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Il Trattato del Quirinale, povera Europa

Se abitate a Roma, lo scorso 26 novembre avrete per forza sentito il boato assordante delle pattuglie acrobatiche, nove aerei italiani otto francesi, sfrecciate...

Il Trattato del Quirinale secondo i media francesi

Per giorni i media italiani, sulle loro prime pagine, hanno esaltato il Trattato del Quirinale tra Francia e Italia, mentre la stampa e l’opinione...

Prime impressioni sui ballottaggi

Parliamo di un successo al di là delle aspettative. Roma, Torino, anche città minori come Savona o Cosenza, tutte – tranne Trieste per un...

Albania, un’Italia a maggioranza musulmana al di là dell’Adriatico?

L’adottammo, l’Albania. Trent’anni fa. E non sempre è stato un rapporto felice in tutti questi anni. Non sono state solo ragioni “umanitarie” e di...

Quel nuovo welfare che passa anche dai Tampax. L’esempio francese

Il modo di contenere il flusso mestruale ha cambiato, nei secoli, la vita delle donne. Dall’antichità, in cui si usavano lana, tessuti, pelli di animali, papiro ammorbidito, per citare solo alcuni metodi, fino ad arrivare alla “rivoluzione” introdotta dall’uso degli assorbenti: esterni, con l’adesivo, e soprattutto interni, come i Tampax. Si può dire che l’emancipazione della donna sia stata accompagnata dalla possibilità, data dall’utilizzo di questo nuovo dispositivo per l’igiene intima, di governare quei giorni in cui, prima, era costretta a casa. Dopo l’introduzione degli assorbenti, le donne hanno potuto finalmente uscire di casa, essere autonome, controllare la propria vita, lavorare e svolgere tutte le mansioni che svolgevano nei giorni di assenza del ciclo. La libertà di movimento è anche una forma di libertà di pensiero.

Ma oggi, nel 2021, ci si scontra ancora con quell’escalation negli anni della tassazione degli assorbenti, un bene di largo consumo necessario, basilare nella vita di qualsiasi donna in età fertile, che sono tassati con aliquota al 22 per cento, come i beni di lusso. Al contrario, il rasoio da barba è tassato al 4 per cento. Come si può associare un assorbente ad un prodotto di élite? Una condizione che si aggiunge come altro importante elemento di difficoltà economica nel periodo delicato in cui stiamo vivendo.

La piaga dei minori scomparsi in Italia

Ogni giorno cinquanta persone (vecchi, minori, uomini e donne) spariscono. Entrano in clandestinità. Dispersi, lontani dagli affetti, dal proprio mondo. Cancellati come cittadini, senza diritti. È impressionante. Il prefetto Silvana Riccio è il commissario di governo che si occupa degli scomparsi: “Cosa rappresentano? Il mondo delle fragilità, del disagio sociale e familiare”.

Nel secolo scorso (ma anche oggi) alcuni minori scomparsi sono diventati dei “personaggi pubblici”. Traumi per chi era adolescente quando la televisione raccontava le loro scomparse. Ricordo Ermanno Lavorini, sparito il 31 gennaio del 1969 a Viareggio. Aveva dodici anni e fu rapito da un gruppo eversivo monarchico. Il suo corpo fu ritrovato il 9 marzo di quell’anno sepolto nella sabbia di una pineta. Di quella storia, rimane un profondo senso di insicurezza che mi sono portato dietro tutta la vita. E poi il 22 giugno del 1983 si volatilizza la quindicenne Emanuela Orlandi, figlia di un commesso della Prefettura della casa pontificia. La sua scomparsa è diventato un giallo, una spy story con dentro servizi segreti e mezzo mondo. Al centro, il Vaticano.

Italia e Spagna, tentativo di pace in Medio Oriente

A trent’anni esatti dalla conferenza di pace di Madrid, volete che non si tenti di riproporre quelle stesse (fallite) ricette? Lì al tavolo sedevano Stati Uniti e Urss, erano loro a farla da padrone, ma il mondo del “socialismo reale” era in via di disfacimento, il vento era cambiato, gli equilibri della guerra fredda erano morti. Il risultato fu una conferenza di pace ridicola, anticamera degli accordi di Oslo che contenevano in sé il fallimento di ogni possibilità di pace. Arafat seguiva da Tunisi le riunioni mediante la cornetta di un telefono alzato da un suo collaboratore ammesso a Madrid. 

Era il 30 ottobre del 1991. Ora Italia e Spagna provano a percorrere di nuovo le stanche orme della pace. È un tentativo di resuscitare l’Unione europea nel quadro del Mediterraneo, dove fino a ora abbiamo assistito alle scorribande del Pentagono che vince in Iraq, perde in Siria, vorrebbe riscrivere i confini in Libia, dove vince e poi perde; e poi all’arrivo dei turchi e dei russi, e così via, con sempre dietro l’angolo il nemico numero uno, l’Iran: qualche giorno fa gli Stati Uniti hanno ucciso almeno quattro persone lungo il confine iracheno, colpendo postazioni iraniane, inviando un messaggio molto chiaro, “vi colpiremo ovunque siate”.

L’Unione europea alla guerra dei vaccini

I vaccini europei sono in grande ritardo. Lo sono in Francia, dove la stessa Sanofi, uno dei pilastri di Big Pharma, ha dovuto ammettere...

Migranti: da Minniti a Draghi nulla è cambiato

C’è un numero di passaporto intorno a cui l’Italia oggi dovrebbe discutere per chiarirsi le idee su come il nostro Paese affronti – coerentemente, da almeno cinque anni – la questione “migranti”. Intanto è bene chiarire che si è trovato il modo per definirli tutti “migranti forzati”. Mi sembra l’unica definizione corretta e li chiamerò così. Ma veniamo al numero: G52FPYRL; è quello del passaporto di Abd al-Rahman al-Milad, detto Bija, il potente capo della guardia costiera libica ospitato nel 2017 in Italia, quando al Viminale c’era Minniti, per quei negoziati che dovevano avviare a soluzione la questione del controllo delle coste libiche.

Accusato di essere un trafficante di uomini, di petrolio e di armi, Bija dichiarò che quello era il suo passaporto, con il quale era entrato in Italia, con tanto di visto. La circostanza fu smentita dal governo Conte 2, che negò che fosse quello il documento di Bija. Se era venuto in Italia, ci era venuto da clandestino. Ora, però, è l’Interpol a confermare che si tratta proprio del numero di passaporto di Abd al-Rahman al-Milad detto Bija, nel frattempo scarcerato a Tripoli, dopo alcuni mesi di detenzione per i reati citati, quale eroe nazionale. Subito dopo è stato promosso. La sigla compare nel documento con cui l’Europa rinnova le sanzioni contro di lui, congelandone i beni in patria e all’estero.

Afghanistan, la definitiva sconfitta dell’Occidente

I sovietici, che pensavano in grande, costruirono perfino un ponte tra la Russia comunista e l’Afghanistan, e lo chiamarono “ponte dell’amicizia”. Spietata ironia della sorte: il 15 febbraio 1989, proprio su quella passerella di acciaio tesa tra le due rive del fiume Amu Darya, il buon generale Gromov guidò la mesta ritirata dell’Armata rossa: dopo dieci anni di guerra, ventiseimila soldati uccisi e quasi sessantamila feriti.

I militari americani non avranno nemmeno un ponte da ricordare: con il consueto tono notarile, Joe Biden annuncia la storica decisione, dichiarando che è tempo di mettere fine alla “guerra infinita” in Afghanistan. Il riferimento all’oltraggio del Vietnam diventa esplicito quando il presidente aggiunge che il peso di questa avventura si è reso insopportabile e si è tradotto in un multigenerational undertaking, cioè in una leva militare che ha coinvolto due generazioni: prima i padri e poi i figli.