Discutevano da tempo, nel governo e nella maggioranza, su come rendere più umane le carceri, su come evitare i suicidi di detenuti e anche del personale, su come ridurre il numero della popolazione carceraria. Ma ogni discussione si concludeva con l’introduzione di nuovi reati. Con una stretta su ordine e sicurezza. Il “decreto Caivano” è stato l’esempio concreto della criminalizzazione del disagio giovanile, con l’inasprimento delle sanzioni per i minorenni, allargando il ventaglio di norme incriminatrici. E così, quello che si annunciava come un provvedimento “svuotacarceri”, ha svelato la propria drammatica impotenza, se non la vocazione suicida, nell’impedire l’ingovernabilità delle carceri. Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, commentando il decreto approvato ieri dal Consiglio dei ministri, ha parlato di “umanizzazione carceraria”, perché il provvedimento concede ai detenuti di fare sei e non quattro telefonate ai familiari al mese. Parla di “umanizzazione” e assume mille nuovi agenti di polizia penitenziaria in due anni, più una ventina di dirigenti. Riorganizza le “truppe”, dopo avere creato nuclei mobili di pronto intervento per sedare le rivolte.
Il capo del Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità di via Arenula, Antonio Sangermano, sentito dalla Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza, ha riconosciuto che, con il “decreto Caivano”, la popolazione carceraria minorile è aumentata, passando da 835 del 2021 a 1143 del 2023, di 586 unità in più nei primi sei mesi di quest’anno. Il carcere dovrebbe essere una extrema ratio, e invece i giovani – tantissimi i minori stranieri non accompagnati – affollano i circuiti penali. Le prigioni sono diventate il lato oscuro della nostra società, un velo che nasconde persone in difficoltà. I minorenni detenuti sono figli dei disturbi ambientali e comportamentali. Fanno “un uso smodato – denuncia il responsabile del ministero della Giustizia, Sangermano – di psicofarmaci e alcol”.
“Non possiamo restare indifferenti di fronte all’emergenza delle carceri – dichiara il portavoce dei garanti regionali dei detenuti, Samuele Ciambriello –, dei quarantasette suicidi avvenuti dall’inizio dell’anno, ventiquattro hanno deciso di togliersi la vita nei primi sei mesi di carcere, sei nei primi quindici giorni, e tre nei primi cinque giorni di detenzione; diciassette erano in attesa di giudizio”. Aggiunge Ciambriello: “Dalla lettura dei dati è emerso che, tra questi quarantasette suicidi, undici persone avevano già precedentemente messo in atto almeno un tentativo di suicidio, quattro di questi suicidi erano al momento dell’atto sottoposte alla misura della ‘grande sorveglianza’, quattordici, invece, sono le morti ancora da accertare. Un dato che fa riflettere è l’età dei detenuti: sette avevano tra i 18 e i 25 anni. L’età media delle persone che si sono tolte la vita è di 39,5 anni. Riguardo alla nazionalità, ventisei erano italiani e ventuno stranieri”.
Aspettiamo il risultato delle votazioni in parlamento, tra due settimane, sulla “liberazione anticipata” dei detenuti, che già oggi ne usufruiscono sottraendo alla pena quarantacinque giorni di detenzione ogni anno, per buona condotta. La proposta del parlamentare di Italia viva, Roberto Giachetti, è di innalzare a sessanta i giorni da sottrarre alla pena ogni anno. Anche Forza Italia potrebbe votare questa che è sicuramente una iniziativa deflattiva, mirando a ridurre la popolazione carceraria, che ha pericolosamente superato la soglia dei posti letto. Oggi i detenuti sono 61.547 contro 51.241 posti letto.
“Le misure del governo non incideranno sul sovraffollamento essendo afflitte da minimalismo”. Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, è pessimista: “Per contrastare l’isolamento penitenziario e incidere sulle cause dei suicidi sarebbe stato necessario prevedere telefonate quotidiane e non una ogni cinque giorni. Inoltre, la misura entrerà in vigore tra sei mesi almeno. Un’altra estate passerà invano”.
In un comunicato stampa, l’associazione Antigone ribadisce: “Assumere sempre e solo poliziotti non basta. Bisognerebbe anche aumentare il numero di educatori, mediatori, assistenti sociali, medici, psichiatri, etno-psichiatri, interpreti, direttori. Altrimenti trasformiamo le carceri in un luogo di ordine pubblico. La previsione poi di inviare ben ottantacinque agenti in Albania, per gestire la prigione che nascerà in quel Paese, è irriguardosa per chi fa turni massacranti in Italia e apre le porte a una pericolosa esternalizzazione della detenzione, come ai tempi del colonialismo”.