Il “sistema creativo” a Roma vale più di tredici miliardi di euro (stima del 2022) e impegna oltre 170mila addetti. Sono i dati cardine dell’idea di città che emerge dal libro di Luca Bergamo, ex assessore alla cultura della giunta Raggi, intitolato È qui il mio respiro (Sossella editore). Si inquadra così quella che Bergamo documenta come l’area urbana più estesa e caotica d’Europa. Roma, per l’estensione delle sue ramificazioni residenziali e per la densità delle sue aree abitate, si presenta come l’entità più consistente e articolata tra le grandi capitali europee. Un sistema in cui le distanze, geografiche e sociali, determinano mondi paralleli, che sempre meno hanno relazione fra loro.
In questo spazio, parlare, per esempio, di città in quindici minuti (vedi qui) rischia di ratificare una separazione strutturale fra le diverse componenti urbane, che si troverebbero rinserrate in se stesse. Il collante di questa città-Stato è proprio la cultura, o meglio – spiega Bergamo –, il racconto, la relazione narrativa. Rivisitando la sua esperienza di assessore e vicesindaco (prima in parte supportato dalla giunta Raggi, e poi mal sopportato da un sindaco sospettoso e autoreferenziale), l’autore combina insieme i tratti della sua crescita civile e culturale, nei meandri istituzionali e politici della capitale, con quelle opportunità che si sono affacciate durante la gestione grillina, ma che poi sono inesorabilmente rimaste a metà strada.
Interessante, nella prima parte del libro, lo squarcio sul backstage del lavorio negli apparati comunitari che si occupano di giovani. Emerge una realtà troppo frettolosamente derubricata a carrozzone burocratico, ma che riserva positive sorprese per la capacità di intercettare (come capitò con il meeting dei giovani a Bari nel 2010) spinte e domande che serpeggiano fra le nuove generazioni, e alle quali la politica, sia locale sia nazionale, non riesce a rispondere.
Bergamo, come sintesi delle sue molteplici esperienze – militante di sinistra, informatico, gestore di esperienze comunitarie giovanili, e infine amministratore pubblico e impresario di strategie culturali nella città –, coglie lucidamente il groviglio di poteri e soggetti che si sovrappongono nel ridisegno di una realtà urbanistica come quella della megalopoli romana. Citando Manuel Castells e la sua opera sulla Società in rete (Bocconi editore), Bergamo spiega come “la gente vive nei luoghi, ma il potere governa attraverso i flussi”: intendendo con “flussi” quei fenomeni trasversali che congiungono e omologano i territori nella transizione tecnologica, cosi trasformando le vivibilità in fatturato. Come intromettersi in questa morsa, creando spazi per la politica – come peraltro ha chiesto il papa nel suo intervento al G7, in cui, riferendosi all’intelligenza artificiale, ha insistito sul fatto che, se la tecnologia sta cambiando tutto, la politica deve cambiare la tecnologia?
Bergamo ci propone un kit operativo in cui viene esemplificata una strategia d’intervento sul territorio. La materia prima è la cultura, o meglio, i sistemi e i linguaggi culturali, che riaggregano le comunità sul territorio. Bergamo ricorda la prima fase della sua azione nella giunta Raggi, con la creazione di una realtà come “Enzimi”, una società di progettazione di eventi culturali, che doveva guidare quei flussi che, arrivando dall’esterno, attraversano la città. O come il piano dei parchi culturali, che prevedeva la disseminazione, nelle aree periferiche, di centri di lettura e biblioteche che dessero forma a un’aggregazione civica dei giovani. Il piano però rimase in sospeso, e infine fu dismesso quando Bergamo entrò in collisione con la sindaca, allo stesso modo della idea di una programmazione triennale tale da permettere alle strutture cittadine di non vivere alla giornata.
Si intravedono, in questo passaggio, le miserie di una pubblica amministrazione che continua a far prevalere gli interessi di gruppi e tribù rispetto a quelli della cittadinanza, e si scorge, dentro l’infrastruttura politica che reggeva la maggioranza a 5 Stelle, una fragilità nella direzione e nella strategia, sempre ridotta agli interessi del leader del momento. È Raggi che detta l’agenda politica ai 5 Stelle, in base alle geometrie variabili del suo staff, e non viceversa. Una logica che si ritrova intatta nell’attuale congiuntura post-elettorale, che vede Conte e Grillo posizionarsi in base ad ambizioni e progetti elaborati in funzione di una propria tattica che, in riferimento a chi prevarrà sulla scacchiera, diventeranno poi strategia del Movimento.
Il testo di Bergamo svela così una storia che, per quanto in qualche modo nota, non era stata ancora irrobustita dal racconto di esperienze dirette. E soprattutto propone un’agenda operativa per la città che rimane ancora centrale: dare a Roma strumenti e energie – appunto enzimi, potremmo dire – che la facciano diventare padrona dei propri flussi. Un’idea che dovremmo oggi ricalibrare alla luce di quanto sta accadendo in Campidoglio, alla vigilia di un evento come il Giubileo, con masse enormi di capitali impiegati, senza che si sia discussa minimamente una bussola che possa guidare, almeno su alcuni punti, una trasformazione del sistema civile e di cittadinanza nella capitale.