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Zelensky e Putin, due modi di comunicare

Zelensky è presbite, guarda oltre il suo Paese, perché non ha bisogno di parlare ai suoi che mostrano di essere fin troppo motivati, combattendo. Putin è miope, e si rivolge solo ai russi, di cui è il dominatore, ma che ora ha bisogno di convincere.

Sono le due diverse comunicazioni che non si incontrano, nemmeno nell’infosfera. Le tournée del presidente ucraino nei parlamenti occidentali – il 22 marzo parlerà in collegamento con i deputati italiani – appaiono perfette: studiate in ogni dettaglio, con una straordinaria capacità di cogliere il senso comune degli interlocutori, integrando nel proprio linguaggio riferimenti e citazioni che prendono in ostaggio il sentire del Paese con cui è collegato. Ovviamente, l’aura del capo di una resistenza che sopravvive sotto le bombe rende tutto inattaccabile. Zelensky è un leader moderno, produce una comunicazione che diventa politica, e non viceversa. Il suo staff – proveniente da quella compagnia di produzione televisiva che lanciò in televisione il personaggio che l’attuale presidente interpretava – sembra riuscire a tradurre, in termini politici e relazioni, i canoni di una tecnicalità televisiva collaudata. In particolare, Yuri Kostiuk, lo sceneggiatore del Servitore del popolo, la popolarissima fiction che ha consacrato Zelensky, si sta rivelando un perfetto ghost writer, che calibra con grande sapienza i toni dei messaggi del presidente.

Uno strano viaggio: Schröder a Mosca

Ha suscitato molti interrogativi il viaggio intrapreso la settimana scorsa dall’ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder, che si è recato improvvisamente a Mosca, dove ha...

Il ritorno del “generale virus”

Non ci siamo proprio: “riaprire l’economia”, come ha dichiarato il presidente del Consiglio Draghi, – in fondo per ricevere un po’ più di turisti a Pasqua –, è una scempiaggine bella e buona, che ci costerà più caro delle residue restrizioni che stiamo per togliere. È in atto una nuova ondata pandemica, dalla Cina all’Europa (in Germania trecentomila contagi al giorno, ottantamila in Italia); ed è sconfortante dover constatare come sia risultata vincente, alla fine, la linea di darwinismo sociale di Boris Johnson. Contro di essa, a quanto pare, nulla può il pur prudentissimo ministro della Salute, Roberto Speranza. È il difetto di fondo di una compagine governativa con la destra al suo interno, diretta da un campione dell’economia come Draghi. Gli affari sono affari; i contagi e le morti contano fino a un certo punto, l’importante è che gli ammalati non intasino il sistema sanitario.

Si può osservare oggi, al tempo stesso, come fosse fuorviante il paragone, stabilito da alcuni, tra il contrasto al virus e una guerra. Ora che in Europa abbiamo e la pandemia e la guerra, possiamo vedere bene in cosa consista la differenza: un missile, una bomba ti uccidono di sorpresa, nei confronti del diffondersi dei contagi, invece, si può mettere in campo una serie di misure preventive – dal confinamento alla campagna vaccinale, passando per l’uso dei dispositivi di protezione – che costituiscono una difesa. Contro la guerra non c’è che altra guerra – o la ricerca di una via diplomatica, che però, stando a quanto al momento si può vedere, in mancanza di un “cessate il fuoco”, non è affatto un’alternativa ma solo un’opzione subordinata alle distruzioni e alle stragi. La politica come continuazione della guerra, dunque. Una regressione all’epoca in cui il diritto internazionale era carta straccia: c’è un che di ottocentesco nel modo in cui la Russia di Putin concepisce i rapporti internazionali. Con la differenza che, nell’Ottocento, non c’erano i bombardamenti sui civili.

Quegli ebrei russofoni che popolano Israele

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L’impoverimento dei russi sotto il nazionalismo

Un colosso dai piedi d’argilla. Malgrado la drammatica esibizione muscolare di questi ultimi giorni, la Russia si ritrova con un’economia in grave difficoltà: una...

La rovina dei sovranismi

C’è un danno collaterale, per una volta positivo, di questa dannata guerra: ed è il colpo probabilmente definitivo che essa ha portato ai sovranismi europei. Si deve usare il plurale, perché i sovranismi, ahinoi, sono stati di destra e di sinistra: sono cioè la conseguenza della “evoluzione” in chiave populistica dell’estrema destra (il caso più vistoso è quello di Marine Le Pen che, dopo avere rotto con il padre, vecchio arnese dei fascismi europei, si dichiarò in un’intervista discepola di Perón, ossia di colui che in Argentina aveva riadattato i fascismi in senso nazionalistico e antimperialistico), e al tempo stesso l’effetto di una tradizione veterocomunista che, nostalgica del passato sovietico e di un mondo diviso in blocchi, guardava con sospetto all’Unione europea e a ogni sua maggiore integrazione di tipo federalistico.

A causa della pandemia, si era già appannata, o era stata momentaneamente messa da parte, l’odiosa campagna anti-immigrati che aveva negli anni scorsi caratterizzato soprattutto la destra (ma non solo), a favore di tematiche più o meno liberiste-libertarie riguardanti le restrizioni; e, dinanzi alla scelta dei vertici europei di mettere mano al portafoglio per far fronte alla crisi, si era come dissolto anche gran parte dell’euroscetticismo di sinistra. È stata però la decisione di un’invasione a tutto campo dell’Ucraina – non per rivendicare semplicemente una sovranità sul Donbass e su una già annessa Crimea, ma per sostituire il legittimo governo di Kiev con uno fantoccio – ad avere fatto saltare il punto di riferimento politico principale, e il simbolo culturale, dei sovranismi di ambedue le sponde: quel Vladimir Putin, zar di tutte le Russie, capace di fargliela vedere lui alla decadente civiltà occidentale.

Putin alla riconquista di un impero

Potremmo definire la cosiddetta operazione militare speciale con cui Putin vuole cancellare l’Ucraina la più spietata strategia di cancel culture in atto nel mondo....

L’Europa nel gorgo dei nazionalismi

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Stranezze e dilemmi della guerra russa

Tra i paradossi di cui qualsiasi guerra è intessuta, se ne segnala uno veramente peculiare: si intavolano delle trattative, senza però che vi sia un “cessate il fuoco”. A quanto se ne sa, è la stessa Russia che ha chiesto di riprendere la via negoziale: e le due delegazioni, russa e ucraina, si sono incontrate ieri in una località della Bielorussia. Alla fine dell’incontro, si è anche detto di rivedersi per continuare a trattare. Piccolo sospiro di sollievo ovunque nel mondo – ma intanto l’avventura, cioè l’invasione del territorio ucraino, va avanti, i combattimenti proseguono, e una lunga colonna di mezzi militari avanza verso Kiev.

Ciò che si era già compreso nella fase precedente a questa – quando ancora poteva sembrare che fossero gli americani a esagerare la minaccia –, e cioè che la Russia intendeva trattare con una pistola puntata alla tempia dell’Ucraina, è qualcosa che appare superato: il Cremlino vuole negoziare, sì, ma con un assedio in corso! Sembra fuori dalla realtà. Se l’Ucraina dovesse accogliere oggi alcune delle condizioni mai accettate negli ultimi anni – come per esempio il riconoscimento del dato di fatto dell’annessione della Crimea, nel 2014, da parte della Russia –, perché avrebbe sostenuto l’impatto di un’aggressione? Avrebbe potuto semplicemente evitarlo, venendo subito a più miti consigli.

Le cause di una guerra

Davvero la Russia ha temuto la Nato alle porte di casa? O ha temuto, piuttosto, che la libertà dei vicini potesse causarle un contagio?...