Tag: Stati Uniti
Una nuova guerra fredda? No, grazie
Tasse sulle imprese, quanto vale il quindici per cento deciso dal...
La questione fiscale diventa globale
Luglio non è lontano e potrebbe essere un mese importante non solo per l’Europa, ma per il mondo intero. Nella prima decade di quel mese, infatti, si terrà a Venezia un’importante riunione del G20 sotto la presidenza italiana, dove dovrebbero approdare le riforme fiscali di cui si sta parlando con insistenza in questi giorni. Il quadro internazionale è stato smosso dai propositi della nuova amministrazione americana di proporre una minimum tax globale sulle multinazionali del 21%, con l’esplicito obiettivo di sottrarre alle grandi corporations la carta dei paradisi fiscali. È di questi giorni però la notizia che la proposta subirà probabilmente un sensibile ridimensionamento: dal 21% la tassazione dovrebbe scendere al 15%. Una riduzione certamente di non poco conto, che viene incontro al coro di proteste subito sollevato da parte delle multinazionali e dei vari paesi, fra cui diversi europei, che praticano paradisiaci dumpingfiscali. Tuttavia, anche in questa dimensione ridotta, l’innovazione non sarebbe da poco.
Attualmente sono almeno trentacinque i paesi che applicano aliquote fiscali tra lo zero assoluto e il 12,5%. Il rapporto dello scorso dicembre della Tax Foundation –un think tank fondato a Washington nel 1937 da influenti manager americani – ci dice che sono ben quindici i paesi che non prevedono imposte sugli utili societari (tra cui le Bahamas, il Bahrain, le Bermuda, gli Emirati arabi uniti). Mentre altri Stati applicano un’aliquota inferiore al 12,5%, fra cui l’Irlanda e l’Ungheria che l’ha recentemente ridotta dal 10% al 9%. Ma a questo dato dobbiamo aggiungere che vi è notevole differenza tra l’aliquota ufficiale e quella realmente praticata, a causa di deduzioni, detrazioni e gli accordi contro la doppia imposizione fiscale, in sé giusti, ma che spesso finiscono per evitare qualsiasi tassazione, come ha documentato uno studio del maggio del 2020 dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’Università cattolica di Milano, diretto da Carlo Cottarelli. Rimanendo in Europa, fanno scuola il caso dell’Irlanda, ove in luogo dell’aliquota del 12,5%, si è scesi persino allo 0,005%, o quello del Lussemburgo, dove dal 25% ufficiale si è scesi anche del 99% raggiungendo un irrisorio 0,3%; oppure quello dell’Olanda che dal nominale 25% giunge al concreto 2,44%; o il Belgio dove si può arrivare a scendere dal 29% al 2,9%. I “paesi frugali”, appunto.
L’altra epidemia americana
Erdogan e il tabù del genocidio
Giustizia per George Floyd, un verdetto non scontato
Il Pentagono spara a zero sulla Cina
Afghanistan, la definitiva sconfitta dell’Occidente
I sovietici, che pensavano in grande, costruirono perfino un ponte tra la Russia comunista e l’Afghanistan, e lo chiamarono “ponte dell’amicizia”. Spietata ironia della sorte: il 15 febbraio 1989, proprio su quella passerella di acciaio tesa tra le due rive del fiume Amu Darya, il buon generale Gromov guidò la mesta ritirata dell’Armata rossa: dopo dieci anni di guerra, ventiseimila soldati uccisi e quasi sessantamila feriti.
I militari americani non avranno nemmeno un ponte da ricordare: con il consueto tono notarile, Joe Biden annuncia la storica decisione, dichiarando che è tempo di mettere fine alla “guerra infinita” in Afghanistan. Il riferimento all’oltraggio del Vietnam diventa esplicito quando il presidente aggiunge che il peso di questa avventura si è reso insopportabile e si è tradotto in un multigenerational undertaking, cioè in una leva militare che ha coinvolto due generazioni: prima i padri e poi i figli.
Biden, vaccini e riforme. Un legame a filo doppio
Come sta andando la campagna vaccinale Usa? Molto bene a giudicare dai numeri dei vaccinati. Molto meno bene se si guarda al futuro della messa in sicurezza della popolazione. Una apparente contraddizione dovuta a due fatti. Già in campagna elettorale Joe Biden aveva promesso che entro i primi 100 giorni del suo mandato (un traguardo simbolico per la prima volta fissato da Franklin Delano Roosevelt e imitato poi da tutti i suoi successori) avrebbe vaccinato 100 milioni di americani.
Era una scommessa e la scommessa, appena due mesi dopo, era già stata vinta. Trump, ancora da presidente, aveva contratto il Covid e, insieme alla moglie, si era vaccinato, ma aveva sempre mantenuto un atteggiamento di distacco e di dubbio sull’utilità dei vaccini (e non solo: sulle mascherine e su tutte le misure di prevenzione – chiusure, distanziamento, ecc.); era arrivato anche a schernire i giornalisti che si presentavano alle sue conferenze stampa con la mascherina e a scoraggiare apertamente i funzionari della Casa Bianca dall’indossarle. Aveva anche proposto cure alternative fantasiose (e pericolose) come iniezioni di idrossiclorichina e di altre sostanze.
Fondo monetario e patrimoniale, un’inversione di tendenza
“A new Washington consensus”: con questa roboante espressione Martin Sandbu ha commentato sul Financial Times la rinnovata sintonia fra Fondo monetario internazionale (Fmi), Banca mondiale (Bm) e governo degli Stati Uniti (o più precisamente il Dipartimento del Tesoro) sulle politiche economiche e fiscali da adottare per l’era post-pandemia. Il “Washington consensus” è la definizione data a quella tendenza delle tre istituzioni “vicine di casa”, negli anni della globalizzazione, a viaggiare di conserva applicando in modo alquanto rigido a gran parte del mondo le ricette neoliberiste: privatizzazioni, liberalizzazioni, arretramento dello Stato, moderazione fiscale. La notizia è che torna in auge il “big government” dichiarato finito da Ronald Reagan, all’epoca dei suoi drastici tagli di tasse che hanno avviato la stagione del boom delle diseguaglianze. Lo Stato non è più temuto come troppo interventista, le tasse non sono più unanimemente considerate un freno per l'economia, “gli economisti delle istituzioni multilaterali sembrano a volte molto rilassati”, osserva il FT, nonostante il ritorno di un poderoso deficit spending da parte delle nazioni più ricche. “Una conversione che farebbe vergognare Paolo di Tarso”, scrive ancora il commentatore senza frenare l'enfasi, raccontando l’evoluzione delle posizioni di Fmi e Bm.
Un documento in particolare ha attratto l’attenzione degli osservatori internazionali: il Fiscal Monitor pubblicato dal Fondo monetario, pubblicizzato col titolo “A fair shot”, la dose giusta (di vaccino) ma anche la dose “equa”, “non solo nelle braccia delle persone ma nelle vite delle persone”, precisava il tweet di lancio dell'iniziativa. Per chi avesse dubbi, si parla di politiche fiscali e spesa pubblica.