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Procura di Roma, il perché di una rimozione

Perde il suo incarico Michele Prestipino per la guerra tra componenti nella magistratura. Una prima cronistoria dell’organizzazione per correnti dei giudici

18 Febbraio 2021 Rita Di Giovacchino  619

Il procuratore di Roma Michele Prestipino, magistrato onesto e preparato, a due anni dal suo insediamento è stato rimosso dall’incarico. Il fatto non ha precedenti nella storia della poltrona più ambita dell’amministrazione giudiziaria che, come da sempre si dice, equivale per chi la occupa ad essere tre volte ministro. Per l’importanza delle inchieste e dei processi che qui si svolgono e per il potere di avocare ogni altra inchiesta e processo che abbia risvolti politici o istituzionali presenti in ogni procura d’Italia. Insomma Roma è Caput mundi anche per la giustizia. A deciderlo è stato il Tar del Lazio, che ha accolto il ricorso di altri due candidati, quello del procuratore di Palermo Francesco Lo Voi e del procuratore generale di Firenze Marcello Viola, respinto invece il terzo ricorso del procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo.

Prestipino ha già fatto ricorso al Consiglio di Stato ma le motivazioni della sentenza sono pesanti: il magistrato non ha i titoli necessari per ricoprire quel ruolo, non è mai stato procuratore di nessuna altra procura più piccola come richiesto dall’ordinamento, mentre i curricula degli altri aspiranti sono ben più corposi. Trapela tra le righe anche un certo pregiudizio nei suoi confronti: “Se è stata la raffinata conoscenza delle mafie tradizionali che ha consentito al dottor Prestipino di cogliere e sviluppare processualmente l’originalità della situazione peculiare di Roma, non si comprende come tale capacità non poteva essere riconosciuta anche al dottore Lo Voi (procuratore di Palermo ndr)”.

Una stilettata da cui trapela quasi un’allusione alle modalità che hanno portato alla nomina di Prestipino, una vicenda che si intreccia al caso Palamara e a quel Sistema che lo stesso ras delle nomine, come è ormai definito l’ex presidente dell’Anm, ha provocato e che sta scuotendo dalle radici tutta la magistratura ma soprattutto i suoi organi rappresentativi.  L’Associazione nazionale magistrati, ovvero il sindacato delle toghe, e il Consiglio superiore della magistratura, l’organo di autogoverno, sono i luoghi privilegiati dove si confronta il potere delle correnti che sono ormai arbitri “in terra del bene e del male”, cui spetta ogni decisione su promozioni o trasferimenti, incarichi di ogni livello in grado di assicurare che in ogni posto vada il magistrato “giusto” per indirizzare a seconda del contesto politico vigente l’esito di inchieste e processi che, in un modo o nell’altro, possono avere influenza sugli equilibri politici e istituzionali. Insomma sono le correnti le colonne del Sistema che decide chi sta dentro e chi sta fuori e chi aspira alla carriera deve come prima cosa iscriversi a una delle correnti che hanno nelle mani non soltanto le sorti dei singoli magistrati ma anche i destini della politica italiana.

Le correnti attualmente sono quattro. Quella più antica e più di sinistra è certamente Magistratura democratica, denominata oggi Area. Nata a Bologna nel 1964 per iniziativa di un gruppo di magistrati ideologizzati legati in prevalenza al Pci e ad altri gruppi di sinistra. C’è poi Unicost, considerata di centro, piuttosto in sonno fin quando Palamara non se ne è impossessato rilanciandola e facendola diventare l’ago della bilancia del governo e del sindacato dei giudici. La terza è Magistratura Indipendente, considerata di destra nel senso che è la più conservatrice. Negli ultimi anni con l’ascesa dei grillini è nata una quarta corrente, Autonomia e Indipendenza rappresentata da due togati di grido, il milanese Davigo e il palermitano Di Matteo. Con il loro ingresso i giochi all’interno del Sistema si sono vieppiù complicati e in qualche modo il caso Prestipino ne costituisce il vulnus profondo.

 Fu una nomina andata in porto non senza difficoltà, tra colpi di scena e imprevisti cambi rotta. Ad esempio Davigo, che aveva appoggiato la candidatura di Viola, all’improvviso per motivi mai chiariti ci ripensa e vota per Prestipino. Una nomina che ora rischia di essere cancellata, se il Consiglio di Stato respingerà il ricorso del procuratore di Roma. Se c’era bisogno di un timbro che sancisse la crisi del Sistema, questo lo ha messo il Tribunale amministrativo.  

 Per tornare alla contestata nomina di Prestipino e al suo stretto legame con lo scandalo Palamara bisogna tornare alla sera dell’8 maggio 2020 quando il trojan (captatore informatico utilizzato anche per indagini di corruzione)della Finanza – forse illegittimamente collocato nel cellulare dell’ex presidente dell’Anm per un’accusa di corruzione immediatamente caduta – ha riportato le concitate frasi dei presenti all’ormai famosa cena all’Hotel Champagne di Roma cui parteciparono, oltre ad alcuni magistrati del Csm, Luca Lotti all’epoca braccio destro di  Matteo Renzi e Cosimo Ferri  deputato del Pd e da sempre molto influente nelle nomine del Csm. Quella sera si parlò quasi esclusivamente di chi collocare alla Procura di Roma. Ma per capire meglio bisogna fare un salto indietro di otto anni quando a Roma approdò Giuseppe Pignatone, già aggiunto a Palermo e poi procuratore di Reggio Calabria. Anche in questa nomina Palamara racconta di aver avuto un ruolo decisivo. Ma ecco che il neo procuratore appena arrivato a Roma sente l’esigenza di portare con sé uomini di sua stretta fiducia. Il primo ad arrivare dalla Calabria è il suo vice Prestipino, il secondo il questore Renato Cortese che con Pignatone ha firmato la cattura di Bernardo Provenzano.

La squadra è pronta, un vecchio pallino di Pignatone è smantellare la rete criminale presente a Roma, dove sono confluiti personaggi di rango della fu Banda della Magliana. L’indagine si apre con la caccia a Massimo Carminati. Il problema non è arrestarlo, l’ex terrorista nero tra un’assoluzione e l’altra è quasi incensurato e circola liberamente per Roma. L’obiettivo è trovare le prove che il gruppo che si muove con lui ha modalità tipiche dell’organizzazione mafiosa. Nasce così l’inchiesta Mafia Capitale che assorbirà molte energie della Procura di Roma ma che alla fine non avrà il placet della Cassazione. Quella di Carminati, sostiene la Suprema Corte, è un’organizzazione malavitosa specializzata in rapine ed estorsioni ma non è mafia.

Pignatone dopo otto anni lascia la Procura, sta per andare ad occupare il ruolo di Presidente del Tribunale dello Stato Vaticano. Un incarico cui tiene molto, ma anche per questo vuole lasciare al suo posto un uomo di fiducia che possa proseguire nel lavoro della “squadra”. Il prescelto è ovviamente Prestipino, ma la bocciatura della Cassazione costituisce il primo ostacolo. Il secondo lo fornisce il trojan che per oltre un mese, tra aprile e maggio 2020, registra ogni incontro e minimo movimento di Palamara, dall”incontro all’Hotel Champagne a episodi minori o del tutto privati della vita del magistrato. Ma ogni tanto s’inceppa e ad esempio non registra la cena tra lui, Prestipino e Pignatone, appuntamento fissato poche ore prima ma ignorato dal trojan. Una cena in cui si doveva decidere la strategia per ottenere la nomina di Prestipino. Ma sul contenuto dell’incontro, click! e cala il silenzio.  

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