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La guerra e il nichilismo dell’Occidente

Stiamo perdendo senza neanche saperlo? Sembrerebbe di sì, come cercheremo di dimostrare seguendo un percorso logico a partire da “noi”, perché la guerra la stiamo perdendo culturalmente “noi” non la sta vincendo Putin. Vi sono operanti tre filoni culturali rappresentati attraverso tre noti commentatori. Il primo è quello offerto dalla presenza del professor Alessandro Orsini. Lui, anche al di là di quanto dice, è il rappresentante di un pensiero che ci invita a considerare le nostre “colpe” nel processo che ha portato alla guerra. È qualcosa che incontra una diffusa sensibilità cattolica, la quale antepone a tutto il “confessare i propri peccati”, e una sensibilità ex comunista, che antepone a ogni cosa la malvagità della Nato. Entrambe le posizioni – confessare le proprie colpe e ritenere malvagia la Nato – hanno un fondamento nella realtà, un senso.

Il secondo filone lo identificheremo con il direttore di “Libero”, Alessandro Sallusti, che ci invita a prendere atto della realtà del qui e adesso: come non vedere la barbarie delle azioni compiute oggi da Putin? Anche questa posizione ha un senso, essendo evidente che si riferisce a un dato che vediamo ogni giorno in diretta tv.

Il patriarca di Mosca, una teologia al servizio di un impero

La prima voce che si è levata a sostegno delle tesi espresse dal patriarca di Mosca, Kirill, secondo il quale in Ucraina è in atto una guerra tra lo spirito russo e l’Occidente corrotto, è stata quella dell’ayatollah Khamenei. Il fatto che il primo sia un cristiano ortodosso e il secondo la guida della rivoluzione islamica iraniana non deve sorprendere: entrambi esprimono un pensiero apocalittico e teocratico. Che si esprima da una prospettiva islamica o da una prospettiva cristiana, cambia qualcosa, ma il pensiero di fondo resta lo stesso. Decisiva, usando una terminologia teologica, è la resistenza all’Anticristo, che il patriarca moscovita vede prendere forma nel “mondo russo”, quello che la sua Chiesa rappresenta e il Cremlino guida.

Lo spirito russo è quello del “mondo russo”, con una capitale politica, Mosca, una capitale spirituale, Kiev, dove la Rus’ si convertì, con una Chiesa che è quella moscovita. Essa esprime lo spirito proprio di Russia, Bielorussia, Ucraina, Moldavia, Kazakistan. Dunque quella di Kirill è una Chiesa etnica, non una Chiesa universale, e incarna la missione di un popolo. Per questo non può concedere un centimetro di suolo del “mondo russo”, che sotto la guida del suo presidente deve combattere le forze del Male rappresentate dall’Occidente liberale e corrotto. L’esportazione della rivoluzione iraniana ha intenti analoghi: mira a unire tutto l’islam per consentire, dopo di ciò, la vittoria celeste. Ma la visione di Kirill è contestata dalla teologia ortodossa che, con il patriarcato ecumenico di Costantinopoli, ha riconosciuto la Chiesa ucraina indipendente, e per questo è stata scomunicata da Mosca con tutte le altre Chiese ortodosse che l’hanno seguita. Analogamente, la teologia sciita non khomeinista ritiene che la conquista dell’islam sia un’eresia finalizzata a ricreare l’impero persiano. Il fondamentalismo sunnita è l’opposto analogo, e ha avuto espressioni teologiche chiare, come quella wahabita.

L’Ucraina, la Siria e i corridoi umanitari

Difficile organizzare idee razionali sotto fatti emotivamente forti come quelli di questi giorni. Si rischia di farsi travolgere dalle passioni, dalle emozioni, che sarebbe più giusto chiamare in-mozioni, con riferimento a ciò che il mondo esterno ci fa esplodere dentro. Proverò così a liberarmi della rabbia che ho dentro, respirando in profondità. Limitandomi a esporre un pensiero “freddo”. Ma della mia rabbia devo dire che c’è, e riguarda chiunque tifi per la pace pacifista o la guerra bellicista, ma con il sacrificio degli altri, dal suo sofà. Siccome io, personalmente, sono figlio di un partigiano combattente, deportato in Germania, devo premettere che queste due tifoserie sono lontane da me.

Il mio pensiero “freddo” non può che partire da una parola che non possiamo bandire dal nostro vocabolario, perché corrisponde a qualcosa di reale: la parola è “terrorismo”. Creando la famosa war on terror i neoconservatori, ai tempi di George W. Bush, ne hanno fatto un’ideologia. Arrivando ad ammettere danni, ma “danni collaterali”, mentre si combatteva quella war on terror. Le vittime civili non erano più vittime, ma, appunto, danni collaterali. I terroristi poi non venivano uccisi, ma “eliminati”. La storia di chi per tanti motivi finiva nella loro rete apocalittica è stata rimossa a priori, sempre. Questo punto di vista non può esserci, perché comunque “terrorista”. Ciò ha giovato al terrorismo ideologico, che esisteva, esiste e sceglie l’Apocalisse, l’idea di creare uno scontro sempre più forte e totale da condurre alla fine del mondo, e quindi alla giustizia divina.

Le cause di una guerra

Davvero la Russia ha temuto la Nato alle porte di casa? O ha temuto, piuttosto, che la libertà dei vicini potesse causarle un contagio?...

Tra la Russia e la Nato una partita che riguarda l’Europa...

Nelle ore in cui il presidente turco, Erdogan, è a Kiev, per firmare importanti accordi bilaterali e tentare una mediazione tra il suo interlocutore ucraino e il suo omologo russo, vale forse la pena di ricordare che la Turchia è ancora un membro della Nato. Un’adesione sempre più problematica, visto che Erdogan ha maggiore familiarità con Putin, e vorrebbe importarne la ricetta politica nel suo Paese al fine di portare a casa l’ennesima rielezione l’anno prossimo. Un mediatore più amicale Putin non poteva trovarlo. I due hanno consolidata esperienza di spartizione mediorientale, cresciuta nel tempo, da quando Ankara e Mosca furono sul punto del baratro diplomatico per via di quel mig russo, diretto in Siria, abbattuto da Ankara perché sconfinato sui propri cieli.

Le ambiguità, del resto, non hanno salvato la Turchia dal corrente disastro economico, ma potrebbero tornare utili a tutti in questo momento, così da trovare il bandolo per parlarsi e uscire dallo stallo ucraino. Questo stallo non riguarda solo l’Ucraina: ha come posta in gioco l’intero assetto della sicurezza europea, com’è stato definito tra le parti dopo il crollo dell’Unione Sovietica. La questione riguarda tutta l’Europa, anche questa Italia più attenta al festival di Sanremo che alle vicende internazionali, quasi che la nostra sicurezza non ci riguardasse. Non è così; e l’uso spregiudicato della carta “forniture del gas russo”, oggi quasi in regime di monopolio, dovrebbe dimostrarlo a tutti i cittadini-telespettatori.

Lo strano ritorno dell’Unione Sovietica

Prima di entrare in un conflitto bisogna capire le ragioni dell’altro, e sarebbe meglio se a farlo fossero entrambi i possibili belligeranti. Provando a...

La scomparsa di Desmond Tutu, alta coscienza del Novecento

Un funerale in assoluta semplicità, solo con i garofani della sua famiglia e le poche persone, un centinaio, ammesse dalle normative dovute alla pandemia....

Bergoglio a Cipro e in Grecia

Il viaggio di papa Francesco a Cipro e in Grecia ha un significato evidente e diverse implicazioni che lo sono meno. Il significato evidente sta nel confronto con il patriarca cipriota che, dopo l’annuncio della decisione del papa di accogliere in Vaticano cinquanta migranti bloccati a Cipro, ha detto, con riferimento al trafugamento di beni archeologi da parte dei turchi: “In passato abbiamo avuto modo di esprimere la stessa richiesta a papa Benedetto, che, di fatto, ha mediato presso il governo tedesco e siamo riusciti a riportare cinquecento frammenti della nostra cultura bizantina (trafugati dai turchi, ndr). Attendiamo con impazienza anche il suo aiuto, santità, per la protezione e il rispetto del nostro patrimonio culturale e per la supremazia dei valori incalcolabili della nostra cultura cristiana, che oggi vengono brutalmente violati dalla Turchia”.

Ma se le rivendicazioni perdono la capacità di comprensione delle altre rivendicazioni, nessuna di esse avrà più senso. Perciò Francesco, in questo momento di centralità delle più varie pretese, incapaci di riconoscere un valore primario a loro superiore (da quelle dei “no vax” a quelle di chi, pur affermando la decisiva funzione del vaccino, lo ha negato a coloro che non possono pagarlo, creando così le condizioni per la diffusione globale del virus mutato) è andato in Grecia – culla dell’Occidente, della polis e della democrazia – e a Cipro, punto di diffusione verso l’Oriente del cristianesimo, per dire che il metro che consente di dare un valore a ogni rivendicazione è quello dei profughi: negare il diritto all’asilo a chi fugge dall’Afghanistan dei talebani, dalle milizie di persecuzione confessionale che ancora tormentano yazidi, curdi, oltre a molti arabi e africani, può segnare il naufragio della nostra civiltà.

Interpol, quando si dice l’uomo giusto al posto giusto

Quando molte cose ci erano più chiare, si diceva che i nomi sono conseguenza delle cose. Diventa così curioso notare come petromonarchi del Golfo e iraniani, in guerra perpetua tra loro, si ritrovino ognuno per proprio conto dietro lo stesso nome: Raisi. Raisi è infatti il nome del nuovo presidente dell’Iran, con eccellenti record nella repressione e nella violazione dei diritti umani, e al-Raisi è quello candidato e portato dai petromonarchi alla presidenza dell’Interpol. Anche lui è accusato di torture. La novità che interviene al suo riguardo è che, per essere eletto, ha dovuto ottenere copiosi consensi, visto che il presidente dell’Interpol (la cui sede centrale è a Lione, in Francia) viene eletto dai delegati dei diversi Paesi aderenti con una maggioranza qualificata, nel suo caso con il 68,9%. Ahmed Naser al-Raisi ha sì avuto bisogno di tre votazioni per farcela, ma alla fine è passato: ispettore generale del ministero degli Interni degli Emirati arabi uniti, assumerà ufficialmente la presidenza dell’Interpol nel 2022.

A suo carico non ci sono solo le parole di due cittadini europei, detenuti in passato negli Emirati arabi uniti, che lo accusano di averli fatti torturare. Ha scritto Luigi Mastrodonato su “Wired”: “La vicenda forse più nota a livello internazionale è quella di Ahmed Mansoor, attivista per i diritti umani arrestato prima nel 2011 e poi di nuovo nel 2017 per “offesa allo status e al prestigio degli Emirati arabi uniti e dei suoi simboli, compresi i suoi leader”. L’uomo, che tramite un blog e i social network denunciava le violazioni dei diritti umani nel Paese, aveva firmato diversi appelli per riforme politiche e negli ultimi anni ha ricevuto molti premi internazionali per il suo attivismo che non ha potuto ritirare prima a causa del ritiro del passaporto, e poi perché sta scontando una condanna di dieci anni di carcere. Gli attori internazionali governativi e non governativi non hanno mai perso di vista questa storia: lo scorso settembre il parlamento dell’Unione europea ha approvato l’ennesima risoluzione di condanna degli Emirati. E Il Gulf Centre for Human Rights ha presentato una denuncia in Francia proprio contro il nuovo presidente dell’Interpol, accusandolo di “atti di tortura e barbarie” nel caso Mansoor.

Sul “fine vita” e l’io sovrano

Il cardinale Carlo Maria Martini meritava la fama che ha avuto e che ha. Tra i motivi di questa sua fama, c’è senza dubbio...