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Congresso Cgil, il giorno dopo

“Il mondo del lavoro vive una situazione molto difficile perché si è poveri anche lavorando”. Lo ha ripetuto il leader della Cgil, Maurizio Landini, a “Mezz’ora in più”, il programma televisivo di Lucia Annunziata, aggiungendo che tra le priorità del sindacato ci sono l’aumento dei salari e il superamento della precarietà. Rieletto quasi all’unanimità dal XIX Congresso della Cgil, che si è chiuso a Rimini sabato 18 marzo, il segretario generale ora ha quattro anni (il suo secondo mandato) per condurre in porto gli obiettivi programmatici già annunciati nel discorso di investitura della sua prima elezione, nel 2019, e confermati nella Conferenza di organizzazione.

Il compito di Landini non è facile perché la Cgil continua ad avere un doppio problema: riconquistare un ruolo politico da protagonista nella interlocuzione con i governi e il parlamento, dopo l’isolamento e la svalorizzazione progressiva degli ultimi anni e – secondo problema (ma forse è perfino il primo) – cambiare la sua organizzazione interna basata ancora sul modello fordista di produzione. Ci sono infatti milioni di lavoratori che attendono il rinnovo del contratto nazionale; ma ce ne sono altrettanti che di contratti non ne hanno mai visto neppure l’ombra. E molti di questi hanno a che fare con le misteriose e incombenti piattaforme digitali e con lo spettro degli algoritmi. Tra tutte queste nuove figure – che si mescolano a profili antichi – ci sono migliaia di giovani che hanno confessato (anche sul palco di Rimini e in una inchiesta condotta dalla Fondazione Di Vittorio) di non aver mai incontrato il sindacato sulla loro strada.

Congresso Cgil: un sindacato che non contratta il cambiamento

Dice il Corano che non a caso Allah ci ha dato una sola bocca e due orecchie. Il segretario generale della Cgil, nella sua relazione, interpreta l’indicazione di Maometto come la ratifica della sua filosofia organizzativa: moltiplicare i centri di ascolto e comunicazione con l’esterno, centralizzando quelli di decisione e comunicazione interna. Nella sua relazione Landini, che si è presentato al congresso dopo quattro anni di forte concentrazione decisionale e di totale monopolio comunicativo, usa le difficoltà della sua organizzazione per accentuare questa tendenza: se mi rieleggerete – dice – sarò implacabile per imporre le riorganizzazioni decise un anno fa.

Ma dietro a questa visione di sindacato personale – verrebbe da dire, richiamando il concetto di “partito personale” di Mauro Calise – c’è una visione dei processi sociali che non convince, anziché una bulimia di potere che non accreditiamo all’ex leader della sinistra della Cgil. La matrice di questa visione è rintracciabile proprio nell’armamentario tecnologico che il congresso esibisce con grande vanto: effetti speciali, connessioni multimediali, social ovunque. L’esperienza di “Collettiva”, la piattaforma allestita in questi anni dai consulenti del segretario, insieme a “Futura”, il centro di discussione digitale, fanno trasparire una logica da addestramento professionale più che da riprogrammazione delle intelligenze.

Qualche domanda sul congresso (mediatico) della Cgil

Giorgia Meloni sarà la prima leader di destra a partecipare a un congresso della Cgil. “Giorgia accetta la sfida”. “Giorgia nella fossa dei leoni”. “La prima volta nella tana del lupo…”. Non vi annoieremo con i titoli dei giornali e con gli strilli social. E nemmeno con il dibattito che si è aperto, fuori e dentro il sindacato, sull’opportunità della scelta, che il segretario generale Maurizio Landini ha spiegato con semplicità durante la conferenza stampa di presentazione: “Noi non abbiamo mai avuto pregiudiziali e abbiamo sempre invitato a tutti i nostri congressi i presidenti del Consiglio in carica”. Poi – naturalmente – sono stati i vari governi a scegliere.

E infatti, ripercorrendo la lunga storia congressuale, si scopre che i premier che hanno voluto partecipare “di persona” alle assise del sindacato sono stati in ordine di apparizione: Giovanni Spadolini (1981), Bettino Craxi (1986), Romano Prodi (1996). Silvio Berlusconi, che ha governato l’Italia per un ventennio, inviò al suo posto Gianni Letta (2010). Con un precedente del genere era scontato che la notizia principale del XIX Congresso Cgil, che si terrà a Rimini dal 15 al 18 marzo, sarebbe stata quella dell’annuncio della partecipazione della premier, che parlerà per venti minuti, venerdì 17 marzo. In politica la superstizione è bandita.

Sindacati in piazza. Contro una manovra che premia l’evasione fiscale

È terminata oggi (16 dicembre) la settimana di scioperi e manifestazioni indetta dalla Cgil e dalla Uil contro la prima manovra economica del governo...

Scandalo Ue, quelle porte girevoli della sinistra

I dietrologi potrebbero pensare che lo scandalo delle tangenti europee sia stato orchestrato. Un misterioso regista manovrerebbe nell’ombra per ricoprire di fango la sinistra italiana ed europea. Il giorno dopo la triste telenovela Soumahoro, arriva infatti la notizia di un’inchiesta giudiziaria della magistratura belga, che ha coinvolto personaggi noti e meno noti sulla scena parlamentare europea, ma appartenenti tutti ai partiti di sinistra e perfino al sindacato internazionale. Tra gli arresti eccellenti, ci sono Antonio Panzeri, ex segretario della Camera del lavoro di Milano e oggi rappresentante di Articolo uno al parlamento europeo (con un pezzo della sua famiglia), l’ex vicepresidente del parlamento, la socialista Eva Kaili, vari assistenti parlamentari, ma anche il segretario del sindacato internazionale, Luca Visentini (che è stato subito rilasciato e di cui comunque non sono state rese pubbliche le accuse). Siamo di fronte a una montatura mediatica? Se anche questa fosse la verità, forse non lo sapremo mai. Ma in attesa delle prove, possiamo e dobbiamo azzardare qualche considerazione politica.

La prima considerazione riguarda le istituzioni europee. La notizia sta facendo grande rumore perché colpisce un luogo comune: la correttezza assoluta – nordica – del parlamento e del Consiglio europeo. Queste cose, si pensa, al Nord non possono succedere. Impensabile una tangentopoli sopra il confine delle Alpi. È impossibile un sistema di corruzione che ricordi la “Milano da bere” degli anni Novanta. Bruxelles non può essere equiparata, o paragonata, alle capitali corrotte ed è invece un sicuro baluardo contro le pressioni di poteri esterni, siano essi Stati sovrani (come il Qatar) o grandi multinazionali. Sarà anche antipatica questa Bruxelles che si immischia nei fatti nostri e ci vuole dettare continuamente nuove regole. Ma è pur sempre un esempio ammirevole e incontaminato delle categorie kantiane. E invece il mito crolla di fronte alla cronaca di una (possibile) corruzione dei parlamentari a favore di agenti esterni, e per interessi che certo non rappresentano i cittadini europei che hanno votato. Lo stupore e il disorientamento del gruppo dirigente europeo è un messaggio chiaro.

Pensioni, primo tradimento della premier

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Piazza, palazzo e popolo: dopo la manifestazione della Cgil

Sarà un caso, ma la prima manifestazione dopo le elezioni che hanno sancito la vittoria delle destre si è conclusa in Piazza del Popolo, a Roma. Dal palco, il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, è stato chiaro: non abbiamo pregiudizi, il sindacato tratta con ogni governo, ma dovranno “ascoltare la voce del lavoro”. Se ci convocheranno a cose fatte – dice il leader, pensando alla recente esperienza Draghi – non ci presenteremo neppure. Quindi è chiaro che i prossimi mesi si giocheranno intorno alle “tre P”: le Piazze delle manifestazioni (il calendario delle mobilitazioni contro la guerra già si allunga), il Palazzo (o i palazzi) del potere, che dovranno decidere anche sullo scioglimento delle formazioni neofasciste, e il Popolo, quello dei lavoratori e dei pensionati che pagano le tasse, delle partite Iva più o meno finte, quello del pulviscolo dei lavori e lavoretti al nero e degli appalti della logistica, delle periferie anonime, dove è cresciuto il rancore che spinge a votare anche contro i tuoi stessi interessi.

Cominciamo dal Palazzo. Landini ha spiegato che il nuovo governo nasce sulla base di una normale consultazione democratica, ma su numeri che non certificano la reale maggioranza nel Paese, visto il livello mai raggiunto dall’astensionismo. È questione sia di percentuali sia di numeri assoluti. In ogni caso, ora il pallino è nelle mani della destra, in particolare di Giorgia Meloni – che, con un fastidioso vezzo mediatico, è diventata per tutti “Giorgia”. Dietro di lei, nel retropalco, gli uomini legati ai poteri forti e garanti della continuità con gli anni del berlusconismo e con gli interessi del capitale finanziario e dell’industria del Nord, come ha spiegato su “terzogiornale” Rino Genovese.

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Una sinistra che ha dimenticato il mondo del lavoro

Nati alla fine dell’Ottocento, sull’onda delle società di mutuo soccorso e delle prime organizzazioni sindacali, i partiti di sinistra, inizialmente prevalentemente socialisti e affiancati...