Statuti, non-statuti, non-organizzazioni, e poi Movimento 5 Stelle o MoVimento 5 Stelle. Il grande timoniere della rivoluzione cinese, Mao Zedong, esaltava il disordine sotto il cielo. In casa dei 5 Stelle, invece, questo disordine organizzativo, normativo, statutario, ricorda quelle architetture societarie riempite di scatole cinesi, funzionali a far perdere le tracce dei soldi e degli investimenti. Società del grande crimine organizzato o dei grandi evasori fiscali. Il gioco, nel caso dei 5 Stelle, a leggere le motivazioni delle sospensive e delle sentenze dei giudici civili di Napoli, Roma, Palermo, Cagliari e Genova (sono dieci provvedimenti nati sulla base di ricorsi presentati dagli iscritti difesi dall’avvocato Lorenzo Borré), consiste piuttosto nel blindare il potere assoluto di pochi, di Beppe Grillo prima e di Luigi Di Maio poi, e rendere inoffensive le pulsioni democratiche e partecipative degli iscritti, soprattutto degli iscritti “critici”.
Per chi ha vissuto esperienze di impegno politico nel secolo scorso, colpisce che la “sede del Movimento 5 Stelle” corrispondesse inizialmente al sito web www.movimento5stelle.it. I partiti pre-Tangentopoli avevano sedi nazionali e cittadine in tutt’Italia. Poi con il passaggio della forma partito, nel dicembre 2017, il M5S si è parzialmente adeguato: stabilendo la sede legale in uno studio legale che, parole di Crimi, era però esclusivamente una sorta di casella postale per ricevere gli atti giudiziari e le comunicazioni. Sembra un paradosso. Ma come, il Movimento 5 Stelle, paladino della democrazia della rete, in realtà è un gruppo di potere ristretto che controlla la vita interna del movimento con regole e pratiche poco democratiche? Nove provvedimenti giudiziari. Sui quotidiani di questi giorni si è scritto di un’invasione di campo della magistratura, come ai tempi di Mani pulite, nella vita dei partiti. Ma in questo caso sono gli stessi iscritti che si rivolgono alla giustizia civile (non penale), perché chiedono che i loro diritti vengano rispettati, e che le loro candidature, bocciate per le elezioni amministrative o politiche, vengano ripristinate.
Nella sentenza della sedicesima sezione civile del tribunale di Roma, del 5 febbraio 2018, il giudice unico, Francesco Remo Scerrato, deve valutare l’impugnazione presentata da tre che poi diventano due militanti iscritti all’Associazione Movimento 5 Stelle, i romani Antonio Caracciolo e Roberto Motta. I due “ricorrenti” – si legge nella memoria difensiva dell’avvocato Borré – avevano i requisiti per partecipare alla scelta dei candidati nella lista 5 Stelle per le comunali di Roma. Nel bando per partecipare alle “comunarie” di Roma, si faceva espresso riferimento al fatto che non “bisognava aver riportato condanne penali, anche non definitive”. Lo “staff di Beppe Grillo”, quasi fosse un tribunale segreto, invia una mail a Caracciolo, spiegandogli di averlo escluso dalla lista di candidati per “alcune segnalazioni su suoi interventi su blog che contrastavano con i principi fondamentali del M5S”. Ora l’avvocato di Grillo ha comunicato al giudice l’intenzione del suo assistito di “reintegrare i due, perché le espulsioni furono adottate applicando un regolamento che nel frattempo è stato sostituito da un altro”.
Sembra un teorema di matematica o fisica. “Il movimento 5 Stelle è una non associazione”. Uno magari rincorre anche antichi sogni di una bocciofila moderna, di un Arci bar, di una sezione del Pci vecchio stile, per descrivere cosa e come intende un partito sul territorio. E invece i 5 Stelle sono rappresentati da una piattaforma che è “un veicolo di confronto e di consultazioni che avvengono attraverso il blog www.beppegrillo.it”.
Il giudice scrive nella sua sentenza che quella cosa là, che non è un partito classico, “va giuridicamente ricondotta nell’ambito delle associazioni non riconosciute”. E quindi l’attuale 5 Stelle è cosa distinta dalla precedente “Associazione MoVimento 5 Stelle”. E il 26 gennaio del 2018 il giudice riammette i due espulsi: “Caracciolo e Motta possedevano i requisiti per partecipare alla scelta dei candidati”.
Anche a Genova si apre un contenzioso all’interno del gruppo al comando dei 5 Stelle, undici iscritti. L’oggetto del contendere è la lista per le comunali di Genova. Grillo “impone” come candidato a sindaco Luca Pirondini, malgrado che l’assemblea di territorio degli iscritti avesse assegnato la vittoria alla lista che aveva come candidata a sindaco Marika Cassimatis. E sarà proprio l’esclusa, con dieci suoi sostenitori-militanti, a chiedere alla prima sezione del tribunale di Genova di sospendere la decisione sulle liste. Il 10 aprile del 2017, il tribunale di Genova sospende la decisione di Grillo di escludere Marika Cassimatis dalla candidatura a sindaco di Genova. “Semmai – spiega il giudice – il capo politico del movimento ha il potere di sottoporre a convalida la decisione che aveva coronato vincitrice la lista Cassimatis per la candidatura alle elezioni genovesi, ma non ha il potere di proporre una votazione degli iscritti su base nazionale per deliberare sulla scelta della lista seconda classificata”.
A Palermo, il 29 giugno del 2017, Mauro Giulivi viene escluso dalla scelta dei candidati per il parlamento regionale e per la presidenza della Regione Sicilia. Giulivi arriva all’undicesimo posto delle primarie degli iscritti. Un buon piazzamento. Il 7 febbraio riceve una mail che lo convoca per firmare il “codice di comportamento”. Lui comunica che il lasso di tempo tra la lettura della mail e la convocazione per firmare il “codice” è troppo stretto, e che lui ha bisogno di studiarlo. Per farla breve, lo staff di Beppe Grillo rifiuta la sua candidatura per le regionali, perché pendeva un procedimento disciplinare dinanzi al Collegio dei probiviri.
L’articolo 4 dello Statuto esplicita le finalità proprie del movimento di “individuazione, selezione e scelta di quanti potranno essere candidati a promuovere le campagne di sensibilizzazione sociali, culturali e politiche promosse da Beppe Grillo”. Siamo al partito del capo. Il giudice dispone però la sospensione della decisione dello staff di Grillo di escludere Mauro Giulivi dalle primarie per i candidati alle regionali siciliane.
Il ricorso per la sospensione dell’espulsione di Mario Canino viene depositato alla terza sezione civile del tribunale di Roma, Il 21 marzo del 2016. Canino vuole che l’Associazione MoVimento 5 Stelle lo inserisca nella lista per le comunali di Roma del giugno. All’udienza di maggio, il movimento non si presenta, e il giudice decide di sospendere il provvedimento di espulsione di Canino.
Leggendo la decisione della settima sezione civile del tribunale di Napoli, si trova riportata la mail assassina, quella spedita dallo staff di Beppe Grillo, con la quale si comunica l’espulsione dei militanti che poi si rivolgeranno alla giustizia civile (in questo caso, il reclamo è sottoscritto da venti militanti espulsi): “Le scriviamo in nome e per conto di Beppe Grillo, con riguardo ad alcune segnalazioni che ci sono pervenute. Ci risulta che lei ha partecipato al gruppo segreto ‘Napoli libera’ realizzato allo scopo di manipolare il libero confronto per la formazione del metodo di scelta del candidato sindaco e della lista per le amministrative di Napoli del 2016. Per questi motivi viene sospeso dal MoVimento”. Si giustificano gli espulsi: “Napoli libera voleva stimolare il dibattito politico sulla scelta del candidato a sindaco”. Il tribunale di Napoli non riconosce legittimità “all’entità autodefinitasi lo staff di Beppe Grillo, non prevista dal non-statuto”. E il 13 luglio del 2016 il giudice sospende le espulsioni dei venti militanti napoletani.
Riccardo Nuti, ex parlamentare, voleva essere candidato alle comunali di Palermo, ma viene sospeso “solo per essere stato indagato dalla procura di Palermo per reati di falso attinenti alla raccolta e autenticazione delle firme dei sostenitori per le elezioni comunali del 2012”. Nell’accettazione della candidatura, Nuti aveva firmato l’accordo che prevedeva di doversi dimettere solo se condannato in primo grado. Il tribunale conclude “accertando e dichiarando l’invalidità del Regolamento del MoVimento 5 Stelle pubblicato sul blog beppegrillo.it il 23 dicembre del 2014”. E dunque i provvedimenti di sospensione di Riccardo Nuti sono illegittimi.
Nel frattempo, vista la gragnuola di atti giudiziari, il MoVimento 5 Stelle, fondato da Grillo e Casaleggio senior nell’ottobre 2009, chiude i battenti alla chetichella il 21 dicembre del 2017, quando Davide Casaleggio e Luigi Di Maio, con l’avallo di Beppe Grillo, fondano il nuovo omonimo partito, dotandolo di uno Statuto elaborato da un noto studio legale genovese, quello dell’avvocato Luca Lanzalone. Tra le chicche: il vincolo di mandato e la sanzione pecuniaria di centomila euro per i parlamentari espulsi per violazione del vincolo. Clausola attualmente sub iudice davanti al tribunale di Roma, a seguito dell’impugnazione dell’espulsione “irrogata” a Gregorio De Falco per non aver votato la fiducia per i decreti sicurezza, quelli più rinnegati dagli stessi vertici pentastellati nell’esperienza del governo giallorosso.
L’altro giorno è arrivata l’ennesima tegola giudiziaria da Napoli, che porta a rimettere in discussione la nomina dello stesso presidente, Giuseppe Conte. Il commento di Grillo ai suoi è significativo: “L’idea di indire la nuova votazione con l’assemblea degli iscritti al completo per rivotare il nuovo Statuto dimostra come non abbiate capito quanto la cosa sia seria”.