Quanto ha detto il presidente francese Macron qualche settimana fa, cioè che la Nato deve prendere in seria considerazione l’ipotesi di inviare proprie truppe a combattere in Ucraina, ha suscitato le reazioni negative di molti governanti europei, che però, in questo come in vari altri casi, hanno fornito un esempio dell’ipocrisia e della superficialità con le quali hanno affrontato, stanno affrontando e presumibilmente affronteranno, un dramma i cui prossimi atti sono facilmente prevedibili e quelli più remoti possono essere catastrofici. Tra queste reazioni, brilla quella della nostra presidente del Consiglio, che, dopo avere respinto l’ipotesi di Macron, durante la sua visita al contingente italiano in Libano, ha detto che la pace non si costruisce con le parole ma con la deterrenza. Evidentemente, a suo parere, quando ci sono dei colloqui di pace, o comunque dei negoziati, le parti in causa non si parlano, ma si limitano a esibire i muscoli. Quanto poi alla deterrenza, non ci dovrebbe essere un deterrente più forte di un’alleanza come la Nato: ma quando si è manifestata la possibilità che l’Ucraina potesse aderirvi, è cominciata l’invasione russa.
Più in generale, l’ipocrisia e la superficialità si manifestano in questi giorni, in cui le prospettive di un ingresso diretto in guerra dell’Unione europea si fanno sempre più concrete, per non dire certe. Lo si può arguire, tra l’altro, da dichiarazioni come quelle del premier polacco Tusk, che ha detto che “stiamo entrando in una fase prebellica con la Russia”, quindi una cosa non molto diversa da quella detta da Macron qualche giorno fa, senza suscitare, almeno finora, nessuna reazione critica da altri capi di governo; eppure, è difficile sostenere che la situazione sul terreno sia cambiata radicalmente.
Ad affermazioni come quelle di Tusk si aggiunge il comportamento delle forze armate di vari Paesi europei, compreso il nostro. Che i caccia polacchi siano ormai in stato di allerta permanente ai confini russi è cosa nota, annunciata dalla stessa Polonia; inoltre, il 29 marzo e il giorno successivo tutti i telegiornali italiani hanno dato grande rilievo alla notizia che i nostri caccia hanno “intercettato” aerei militari sovietici sul mar Baltico. Sembra improprio parlare di intercettazione, perché in senso tecnico questa operazione comporta l’ordine all’aereo intercettato di seguire gli intercettori fino a una zona o un aeroporto da loro indicato, e, in caso di rifiuto, si può arrivare all’abbattimento. Ora, niente di tutto questo è accaduto, per la semplice ragione che gli aerei russi volavano in uno spazio aereo internazionale. Perché dunque tanto risalto a un’operazione evidentemente inutile (gli aerei russi avrebbero potuto, con ogni probabilità, essere “intercettati” anche da terra)?
Sembra che si vada soprattutto alla ricerca di un incidente, che fornisca alla Nato il motivo per intervenire, come previsto dall’articolo 5 del suo statuto. Un incidente di questo tipo fu quello del golfo del Tonchino, che sessant’anni fa fornì agli Stati Uniti il pretesto per lanciare l’escalation contro il Vietnam del Nord. A proposito: non crediamo che si possano riporre molte speranze su una possibile vittoria di Trump alle presidenziali del prossimo novembre. Infatti, è ormai chiaro che la “guerra per procura” contro la Russia, che finora gli Stati Uniti hanno scaricato sull’Ucraina, tra un po’ passerà all’Europa intera (Paesi dell’Unione più Gran Bretagna e Norvegia); e inoltre è molto probabile che l’ingresso in guerra si verifichi prima del novembre prossimo, anzi prima delle elezioni europee del 9 giugno.
Molti analisti lo ritengono improbabile, in quanto – sostengono – nessun governo, o addirittura nessuna lista, può presentarsi alle elezioni con un esplicito programma di guerra. Tuttavia, la ricerca dell’incidente militare sembrerebbe un chiaro indizio della volontà di mettere la popolazione europea di fronte al fatto compiuto; e del resto qualcuno ha parlato dell’opportunità di una “Pearl Harbour europea”, cioè di un attacco russo senza preavviso a qualche sito europeo, militare o civile, perché di fronte a un fatto del genere l’ingresso in guerra sarebbe automatico. Quindi, anche un Trump vincitore non avrebbe molto da preoccuparsi di fronte al suo elettorato: lo sforzo bellico maggiore (con i rischi connessi) ricadrebbe sulle nostre spalle.
Un’altra ragione dei nostri attuali governanti per affrettare l’ingresso in guerra sta nel fatto che le formazioni politiche che vi si oppongono otterrebbero probabilmente un buon risultato. A questo proposito, non pare casuale che, contemporaneamente all’aumento della tensione tra i confini dell’Unione e della Russia, sia partita una campagna contro “le interferenze russe” nelle elezioni europee.
Lo scopo di questa campagna è evidentemente quello di delegittimare qualunque opinione contraria alla guerra, facendola figurare come frutto della perfida e insidiosa politica del Cremlino. Queste preoccupazioni svanirebbero se, al momento delle elezioni, la guerra fosse già in atto, perché a quel punto sarebbe molto difficile invertire il corso degli avvenimenti. In ogni caso, la situazione attuale rende ancora più necessario che le forze contrarie alla guerra si aggreghino in un’unica lista, anziché presentarsi divise: un’iniziativa come quella di Santoro, che presenta una lista propria, non può che far disperdere voti (ricordiamo che, pur trattandosi di elezioni con il sistema proporzionale, c’è sempre la soglia del 4% dei voti per poter ottenere seggi).
Finora, non abbiamo esaminato il motivo per cui si dovrebbe entrare in guerra. Al momento dell’invasione russa, poteva essere quello (non privo di validità) che un’azione del genere era inammissibile dal punto di vista del diritto internazionale, e quindi doveva essere arrestata con ogni mezzo, anche se non si capisce perché si dovesse scartare a priori ogni tentativo di soluzione negoziata (in realtà, ora lo si capisce benissimo, perché questa soluzione era osteggiata dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna; su questo vedi qui). Ora, il motivo sbandierato è un altro: se non impediamo a Putin di impadronirsi dell’Ucraina, si impadronirà, prima o poi, di tutta l’Europa. Ma questo argomento, avanzato da alcuni commentatori fin dall’inizio, è del tutto dogmatico. Infatti, quali prove ci sono di questa asserita volontà imperialistica di Putin? Nessuna, fuorché il paragone Putin-Hitler, che però finora non è sostanziato da nessuna prova: infatti, se Francia e Gran Bretagna sbagliarono gravemente nel permettere a Hitler di annettersi i Sudeti, nel 1938, questo errore diventò evidente solo nella primavera successiva, con l’occupazione della Boemia e della Moravia, e definitivamente alla fine di agosto, con l’invasione della Polonia, che fece scoppiare la seconda guerra mondiale. Ma, posto che Putin effettivamente si voglia annettere l’intera Ucraina, e non solo il Donbass e la Crimea – il che è possibile, ma non è certo –, quali prove ci sono che voglia occupare la Polonia o i Paesi baltici, o addirittura l’Europa intera? Sembra più un wishful thought di tanti nostri politici e commentatori, analogo a quello di una “Pearl Harbour europea”.
In ogni caso, la guerra non può che provocare lutti, distruzioni e enormi sofferenze, sia ai militari impegnati che alla popolazione civile, anche nel caso si trattasse di una guerra solo “convenzionale”, cioè senza il ricorso alle armi nucleari. Ma perché una delle due parti, o entrambe, dovrebbero escludere per principio l’uso di un tale strumento, se lo possiede? Uno degli argomenti dei nostri fautori della guerra è che le minacce russe (prima del solo Medvedev, ora anche dello stesso Putin) di ricorrere alle armi nucleari sono solo uno dei tanti bluff della propaganda moscovita, perché Putin non si azzarderebbe mai a compiere un tale passo, che provocherebbe l’immediata rappresaglia da parte dell’Occidente. Anche su questo argomento mi sono già soffermato, ma è opportuno rifletterci ancora. Come sempre, di Putin si danno alternativamente (ma a volte anche contemporaneamente) due rappresentazioni opposte: da un lato, lo si descrive come un pazzo criminale; dall’altro, sempre come un criminale ma lucidissimo. A considerare queste immagini un po’ più da vicino, si vede come in realtà entrambe non escludano affatto l’impiego delle armi nucleari da parte del presidente russo: se infatti è un pazzo, può fare qualsiasi cosa; se invece è nel pieno possesso delle sue facoltà mentali, avrà sicuramente previsto la rappresaglia occidentale e anche le opportune contromisure. Nessuno può prevedere chi potrebbe essere il vincitore; ma è sicuro che a perderci sarebbero milioni, se non miliardi, di esseri umani da ambo le parti.
Vorrei dunque concludere con una provocazione. Qualche decennio fa, chi si opponeva all’aumento degli arsenali nucleari Nato in Europa, il cui scopo ufficiale era fungere da deterrente contro la minaccia militare dell’allora Unione sovietica, era accusato di fare il gioco dei comunisti: la risposta fu lo slogan “meglio rossi che morti”. Mi sembra che ora sia il caso di rispolverarlo, con un semplice cambio di vocale: “russi” invece di “rossi”. Chi dovrebbe rilanciarlo? Tutti coloro che si oppongono alla follia che ormai sembra essersi impadronita non solo di Putin (ammesso e non concesso che sia folle), ma anche della maggior parte dei nostri governanti.