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Home » Opinioni » Elly Schlein e i “grilli parlanti”

Elly Schlein e i “grilli parlanti”

Quello che sta percorrendo la nuova segretaria del Pd è un sentiero molto impervio. Le prese di posizione e i commenti anche severi sono assolutamente doverosi, quando non si trasformano in critiche pretestuose

12 Aprile 2023 Vittorio Bonanni  667

Che il lavoro-impegno di Elly Schlein, una volta arrivata a furor di popolo, e non di iscritti, alla segreteria del Pd, non sarebbe stato facile era cosa nota. La giovane segretaria italo-svizzera-statunitense – identità multipla che le ha attirato non poche critiche – ha infatti il compito di resuscitare un partito politico che stava conoscendo un continuo calo di consensi, senz’anima, attaccato per anni alla stanza dei bottoni della quale non è riuscito, e non ha voluto, cambiare nulla. A renderle più difficile il cammino (ma la giovane leader sembra abbastanza attrezzata a parare i colpi) sono arrivati insulti di ogni tipo, da un lato, e doverose quanto spesso scontate e pretestuose critiche, dall’altro, da parte di chi, a destra come nell’area progressista, non ama la persona e soprattutto la svolta a sinistra che sta cercando di imprimere al partito.

È stata fatta oggetto di attacchi antisemiti per la sua origine ebraica da parte di padre, che in realtà sarebbe da considerare tale solo se di derivazione materna. Allo stesso tempo accusata di esserlo e di tradire le sue origini, perché solidale con i palestinesi oggetto di una brutale repressione da parte israeliana da più di settant’anni. Non poteva mancare il pettegolezzo omofobo, che ha visto come oggetto la sua compagna e poi, dulcis in fundo, altre parolacce al grido di “il Paese non può aspettare”, solo perché ha comunicato – e ha fatto male, in quanto dovrebbe sapere che è circondata da vipere – di volere staccare per qualche giorno dopo la faticosa costruzione della macchina organizzativa del partito, che come ultimo atto ha visto la nascita della nuova segreteria. Utilizzando il qualunquistico insulto berlusconiano, è stata accusata di “non avere mai lavorato”, anche in virtù – hanno ancora aggiunto i detrattori – della sua famiglia di provenienza, fatta di rispettabili e benestanti professionisti che, a differenza di altri, hanno studiato e lavorano onestamente.

E veniamo agli appunti politici, alcuni dei quali discutibili per usare un eufemismo. Ricapitolando brevemente, dopo la nomina del suo ex avversario Stefano Bonaccini alla presidenza del partito – che conferirà, dunque, a quel ruolo una autorevolezza che prima non aveva, oltre a garantire un equilibrio tra le diverse componenti che si sono fronteggiate alle primarie –, ci sono state le nomine dei capigruppo di Camera e Senato: rispettivamente Chiara Braga e Francesco Boccia, entrambi sostenitori dell’ex esponente di “Occupy Pd”. Infine, la faticosa composizione di una segreteria, a nostro avviso troppo numerosa, la quale, com’è ovvio, vede impegnati in prevalenza uomini e donne per lo più giovani, con una marcata impronta a sinistra e di primo pelo in quanto a militanza nel Pd: quasi a rappresentare i non iscritti che l’hanno votata alle primarie. Solo quattro posti sono andati alle minoranze – a ricoprire però ruoli tutt’altro che secondari. Queste scelte sembrano essere frutto, anche qui, di una sapiente ricerca di equilibrio, che non può certo prescindere dal fatto che la maggioranza debba essere appannaggio di uomini e donne di fiducia di Elly Schlein.

Sorprende, dunque, la sorpresa (scusate il gioco di parole) di osservatori e colleghi giornalisti che si stupiscono di quella che dovrebbe essere legittimamente prassi comune, soprattutto in un partito che, per voler accontentare tutti e tutte, ha aggravato nel tempo la completa mancanza di identità. Dire che Schlein si sarebbe dotata di uno strumento, appunto la segreteria, funzionale alla sua linea politica è affermare una tale ovvietà che fa apparire misteriosa la genesi di tale affermazione. Tra l’altro, Matteo Renzi aveva operato allo stesso modo, e prima di lui Pier Luigi Bersani. Entrambi si erano dotati di fedelissimi per guidare il partito. Il fatto che una strada del genere sia stata percorsa da leader diversissimi tra loro, come l’ex sindaco di Firenze e l’esponente di Articolo uno, dimostra che questo è il percorso più normale per un leader o una leader che voglia tenere in mano un partito da ricostruire e da ridefinire, senza tuttavia dimenticare nella scelta del gruppo dirigente l’esistenza di altre culture, che nel Pd si sono spesso trasformate in veri e propri centri di potere.

Legittimo invece sottolineare i punti interrogativi sul futuro del Nazareno a guida Schlein. Due le criticità sottolineate: una riguarda il rischio di trasformare il Pd in una sorta di Arci 2.0 (vedi qui). Cioè in un partito che fa fronte ad alcune esigenze primarie, come povertà ed emarginazione sociale, senza però definire una vera e propria identità. Una realtà appunto più simile alla storica associazione ricreativa della sinistra, o a organismi di stampo religioso come la Caritas.

L’altro tema è quello della guerra e del rapporto con quell’Occidente tutto preso, con l’eccezione di Macron e pochi altri, a inviare armi, senza porsi il problema di definire un percorso di pace. Schlein ha preso sul tema una posizione simile a quella dell’inquilino dell’Eliseo. Ma è del tutto evidente che la segretaria e la maggioranza del gruppo dirigente del nuovo Pd hanno al riguardo una posizione più vicina a quella dell’Alleanza verdi-sinistra e del partito di Conte (a proposito, in molti l’hanno definita “grillina”, aggettivo insultante secondo alcuni). Tuttavia, in un partito che fino a poco tempo fa sembrava un’emanazione della Nato, è intelligente e opportuno mettere momentaneamente nel cassetto una posizione troppo agli antipodi della linea bellicista di Enrico Letta.

Insomma, quello che Schlein sta percorrendo è un sentiero molto impervio, e in salita. È ovvio, come stiamo facendo noi, che le prese di posizione, i commenti, le opinioni divergenti siano assolutamente doverosi: fanno parte del lavoro dei “cultori della materia”. Quello che non piace è il proliferare di “grilli parlanti”, pronti a consigliare e a giudicare l’operato di chi sta tentando di ridare fiato a un moribondo. In proposito un po’ più di rispetto non guasterebbe. Appare chiaro che alcuni osservatori sono più simili a quei coccodrilli che aspettano la vittima sulle sponde del fiume per ucciderla, in questo caso perché sta disturbando i vari manovratori. Ma questa è un’altra storia.

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