Non si contano più gli articoli che abbiamo scritto per descrivere ciò che succede nel Partito democratico dall’arrivo di Elly Schlein alla segreteria del Nazareno, il 12 marzo del 2023 (vedi qui). E abbiamo tutte le ragioni per credere che saremo costretti a ritornare sull’argomento, perché le lotte intestine nel Pd, con il fine evidente di defenestrare l’ex vicepresidente dell’Emilia Romagna, sembrano destinate a proseguire fino alle prossime elezioni politiche del 2027. Con gravi conseguenze, visto che la creatura fondata da Walter Veltroni nel 2007 è la principale forza politica di opposizione. L’ultimo atto di questa sciagurata guerra è stato l’incontro di domenica 19 ottobre, a Roma, organizzato dall’assessore ai Grandi eventi, sport e turismo, Alessandro Onorato, non proprio un nome di primo pano nel partito. Obiettivo: lanciare il “Progetto civico Italia”, con la sindaca di Genova, Silvia Salis – che sempre più si vede candidata a palazzo Chigi (vedi qui, qui e qui) –, con quello di Napoli, Gaetano Manfredi, e anche con il supporto del sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, e del presidente del Pd, Stefano Bonaccini, il quale però aveva deciso di tirarsi fuori da correnti “riformiste” (vedi qui), promessa messa in discussione dalla sua partecipazione al meeting romano.
L’obiettivo? Far pesare sul piatto della bilancia i duecento amministratori locali, altra freccia nell’arco dei nemici della segretaria. Singolare la presenza del “guru” del partito, Goffredo Bettini, divenuto anche lui un sostenitore dello slogan “guardare al centro”, una new entry nell’affollato esercito dei “riformisti”. Una kermesse corredata dalla presenza del leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, che, guardando a quel pezzo di mondo democratico, vuole cercare altri interlocutori, oltre a Schlein, all’interno del Pd, soprattutto dopo l’apertura di un fronte interno con le dimissioni dalla vicepresidenza dell’ex sindaca di Torino, Chiara Appendino, anche lei evidentemente poco preoccupata di contrastare la destra alle prossime elezioni, dato che, con il suo gesto, contribuisce a disorientare un elettorato che, in buona parte, preferisce restare a casa piuttosto che recarsi alle urne.
Tornando all’argomento principale di questa nostra riflessione, non appare casuale il riemergere del protagonismo centrista dopo il successo del presidente uscente della Toscana, Eugenio Giani, a cui Schlein avrebbe preferito un altro nome. Anche il partito, del resto, ha riconfermato il buon risultato del 2020, superando il 34%. Questa vittoria però non è bastata, perché l’affermazione di un candidato distante da Schlein è stata considerata una sconfitta della segretaria, attribuendo il successo alla lista renziana “Eugenio Giani presidente – Casa riformista”, in virtù del risultato conseguito, vicino al 9%, che ha ridato ossigeno a Renzi (la cui creatura, Italia Viva, a livello nazionale viaggia, com’è noto, tra il 2 e il 3%).
Uno dei tormentoni, fin dalla elezione della segretaria, è stato quello della ricerca di un federatore, una sorta di Prodi bis, un padrino in grado di mettere ordine e vigilare su un’alleanza da riequilibrare, perché altrimenti troppo spostata a sinistra. Con i leader delle tre formazioni in campo – Pd, 5 Stelle e Alleanza verdi-sinistra – disposti a farsi guidare come ragazzini alle prime armi. A gennaio circolava il nome dell’ex direttore dell’Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini (vedi qui), figlio dell’ex ministro democristiano Attilio Ruffini, a sua volta nipote del potente cardinale, Ernesto Ruffini. Un nome improbabile, sconosciuto ai più, spinto solo da inconfessabili logiche di potere. Continua, invece, a far parlare di sé Paolo Gentiloni, già premier dal 2016 al 2018, e commissario europeo agli Affari economici e monetari dal 2019 al 2024. Un “centrista” puro, che tutto potrebbe fare tranne che scaldare i cuori degli elettori e delle elettrici, soprattutto se messo a confronto con gli attuali leader delle tre forze di opposizione, che, pur con tutti i loro limiti, riescono almeno a farsi ascoltare da qualcuno.
Come dicevamo, a puntare al ruolo di federatore, anzi ora di federatrice, c’è la spendibile Salis, che vuole smarcarsi dal suo sponsor (Matteo Renzi, appunto) per “fare carriera” in proprio – come del resto il già citato Manfredi, brav’uomo con un suo curriculum, che, per uscire dai confini napoletani, si è perfino esibito nella patetica riedizione della Leopolda di Renzi. Ma anche qui l’interrogativo è lo stesso. A cosa servirebbe questo federatore se non a scalzare Schlein dallo scranno del secondo partito nazionale, magari sperando in fallimenti elettorali – dunque con conseguenti nuove sciagurate “primarie”.
Chi invece, in un’intervista a “Repubblica”, spezza una lancia in favore di Schlein come candidata alla presidenza del Consiglio è il filosofo ed ex sindaco di Venezia, Massimo Cacciari: “Chi non la vuole al governo è perché spera in un ritorno dei vari Renzi o Letta. E di fronte a una destra radicale serve una sinistra radicale” – sostiene il filosofo. E il centro? “Aveva senso quando il ceto medio cresceva, ora non più”. Di fronte al crescere delle disuguaglianze e del lavoro povero, serve quindi una battaglia radicale.
Le mezze misure – diciamo noi – sono inutili, come decenni di Democrazia cristiana 2.0 hanno dimostrato. Sui grandi temi sociali e internazionali (vedi la Palestina), la giovane segretaria ha scelto, sia pure non senza incertezze e limiti, la piazza, la società, come hanno fatto gli altri partiti dell’opposizione. Per far vincere questa linea, il promesso congresso – che ci auguriamo venga fatto come una volta, e non mettendo in campo altre ridicole “primarie” –, dev’essere anticipato il più possibile, anche perché al voto mancano meno di due anni, e arrivarci in queste condizioni significherebbe riconsegnare la vittoria a Meloni. Al partito serve una maggioranza solida, rispettata e indiscussa, con una legittima opposizione interna che faccia il suo mestiere senza pugnalare alle spalle nessuno. Insomma, il contrario di quanto successo durante i quasi vent’anni di vita di questo carrozzone chiamato Pd.










