristi, al fine di evitare che questi, dal carcere, continuino a gestire i loro affari criminali. Si possono nutrire molti dubbi sia sul 41/bis sia sul cosiddetto ergastolo “ostativo” – che impedisce di godere dei benefici di legge, come per esempio la concessione della semilibertà –, dato che la nostra Costituzione affida alla pena un carattere non punitivo ma rieducativo. È però indubbio che, nel contrasto al fenomeno mafioso, così radicato nel nostro Paese, queste misure cautelative una funzione la svolgano.

Va denunciato nel modo più deciso, al contrario, il carattere inutilmente repressivo di tali misure riguardo a una strage, per giunta, mai avvenuta. L’atto per cui Cospito è stato condannato consiste, infatti, nell’avere collocato un paio di ordigni esplosivi a basso potenziale davanti a una caserma dei carabinieri, senza che ci siano state conseguenze. Non una strage, neppure una tentata strage: piuttosto qualcosa di assimilabile a un gesto dimostrativo. Inoltre, cos’è mai la “personalità dello Stato” che viene tirata in ballo? Se si va a rovistare nella più triste storia del nostro Paese, vediamo che la sovranità dello Stato – con la sua “personalità interna”, che consiste nella potestà esercitata dallo Stato sul proprio territorio, di contro a una “esterna” che implica la presenza di altri Stati – è qualcosa che i teorici nazionalisti e fascisti anteposero alla stessa sovranità popolare. Di essa un anarchico non può che essere un avversario irriducibile.

Le cause sui crimini nazisti tornano alla Corte costituzionale

Novità sui risarcimenti per stragi e deportazioni naziste. Nella lunga battaglia legale – sempre più carica di senso politico attuale, mentre scorre il sangue di nuovi crimini –, dopo il decreto legge del governo Draghi (vedi qui) e poi l’inerzia dei governi Draghi e Meloni (vedi qui), adesso gli atti vanno alla Corte costituzionale. La Consulta si è già pronunciata, nel 2014; e quella sentenza, presieduta e scritta da Giuseppe Tesauro, ha dato speranze alle vittime e sostegno alle cause civili. Dal 2014 i processi sono andati avanti, e c’è stato un tentativo coraggioso di esecuzione su beni tedeschi a Roma: Istituto archeologico germanico, Goethe Institut, Chiesa evangelica luterana e Scuola germanica. Ma ad aprile, subito dopo un nuovo ricorso di Berlino alla Corte internazionale di giustizia, il governo – presidente Draghi e ministra della giustizia Cartabia – è salito sul ring con un fulmineo uno-due: il blocco immediato dei processi e un fondo-ristoro per le vittime, promesso ma poi rivelatosi privo di decretazione attuativa. Arrosto per la Germania, fumo per le vittime.

Nel 2014, a sollevare la questione alla Consulta era stato il tribunale di Firenze, giudice Luca Minniti. Stavolta è quello di Roma, giudice Miriam Iappelli; e il processo è proprio quello per l’esecuzione sui beni tedeschi a Roma. Dopo il decreto-legge di quest’anno, nella stessa causa era intervenuta l’avvocatura generale dello Stato, per la presidenza del Consiglio e per i ministeri dell’Economia e degli Esteri, schierandosi contro le vittime “in un’ottica di collaborazione istituzionale”. È amaro vedere posizionamenti in cui la ragion di Stato è preferita alle persone. Il tribunale di Roma non ha seguito i cattivi consigli.

Caso Cospito, anarchici in rivolta

Spetterà alla Corte costituzionale la decisione di concedere o meno le attenuanti all’anarchico Alfredo Cospito, accusato di aver piazzato, nel 2006, due ordigni nelle vicinanze della Caserma allievi carabinieri di Fossano, vicino a Cuneo. La Corte d’assise di appello di Torino ha infatti deciso di inviare gli atti alla Consulta, accogliendo la questione di legittimità costituzionale sull’attenuante rispetto al reato di strage politica ­­– secondo gli avvocati dei due militanti della Federazione anarchica informale (Gianluca Vitale, difensore di Anna Beniamino, Flavio Rossi Albertini di Cospito) non si possono trattare nello stesso modo, con la stessa risposta sanzionatoria, fatti di gravità incommensurabilmente diversa, come una strage di mafia, con vittime, e quello che può essere considerato un atto dimostrativo, sia pure dannoso ma senza vittime. Il procuratore generale Francesco Saluzzo e il pm Paolo Scafi avevano chiesto l’ergastolo e dodici mesi di isolamento diurno per Cospito; 27 anni e un mese per la compagna, Anna Beniamino. Nel caso venisse accolta l’attenuante, l’anarchico, già condannato a vent’anni per Fossano e a dieci per l’attentato all’amministratore delegato dell'Ansaldo di Genova, Roberto Adinolfi, gambizzato nel 2012, rischierebbe una pena tra i ventuno e i e ventiquattro anni.

Il caso giudiziario fa discutere: l’azione dei due anarchici è gravissima, ma si dibatte molto sulla opportunità di infliggere a Cospito l’ergastolo ostativo – cioè senza nessuna speranza di ottenere benefici di qualsiasi genere – e di mandarlo al 41/bis, il cosiddetto carcere duro: tecnicamente, l’inchiesta “Scripta manent”, da cui scaturisce il rinvio a giudizio dei due anarchici, ha ritenuto Cospito “capo e organizzatore di un’associazione con finalità di terrorismo”, la Federazione anarchica informale, condannandolo inizialmente a venti anni di carcere; ma poi la Cassazione riqualificò l’accusa di strage contro la pubblica incolumità in strage contro la sicurezza dello Stato – art. 285 del codice penale –, reato che prevede l’ergastolo, anche ostativo, pur in assenza di vittime.

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“Dolce morte”: ora tutto dipende dal parlamento

La Consulta ha giudicato inammissibile il referendum sull’eutanasia perché “non tutela la vita”, come trapelato ieri in una nota dell’ufficio stampa e comunicazione, in attesa che la sentenza venga depositata a giorni. Non era scontato, anzi. In moltissimi si aspettavano che venisse data la parola ai cittadini che, secondo i sondaggi, sarebbero a maggioranza a favore della “dolce morte”. Invece sembra chiudersi qui il tentativo di rendere giustizia ai tanti che soffrono senza possibilità di guarigione né di futuro, e che spesso non sono in grado di porre autonomamente fine alla propria vita, prigionieri del proprio corpo inerme.

Con questa sentenza, la Corte costituzionale ha voluto sottolineare l’importanza, a cui si rifà anche se non esplicitamente la nostra Costituzione, della tutela della vita umana, con particolare riferimento alle persone deboli o cagionevoli. Ma in questo caso sono proprio i più vulnerabili a non avere il diritto di essere ascoltati. Ci sarebbe da chiedersi che tutela sia quella destinata a chi affronta una vita senza dignità, una non-vita, quel tipo di “esistenza” che nessuna persona sana può capire fino in fondo, ma che è fortemente respinta da chi soffre, superando lo stesso fortissimo istinto di sopravvivenza.

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