17 novembre 2020. Gli Stati Uniti erano ancora immersi in una inaudita guerra di cifre tra il presidente uscente, Donald Trump, e il presidente eletto, Joe Biden, secondo cattolico della storia americana designato a entrare da presidente alla Casa Bianca. Accuse di brogli, tentativi tanto infondati quanto feroci di delegittimare il voto. Il presidente della Conferenza episcopale cattolica degli Stati Uniti, l’arcivescovo José Gomez, quel giorno si è rivolto a Joe Biden come presidente eletto, segnalando che la sua posizione politica, favorevole alla legislazione che consente la scelta di abortire, costituiva un serio problema e che un gruppo di lavoro della Conferenza episcopale se ne sarebbe occupato.
20 gennaio 2021. Era appena passato il drammatico assalto a Capitol Hill, da parte dei sostenitori di Donald Trump, e l’America in ansia cercava di procedere nel suo cammino democratico, arrivando all’inaugurazione della presidenza Biden. José Gomez quel giorno scrisse un messaggio ufficiale al nuovo presidente degli Stati Uniti, soffermandosi soprattutto sulla questione dell’aborto e sulla sua preminenza su tutto il resto. Che l’aborto sia una scelta legislativa insostenibile per la Chiesa cattolica è condiviso da tutti; ma il cardinale progressista Cupich, quel giorno, parlò di comunicato sconsiderato per un altro motivo, per la “preminenza”. Traduciamo: pandemia, questione migratoria, giustizia sociale, difesa della libertà religiosa, della famiglia, dei diritti delle donne, dei bambini, della pace, che questioni sono per chi indica la preminenza del problema aborto?
Si è arrivati così al 18 giugno 2021. La maggioranza dei vescovi ha deciso di costituire un comitato che elabori un documento sulla coerenza eucaristica dei politici cattolici che non seguono gli insegnamenti morali della Chiesa, confermando la preminenza della questione dell’aborto. Il testo sarà votato nella prossima assemblea dei vescovi, a novembre. L’intenzione sembra proprio quella di affermare che Joe Biden e Nancy Pelosi non sono coerenti e non dovrebbero ricevere la comunione: il vescovo che presiederà la commissione ha assicurato che non si faranno nomi, ma si stabilirà un criterio. Il voto ha visto il sì di 168 vescovi, il no di 55, l’astensione di 6 e numerose assenze.
Basterà l’assicurazione che non si faranno nomi (chissà poi se sarà proprio così) per calmare le acque, o la robusta minoranza continuerà a credere che la maggioranza usi il sacramento della comunione come arma politica? Il dibattito ha indicato che proprio questo è lo stato dell’arte ed è importante capire perché.
Da molto tempo si è rafforzata negli Stati Uniti una componente “integerrima”, convinta che sia in atto una guerra: secolarizzazione contro cristianesimo. Sovvertendo la dottrina sociale della Chiesa, essa vede nella concorrenzialità un tratto naturale dell’uomo. Dunque il capitalismo è l’unico sistema che funzioni e il liberismo lo rende vincente, in virtù della nota teoria dello “sgocciolamento” del benessere che, con il favorire i ricchi, si determinerebbe a favore dei poveri. Le guerre preventive su scala mondiale aiutano a esportare questo modello. Per rendere cristiano questo sistema, occorre però calarsi in una trincea al fine di sottrarlo alle grinfie dell’ateismo secolarizzante: questa trincea si chiama “aborto” e – in linea subordinata – “no al matrimonio omosessuale”. Sarebbe la diga contro il relativismo etico. Così l’aborto diventa un’ideologia, entra a far parte di una guerra culturale. E questa finisce col radicalizzare anche il fronte avversario, che a sua volta diviene sempre più ideologico nella difesa dell’aborto, non più inteso come un male minore per la donna, o nella difesa del matrimonio omosessuale, in un modo che travalica il diritto al riconoscimento pubblico di una convivenza civile e serena per due persone che si amano. Questa doppia radicalizzazione ne comporta altre, divaricando sempre più le parti, e così facendo perdere di vista le storie, gli aneliti, i drammi delle persone.
Chi ha cercato di far ragionare i vescovi, per strano che possa sembrare, è stato il nunzio in America, cioè l’ambasciatore del Vaticano negli Stati Uniti: “La Chiesa americana non ha bisogno di inventare un nuovo programma perché esso esiste già ed è quello del Vangelo”, ha detto. E “quando il cristianesimo è ridotto a costume, a norme morali, a rituali sociali, allora perde la sua vitalità e il suo interesse esistenziale per gli uomini e le donne del nostro tempo, che cercano la speranza dopo la pandemia; per coloro che cercano la giustizia autentica dopo le lotte razziali e per coloro che sono venuti negli Stati Uniti in cerca di un futuro più luminoso e sicuro”.
È chiaro a questo punto che emergono due Chiese, le quali, più si radicalizza il confronto, più hanno difficoltà a restare un’unica Chiesa. Non hanno idee diverse sull’aborto, ma su come relazionarsi a una società secolarizzata. Cattocapitalismo e socialprogressismo hanno tagliato a metà il liberismo: da una parte il liberismo è accettabile in economia, nei rapporti tra ricchi e poveri o tra nord e sud del mondo; dall’altra, il liberismo è accettabile nella determinazione dello stile di vita personale. Più si divaricano queste due prospettive, più sarà impossibile trovare un’intesa su entrambe.
La Chiesa “guerriera” è dunque ai ferri corti con il cattolicesimo liberale di Biden, o con la Chiesa missionaria di Francesco? Certamente non sopporta i democratici, vota da anni per i repubblicani, arrivando a dare preminenza al “no all’aborto”, mentre accetta la pena di morte, reintrodotta in forma esecutiva dal cattolico Barr, ministro di Trump, a livello federale. E proprio questo è il motivo per cui non sopporta la missionarietà, che richiede apertura e coerenza. La Chiesa “guerriera” si sente un giudice al di fuori e al di là della storia.
Una Chiesa missionaria non è in guerra con la società secolarizzata, non cerca sostegni politici da parte dell’establishment, ma intende proporre un messaggio – a tutti. Questo messaggio si propone come un altro ordine di valori, e quindi non può dare preminenza a nessuna tematica. Dice “ama il prossimo tuo come te stesso” e cerca di farne vedere l’importanza nel post-pandemia, nella vita dei ghetti, nella cura dell’ambiente, nella solidarietà tra generazioni e anche con il nascituro. Per la Chiesa missionaria una norma morale svincolata dal messaggio non ha dove appoggiarsi: diverrebbe una carta in un castello di carte destinato a crollare.
Dunque la comunione, il sacramento più importante, non è per la Chiesa missionaria di Francesco una medaglia per i giusti, ma un unguento per i deboli, alimento per i peccatori, sostegno comunitario e non premio per chi ha tutti i bollini in regola. Per i vescovi “guerrieri”, invece, la norma è tutto: non serve spiegare ma imporre.