Tag: guerra
Germania, un appello: “Le armi devono tacere”
Perché gli ucraini resistono così bene
La sinistra latinoamericana e la guerra in Ucraina
Historia magistra vitae?
La guerra, le sanzioni e lo spettro della stagflazione
L’Europa nel gorgo dei nazionalismi
Se la guerra diventa convivenza
Circa sessanta funzionari dei servizi di sicurezza ucraini sono rimasti nelle zone occupate dai russi. Solo la punta dell’iceberg di una realtà più complessa, in cui almeno seicento o settecento dipendenti di medio e alto livello dell’amministrazione di Kiev hanno deciso di non seguire le forze ucraine in ritirata. Più che di un tradimento, si tratta in molti casi di una semplice scelta di vita, da parte di famiglie che continuano ad abitare territori nei quali la convivenza con i russi non è certo un’eccezione. Ovviamente, dopo questi mesi di guerra, l’opzione di rimanere nelle aree occupate non può essere considerata, soprattutto da parte di dirigenti dei servizi di sicurezza, come una semplice decisione logistica. E infatti la conseguenza di queste scelte è che il presidente Zelensky ha fatto arrestare Ivan Bakanov, il capo dei servizi segreti ucraini, insieme con la procuratrice generale Iryna Venediktova, che paga anche per molti dei suoi collaboratori dell’amministrazione giudiziaria ancora residenti nelle regioni invase dalle truppe di Mosca.
Più che una guerra, quella in Ucraina sta diventando una convivenza combattuta. Da mesi, ormai, le due comunità – ucraina e russa – si trovano spalla a spalla nell’organizzare forme di condivisione del territorio. E questa promiscuità fra parenti – perché tali sono russi e ucraini – sta imbarazzando i vertici dei due Stati. Sono infatti davvero centinaia e centinaia i casi di cambio di fronte, o di semplice adattamento a una convivenza forzata.
Guerra in Ucraina: ma chi manovra l’aumento dei prezzi?
Autunno caldo ma senza termometro
Stupiscono le assonanze di clima e frenesia che collegano questa vigilia di estate a quella dei primi anni Sessanta, diciamo ’62 e ’63, per come ce l’ha ricordata il film Il Sorpasso che abbiamo rivisto in questi giorni per ricordare la scomparsa dell’attore Jean-Louis Trintignant. La corsa al mare, l’ansia di mondanità, la competizione nei consumi. Allora eravamo nel pieno del miracolo economico, con alle spalle la lunga stagione di ristrettezze della guerra. Oggi siamo nel terzo millennio, dopo aver attraversato crisi finanziarie, quale quella del 2008, agganciato riprese momentanee, per trovarci nel limbo di una pandemia che ha disorientato paralizzandolo il mondo, e per condurci poi all’inimmaginabile, fino a qualche mese fa, scenario di guerra, con missili e bombardieri nei cieli d’Europa. Un quadro distopico, che non riesce a frenare il sold out che da maggio campeggia in ogni località del Bel Paese. Da nord a sud, tutti in fila fra mare, montagna e città d’arte – invasi da turisti stranieri come non mai, e con battaglioni di italiani che prenotano fino a settembre.
Ovviamente, dopo i due anni di confinamenti e restrizioni non era imprevedibile questo scatto alla riapertura delle gabbie. Cosa che invece dovrebbe interrogarci è come mai questo “edonismo reaganiano” di massa – come avrebbe detto ai suoi tempi Renzo Arbore – non sia minimamente scalfito, se non diluito, dalle previsioni per il prossimo autunno. Il combinato disposto della guerra con un ancora tenace e minaccioso Covid non lascia spazio a molte illusioni. Già oggi, siamo alle soglie di un’emergenza energetica, con il taglio del 50% delle forniture di gas russo, mitigato solo parzialmente da una provvidenziale diversificazione nei rifornimenti grazie ad Algeria e Azerbaijan, mentre contemporaneamente si profila la massima approssimazione alla carestia cerealicola mai profilatasi in Europa negli ultimi due secoli. Il blocco dei porti ucraini, con l’azione di boicottaggio che i russi stanno conducendo nei confronti dei raccolti di grano e mais, fanno pensare che l’intera catena alimentare subirà un’impennata micidiale dei prezzi, che spingerà alla fame i Paesi più vulnerabili del Mediterraneo (e più in generale del continente africano), e nel vecchio continente permetterà esplosioni speculative sui prodotti più determinanti, come i mangimi per l’intera filiera degli allevamenti, e le farine per tutto il ciclo di pani e paste.