A Vilnius si riuniscono oggi e domani (11 e 12 luglio), nel quadro della Nato, dirigenti politici privi di qualsiasi prospettiva per arrivare a una fine delle ostilità. Gli Stati Uniti stanno pensando (vedi qui) alle bombe a grappolo (che fanno più male ai civili che ai militari, senza contare che sono state messe al bando dalla maggior parte dei Paesi del mondo con la convenzione di Oslo del 2008) come a un modo per dare slancio alla famosa controffensiva ucraina che incontra non poche difficoltà a causa del tempo che si è lasciato ai russi per fortificare e minare i territori occupati. Di questi, bene che vada, alla fine dell’estate gli ucraini si saranno ripresi solo una piccola parte, e l’integrità territoriale cui mirano resterà un miraggio. Nessuno che abbia un’idea su come avviare una trattativa, su quali basi, facendo quali concessioni, organizzando quale presenza internazionale nel senso di una forza di interposizione possibile. Nulla di nulla.
Il futuro annuncia, esito considerato più probabile, una soluzione “alla coreana”: quella di una guerra dei primi anni Cinquanta, formalmente mai conclusa ma soltanto congelata. Solo che non siamo nell’estremo Oriente, al trentottesimo parallelo, ma nel cuore dell’Europa. E l’Alleanza atlantica organizza degli Stati europei – a parte la Turchia e, ovviamente, gli Stati Uniti e il Canada. L’Unione europea non avrebbe niente da eccepire? Potrebbe rimanere, dopo un conflitto che dura già da un anno e mezzo, una situazione del genere nel cuore del continente? Con una destra estrema, nazional-populistica o postfascista che dir si voglia, che si sta agitando e minaccia di prendere il sopravvento nelle elezioni del 2024? Possono la Francia di Macron (che incredibilmente si è schierata con la Polonia per un rapido ingresso dell’Ucraina nella Nato) o la Germania di Scholz sopportare tutto questo? Un conflitto che si protrae non si sa ancora per quanto e una soluzione che, ammesso che arrivi, sarebbe quella di un congelamento della guerra?
In mancanza di uno straccio di piano di pace e di una linea di azione che non sia puramente e semplicemente quella del nazionalismo ucraino, si continua a danzare, con virtuosistiche piroette, sopra l’abisso. Ma si sa come vanno queste cose: un errore sempre possibile – e Chernobyl, che negli anni Ottanta parve una catastrofe, ci sembrerà una passeggiata di salute. Senza contare la situazione in Russia e la minaccia di un ricorso all’arma nucleare. Più questa potenza si avvita nella sua guerra insensata e senza sbocco, e più aumentano le possibilità di un colpo di Stato con l’avvento di una leadership perfino peggiore di quella attuale.
Ciò che è successo il 24 giugno scorso è un monito per tutti. L’alta probabilità che il pur durissimo Putin sia stato costretto a mediare con il capo dei Wagner – ormai preso al laccio da una forza armata privata, a cui opporsi frontalmente non sarebbe possibile se non con il classico bagno di sangue – fa riflettere un po’ tutti (in primis gli americani) su quanto sia vano attendersi, da una caduta dell’uomo forte del Cremlino, un miglioramento della situazione politica in Russia.
L’idea che si debba proseguire così, come se niente fosse, è ormai solo della dirigenza nazionalista ucraina. E sorprende che non ci sia o non riesca a emergere, all’interno dello stesso Paese aggredito, un’opinione contraria a come la guerra è stata condotta finora, senza un piano, senza un obiettivo credibile, solo con lo slogan di arrivare alla vittoria.
Ma in queste condizioni la vittoria potrebbe essere la suprema sconfitta. Se liberati, per ipotesi, tutti i territori occupati, liberata anche la Crimea, si arrivasse a dovere affrontare una seconda aggressione russa, questa volta con l’arma nucleare tattica, a parte il fatto che ciò significherebbe la guerra mondiale, che ne sarebbe dell’Ucraina? La vittoria di Pirro non è una vittoria. E dunque, dato che fin dall’inizio, come nel caso di tutte le controversie tra Stati tra loro confinanti, è soltanto con una trattativa che si può giungere a una soluzione, perché seguitare a combattere e a morire anziché pensare a come venirne fuori? In mancanza di una via di uscita prospettata dall’Ucraina stessa, toccherebbe allora alla Nato, per non finire coinvolta nel conflitto, ma soprattutto all’Europa che di fatto è parte in causa, proporne una.