Al momento della elezione di Bergoglio a papa il problema sembrava essere questo: il Vaticano deve avere una banca? Ma presto il furore ideologico fece i conti con la realtà: quei soldi delle chiese benestanti serviva gestirli e farli fruttare, soprattutto per aiutare le chiese in difficoltà, quelle piccole e povere. Sì, il Vaticano deve avere una banca, per gestire opportunamente i suoi beni. Facendo business pulito e non speculativo. La battuta che molti facevano era questa: “Adesso l’ultimo che esce spegne la luce”. Si è arrivati poi a quello che è stato chiamato “il processo del secolo”. Come in tutti i processi di grande rilievo ci si concentra, giustamente, sul punto della condanna. Siccome questo processo è complicatissimo, è difficile per un giornalista che abitualmente non si occupa di finanza (né intenderebbe farlo adesso) esprimersi sul merito della sentenza. La domanda sarebbe: ci sono davvero le prove di reato a carico del principale imputato? Ma il motivo di fondo per cui quello di Becciu è stato giustamente detto “il processo del secolo” sta altrove: la storia del mondo è piena di peculati; non lo è, invece, di processi ai cardinali. Questa è la novità. Per la prima volta nella storia un cardinale è stato giudicato da una Corte di giustizia vaticana. Così i “principi della Chiesa” hanno perso la prerogativa dell’impunità: sino a oggi poteva interrogarli solo un collegio cardinalizio incaricato di riferire al papa. La novità ha scosso le fondamenta di una cultura antichissima, fondamento del clericalismo: i cardinali intoccabili.
Che questa sentenza ponga il problema della giustizia ordinaria nello Stato della Città del Vaticano (e del suo rapporto con quella canonica, che è altra cosa) è un discorso complesso, e conduce in tutt’altri ambiti. Ma per quanto attiene allo Stato, alle sue istituzioni terrene, cioè umane, siamo al principio della responsabilità. Non è poco, anzi è moltissimo. Il caso dimostra la distanza siderale dal concetto di responsabilità della realtà vaticana e dei suoi meccanismi (e non tutto cambierà in un giorno). Si legge all’inizio della sentenza: “Il Tribunale ha ritenuto sussistente il reato di peculato (art. 168 c.p.) in ordine all’uso illecito, perché in violazione delle disposizioni sull’amministrazione dei beni ecclesiastici (ed in particolare del canone 1284 C.I.C.), della somma di 200.500.000 dollari Usa, pari a circa un terzo delle disponibilità all’epoca della Segreteria di Stato”. Nelle pagine seguenti si legge: “Detta somma è stata versata tra il 2013 e il 2014, su disposizione dell’allora Sostituto mons. Giovanni Angelo Becciu, per la sottoscrizione di quote di Athena Capital Commodities, un hedge fund, riferibile al dr. Raffaele Mincione, con caratteristiche altamente speculative e che comportavano per l’investitore un forte rischio sul capitale senza possibilità alcuna di controllo della gestione”.
Già questo ci dice qualcosa: esisteva un fondo di circa seicento milioni di dollari di cui la Segreteria di Stato vaticana poteva disporre autonomamente. L’uso, dunque, come in questo caso, poteva essere finalizzato a operazioni speculative; investimenti da cui si voleva trarre un guadagno. Ecco allora che si prendono duecento milioni per comprare un immobile, trovandosi poi a far salire l’investimento a trecentocinquanta milioni. Nel corso del dibattimento, è emersa invece la cifra di 217 milioni come perdita finale complessiva. Stiamo parlando degli ex magazzini Harrods di Londra, che furono di proprietà della famiglia del compagno di Lady Diana, drammaticamente deceduto con lei. È evidente che un investimento del genere il Vaticano, dopo avere deciso di farlo, debba condurlo in porto con l’ausilio di figure del mondo della finanza, intermediari e quant’altro, con i quali creare società per la gestione dell’immobile e i suoi successivi passaggi di proprietà.
È qui che la questione diviene più rilevante, perché tutte le operazioni che conducono alla perdita sono incredibili e complicatissime. Si capisce che gli uomini del Vaticano hanno rischiato di perdere il controllo del bene, in favore delle persone a cui si sono affidati. Le varie fasi di tutto questo sono molto tecniche: ma il dato è che forse occorreva controllare. Qui siamo allo specifico della sentenza, in cui non entriamo, ma “il processo del secolo” mostra dove si fosse. E dove Francesco vuole invece che la sua Chiesa non stia. I danni, le truffe, sono gravi, ma è soprattutto la cultura di fondo che va cambiata. E tutto questo poteva accadere per tanti motivi, ma poi si aggiustava nel segreto: la commissione cardinalizia che indaga e riferisce al papa era la soluzione, visto che a essere coinvolto era un cardinale (il numero due della Segreteria di Stato).
Oltre alla vicenda del palazzo londinese, al cardinale Becciu, com’è noto, è stato contestato anche altro: in particolare, la scelta di affidare a una persona di sua fiducia, che li avrebbe spesi in lussuosi piaceri, una quantità di denaro necessario a far liberare una suora sequestrata in Africa. Anche qui, non sappiamo se vi sia stato reato da parte del cardinale, e sinceramente c’interessa poco. Ma certo deve interessare il Vaticano. E dunque non deve passare sotto silenzio.
Bisogna distinguere tra il caso specifico e il problema di fondo posto da Francesco: è questa la questione su cui richiamare l’attenzione. C’è chi difende il cardinale Becciu e c’è chi lo critica: entrambe le cose sono legittime, anche se i cardinali non sono certo abituati alla critica. Ma il punto decisivo è superare le Colonne d’Ercole della intoccabilità, quindi del clericalismo. Mai accadrebbe per un laico di essere intoccabile. Per un cardinale è diverso. Una Chiesa non più clericale, in cui la celebrazione eucaristica è un fatto assembleare, tra sacerdote e popolo riuniti attorno alla mensa eucaristica, non è più quella che si affidava a chi, dandole le spalle, la guidava da solo verso la Verità. Il cambiamento liturgico introdotto dal Concilio Vaticano II ne comporta anche altri – molti altri. Quello di cui stiamo parlando è uno dei meno considerati ma dei più importanti. Da alcune voci emerse in queste ore, molto critiche verso il papa, si è sentita in buona sostanza una difesa, più che dell’imputato, del clericalismo. Il vero punto del confronto invece è un altro: tutta la vicenda cominciò quando alcune persone riferirono al papa dei loro dubbi sulla gestione dell’operazione londinese; allora Francesco disse che non dovevano dirlo a lui ma al magistrato, e che questa scelta lui l’avrebbe sostenuta. Ecco la novità.