Joe Biden ha dichiarato: “Non possiamo essere così”. E invece sono proprio così, bisogna che ne prendano atto. L’attentato a Trump si inscrive in una lunga tradizione. Non parliamo della diffusione delle armi, degli sparatori folli che fanno fuori a frotte i loro compagni di scuola – e nemmeno delle uccisioni a sfondo razzista da parte della polizia (anche se tutto questo, ovviamente, un suo peso ce l’ha). Parliamo proprio della violenza nella contesa politica, che negli Stati Uniti è un dato quasi antropologico, legato non a un’idea di collettività ma, come ai tempi dell’assassinio di Kennedy, al cecchino solitario che prende la mira e fa fuoco.
Solo che il fondale del dramma è oggi mutato. Riguardo a Trump, infatti, sarà difficile, anche per i più tenaci dietrologi, andare a cercare gli autori di un complotto che, come si ricorderà, nel caso dei due Kennedy sarebbe stato ordito dai “comunisti” (Oswald, in effetti, era stato in Unione sovietica e Sirhan si considerava un militante della causa palestinese), o, al contrario, dalla destra reazionaria coadiuvata dalla mafia, che mal sopportava i dirigenti progressisti. In questo caso potremmo dire: “chi di violenza ferisce, di violenza perisce” – anche se Trump non è affatto morto, è stato colpito di striscio, ed esce politicamente rafforzato dal tentativo di farlo fuori. Ma le radici più prossime di questa violenza stanno tutte all’interno della politica americana recente: in particolare, nel colpo di mano del 6 gennaio del 2021 a Capitol Hill. Chi si è macchiato di una siffatta rottura della legalità democratica, non può stupirsi se poi qualcun altro cerca di eliminarlo dall’agone politico. Il paradosso, però, è che questo tipo di violenza del “batti e ribatti” contrassegnava alcune situazioni tipicamente sudamericane: per quanto riguarda il Brasile, per esempio, si pensi da ultimo a Bolsonaro, vittima di un fallito attentato che giovò alla sua elezione.
Ma è il “popolo” bolsonariano che imita quello trumpiano, quando dà a sua volta l’attacco al parlamento (vedi qui)? O sono i trumpiani che hanno assunto fin dall’inizio una postura bolsonariana? E se qualcuno, in Argentina, attenta alla vita di Cristina Kirchner (vedi qui), chi sta emulando? E ancora, per arrivare all’Europa, colui che ha sparato al premier slovacco Fico a chi si ispirava? Le risposte a queste domande fluttuano nell’indeterminato.
Possiamo dire soltanto che ci sono molti profili sotto cui osservare la sudamericanizzazione di quel Paese che a taluni appariva, fino a non troppo tempo fa, la patria d’elezione della democrazia occidentale, e diverse ragioni da addurre per spiegarne l’imbarbarimento. A noi preme però sottolineare qui un unico aspetto: quello della polarizzazione intorno a due personalità, tipica del sistema presidenziale e di un processo elettorale che favorisce la violenza. È invece la democrazia parlamentare che disinnesca le armi da fuoco, perché fa del momento collettivo, espresso appunto dal parlamentarismo anche con la ricerca di compromessi tra forze differenti, e dei collettivi che sono i partiti – quelli che proprio il leaderismo populistico tende a svuotare –, i centri nevralgici della vita politica. Per questo chi ha un impianto costituzionale basato sulla democrazia parlamentare, come il nostro, farebbe bene a tenerselo stretto.
Post-scriptum – Per approfondire un eventuale parallelo tra gli Stati Uniti e il Brasile, bisogna notare come la magistratura brasiliana abbia già condannato a otto anni di ineleggibilità l’ex presidente, a causa dei suoi attacchi al sistema elettorale elettronico, e abbia ora aperto un’ulteriore procedura, ai danni suoi e del suo clan, per malversazione e appropriazione indebita (Bolsonaro avrebbe rivenduto privatamente dei preziosi sauditi donati allo Stato). Nulla di paragonabile sta accadendo a Trump, il quale, se si esclude la condanna per il denaro dato alla pornostar, sta uscendo invece indenne da tutte le accuse. È una sudamericanizzazione per eccesso, quella che si può osservare negli Stati Uniti rispetto al Brasile. In quale dei due Paesi il leaderismo populistico trionfa di più?