C’è un danno collaterale, per una volta positivo, di questa dannata guerra: ed è il colpo probabilmente definitivo che essa ha portato ai sovranismi europei. Si deve usare il plurale, perché i sovranismi, ahinoi, sono stati di destra e di sinistra: sono cioè la conseguenza della “evoluzione” in chiave populistica dell’estrema destra (il caso più vistoso è quello di Marine Le Pen che, dopo avere rotto con il padre, vecchio arnese dei fascismi europei, si dichiarò in un’intervista discepola di Perón, ossia di colui che in Argentina aveva riadattato i fascismi in senso nazionalistico e antimperialistico), e al tempo stesso l’effetto di una tradizione veterocomunista che, nostalgica del passato sovietico e di un mondo diviso in blocchi, guardava con sospetto all’Unione europea e a ogni sua maggiore integrazione di tipo federalistico.
A causa della pandemia, si era già appannata, o era stata momentaneamente messa da parte, l’odiosa campagna anti-immigrati che aveva negli anni scorsi caratterizzato soprattutto la destra (ma non solo), a favore di tematiche più o meno liberiste-libertarie riguardanti le restrizioni; e, dinanzi alla scelta dei vertici europei di mettere mano al portafoglio per far fronte alla crisi, si era come dissolto anche gran parte dell’euroscetticismo di sinistra. È stata però la decisione di un’invasione a tutto campo dell’Ucraina – non per rivendicare semplicemente una sovranità sul Donbass e su una già annessa Crimea, ma per sostituire il legittimo governo di Kiev con uno fantoccio – ad avere fatto saltare il punto di riferimento politico principale, e il simbolo culturale, dei sovranismi di ambedue le sponde: quel Vladimir Putin, zar di tutte le Russie, capace di fargliela vedere lui alla decadente civiltà occidentale.
Poco importava che il despota poco illuminato, di cui sopra, fosse un bellicista già macchiatosi di crimini in Cecenia e in Siria – o che fosse uso avvelenare in giro per il mondo gli oppositori politici, in linea con una rivendicata eredità sia dello zarismo sia dello stalinismo –, la cosa importante era che egli appoggiava, o finanziava, i partiti e i movimenti sovranisti, e che con l’Occidente facesse il “furbo” doppio gioco di una politica di potenza associata alla vendita di idrocarburi (che resta, come per una qualsiasi monarchia assoluta araba, la risorsa economica principale della Russia). E poteva così essere presentato, a piacere, come il simbolo di una reincarnazione di una storia secolare, o come il vendicatore della ingloriosa fine dell’Unione sovietica.
Con il venire al pettine dei nodi di un’aggressività nazionalistica russa molto “vecchio stampo”, c’è la scoperta di tutta la miseria dei sovranismi. Perché la possibilità di un’“internazionale sovranista” non esiste, non è mai esistita: già l’ungherese Orbán non aveva affatto un’identità di vedute con una Polonia ultraconservatrice, per la semplice ragione che uno era filorusso e l’altra, storicamente da sempre, antirussa. A mutare del tutto il quadro, è arrivata però l’invasione dell’Ucraina. I sovranismi – rivelatisi come ciò che erano, dei nazionalismi appena un po’ riverniciati – hanno fatto bancarotta: tutti necessariamente sconvolti da quello che i nazionalismi erano, sono e sempre saranno, ossia delle formazioni politiche e culturali, spesso inventate o reinventate su una base identitaria etnica o linguistica (come nel caso dei “russofoni”), completamente strumentalizzata in chiave aggressiva nei confronti, in particolare, delle nazioni più vicine.
Il disorientamento del povero Salvini – oggi contro la guerra, dopo essere stato un fan di Putin –, e il fatto che nella sua “missione” in Polonia si sia trovato davanti un sindaco, lui stesso di destra, che gli abbia rinfacciato i trascorsi filoputiniani, la dice lunga su questo gioco delle parti che da sempre sono i nazionalismi: mi alleo con l’uno, mi alleo con l’altro, a seconda delle circostanze o delle opportunità (si ricordi il balletto guerrafondaio dei nazionalisti italiani agli inizi della “grande guerra”), mentre nell’essenziale essi sono la guerra perpetua di tutti contro tutti, perché non sarà mai detta la parola definitiva su quale sia la nazione più grande e dove i suoi confini e interessi debbano arrestarsi.
Oggi vediamo di che pasta siano i nazionalismi, del resto, non solo nel caso della Russia ma anche in quello dell’Ucraina, pur sapendo tenere ferma la distinzione tra l’aggressore e l’aggredito. L’eroico presidente Zelensky non ha esitato un minuto non solo a chiedere una no fly zone – che sarebbe l’anticamera della guerra mondiale, prevedendo lo scontro diretto tra la Russia e la Nato –, ma anche a evocare apertamente la guerra mondiale stessa. No, caro Zelensky, l’Europa e gli Stati Uniti sono impegnati ad aiutarla, per quanto possibile, perché lei possa arrivare presto o tardi a un negoziato con la Russia. Il che significa oggi circoscrivere il conflitto, non allargarlo.