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L’assurda polemica sulle “case green”

Com’è noto in Italia chi tocca la casa muore…Ed ecco pronti a insorgere contro l’Europa tiranna Fratelli d’Italia e la Lega che, coraggiosamente serrati a coorte, si oppongono a chi “vuole togliere la casa agli italiani” e alla “patrimoniale nascosta”, che perfidamente si celerebbe dietro la direttiva europea riguardante l’efficientamento energetico del nostro patrimonio abitativo. La “sinistra”, nel frattempo, atterrita dal doversi pronunciare su qualcosa, tace e si chiude in un prudente agnosticismo.

Le misure previste dalla direttiva – detto per inciso – fanno parte di un più ampio pacchetto, in gestazione da tempo, che riguarda la de-carbonizzazione dell’Europa, denominato “Fit for 55”, che promuove la riduzione del 55% delle emissioni di Co2 entro il 2030, e prendono lo spunto dalla constatazione che una buona parte delle emissioni inquinanti sia dovuta a edifici con standard energetici inadeguati. La questione delle “case green”, com’è stata sbrigativamente etichettata, prevede l’obbligo del passaggio alla classe energetica E per tutti gli immobili residenziali dei Paesi membri dell’Unione entro il 2030, e un successivo adeguamento da completarsi entro il 2033, con il passaggio alla classe D. La discussione sui contenuti specifici della delibera va avanti, nel parlamento europeo, da oltre un anno; ma la riflessione sul tema si protrae da oltre un decennio. La destra insiste sul fatto che il patrimonio italiano è particolarmente vecchio, e che un efficientamento energetico richiederebbe uno sforzo economico non indifferente. Secondo alcune stime, la spesa media potrebbe aggirarsi sui dodicimila euro per un appartamento di novanta metri quadri. Vero è che l’Europa dovrebbe sostenere una parte dei costi, per circa un 40% dell’importo totale; ma si tratta in ogni caso di un investimento rilevante. Anche Confedilizia tuona: secondo Giorgio Spaziani Testa, che ne è il presidente, l’impatto della spesa potrebbe essere “devastante per tutti gli italiani”.

In Israele il peggiore governo della sua storia

In uno dei Paesi più importanti e potenti del mondo, si insedia il peggior governo della sua storia, e non ne fa menzione quasi...

Golpismo in stile Trump a Brasilia

Poco prima delle ore 15 di domenica 8 gennaio, migliaia di manifestanti, riuniti senza preavviso sulla Esplanada dei ministeri, nel centro di Brasilia, hanno...

Bergoglio contro l’idea di un Ratzinger cesaropapista

In questi giorni Francesco ha salvato il suo “venerato predecessore” e la Chiesa cattolica, apostolica, romana. Il senso di questo salvataggio va chiarito. Francesco ha impedito che il nuovo cesaropapismo, che vuole saldare all’autorità temporale quella spirituale nel nome di un disegno politico, trasferisse Benedetto XVI a Visegrad. Per riuscirci, i veri nemici di Benedetto XVI – il papa che per primo, in epoca moderna, ha saputo rassegnare le dimissioni in modo pienamente valido e pienamente consapevole – dovevano cancellare il pontificato di Francesco, e trasformare quindi i suoi funerali nella riprova che quella di Pietro era una sede vacante dal 2013. Era questo il loro intento. Cosa sarebbe successo in piazza San Pietro, infatti, se le esequie fossero state accompagnate dalla dichiarazione del lutto in Vaticano, se fossero stati invitati i capi di Stato? Il rischio di un equivoco c’è stato, a causa del prolungato tempo di esposizione della salma, appropriato per i papi regnanti. Ma è stato evitato perché non si sono tenuti funerali di Stato; mentre i capi di Stato del gruppo di Visegrad intervenuti ne avrebbero avuto tutta l’intenzione. Questo tentativo ha messo a rischio l’eredità spirituale di Benedetto XVI, la sua decennale ubbidienza e convivenza con il successore. Il disegno dei “sedevacantisti” era chiaro, ma si basa su una mistificazione. Un Ratzinger cesaropapista non è mai esistito

Come Massimo Borghesi ha ricordato, già nel 2005, Ratzinger scrisse nel 1998: “Pensiamo soltanto all’episodio relativo al Sinodo di Milano del 355, quando Eusebio di Vercelli, una delle grandi figure che resistettero a questa identificazione, rifiutò di sottostare alla volontà dell’imperatore, che voleva che egli firmasse un documento di fede ariana. A Eusebio, che considera questo documento non compatibile con le leggi della Chiesa, l’imperatore Costanzo risponde: ‘La legge della Chiesa sono io’. La fede è divenuta, quindi, una funzione dell’Impero. Eusebio è, con pochi altri, una delle grandi figure che, come ho detto, resistono a queste insinuazioni e difendono la libertà della Chiesa, la libertà della fede e anche la sua universalità”. 

Il “mal di destra” che nessuna sinistra sta contrastando

E alla fine non c’è nessuna questione di sicurezza nazionale, di rischio di penetrazione delle nostre frontiere da parte di possibili terroristi e criminali....

Accordo in Cile sul processo verso una nuova Costituzione

Dopo più di tre mesi dall’inizio dei negoziati, i partiti politici cileni sono riusciti a raggiungere un accordo per avviare un nuovo processo costituente....

Italia libera dalla democrazia

Giuliano Castellino, 45 anni, curriculum politico alle spalle tutto costruito nei movimenti di destra e ultradestra, è un ragazzo fortunato. In ogni occasione importante della sua vita, riesce sempre a sfruttare a suo favore le ingiustizie che tante persone ostili vorrebbero imporgli. Il ruolo della vittima gli riesce bene e, a quanto pare, gli fornisce anche sempre nuovi punteggi per avanzare nella carriera politica. Allo stadio per vedere la Roma andava senza green pass e pretendeva di entrare mostrando il risultato negativo del tampone (raccogliendo così tanti punti consenso tra le file dei “no vax”). Alla Cgil, nella sede storica di Corso Italia, pretendeva di entrare senza essere invitato, dopo aver cavalcato il corteo dei “no vax” che volevano dirne quattro al segretario Maurizio Landini, accusato di aver abbandonato i lavoratori durante la pandemia.

Finito sotto processo per danneggiamento della sede, ha urlato contro la repressione della libertà di dissentire (altri punti raccolti così nella vasta area della destra più o meno neofascista) da parte di uno Stato evidentemente asservito alla sinistra. Ieri (16 novembre) la vittima Castellino è stata “sacrificata” nuovamente. Stavolta davanti a un ingresso della Camera dei deputati, dove si può entrare ovviamente solo con l’accredito. Ma il suo “passi” per la conferenza stampa di presentazione di un nuovo partito antieuropeo era stato stracciato nella notte dal deputato che aveva organizzato l’evento (Francesco Gallo), che ha ceduto – o “tradito” nel linguaggio di Castellino – alle pressioni di vari altri esponenti politici. “Castellino, noi ci conosciamo bene, lei non può entrare”, gli ha detto un carabiniere di guardia in via della Missione. Il militare evidentemente aveva avuto modo di conoscerlo in altre circostanze. A quel punto, l’ex esponente di Forza nuova, candidato in pectore per la guida del nuovo partito “Italia libera”, di cui l’avvocato Carlo Taormina sarà il presidente, non ha certo messo la coda tra le zampe; al contrario ha cominciato a urlare davanti ai tanti giornalisti presenti: ma è questa la libertà di un Paese democratico?

Lasciamo da parte il merito, per favore

Quella del merito a scuola è una trappola in cui si dovrebbe evitare di cadere. A scuola il merito non c’entra nulla, non perché...

Il governo più a destra nella storia della Repubblica

In altri momenti un governo come quello appena insediato avrebbe provocato un’ondata di sdegno, e l’obiettivo sarebbe stato di buttarlo giù al più presto con una spallata. Non avverrà, sebbene non sia da trascurare la possibilità di un incremento della conflittualità sociale, oggi ancora ai minimi storici in Italia. Ma questo governo pessimo, per programmi e per composizione, non ha bisogno di “essere messo alla prova”, come sostengono alcuni commentatori nei giornali borghesi: appare schifoso fin da subito. Non si salva neppure a causa della presenza, per la prima volta nella storia d’Italia, di una donna alla presidenza del Consiglio. Perché questa donna è un esempio di ipocrisia. Si avvale di tutti i risultati raggiunti con grande fatica dai movimenti di emancipazione femminile (considerati in senso lato) e al tempo stesso tende a sabotarli: per esempio, non è sposata, ha una figlia, ma difende la famiglia tradizionale; si pone come una postberlusconiana – e in qualche misura lo è, se si pensa al ruolo di prostitute o yeswomen riservato alle donne dall’orrido tycoon –, ma il suo compagno è un dipendente Mediaset.

Il governo ha davanti a sé un’opposizione parlamentare inconsistente e priva di unità, che gli ha regalato la guida del Paese (la “nazione”, di cui blatera Meloni, non sappiamo cosa sia); se non potrà portare avanti fino in fondo le politiche radicali che ci si aspetterebbe, sarà solo a causa dei soldi che l’Italia deve ancora ricevere dall’Unione europea. Si mettano il cuore in pace i sovranisti e gli euroscettici di ogni tendenza: l’Italia dei postfascisti, a parte i roboanti annunci di “orgoglio”, andrà in Europa con il cappello in mano. A questo scopo, ci sono i ministri degli Esteri e dell’Economia, Tajani e Giorgetti. Tuttavia la guerra contro le Ong che salvano vite umane riprenderà, riprenderà la ripugnante propaganda anti-immigrati. Qualcosa di cui abbiamo purtroppo contezza, avendo vissuto la fase del Salvini ministro, determinata dal Pd di Renzi e dalla sua indisponibilità, in quel momento, a un governo con i 5 Stelle (il che dimostra, tra parentesi, come sia ormai storico l’intreccio tra l’insipienza del Partito democratico e la costituzione di governi di destra).

Cos’è stata l’estrema destra in Italia e cos’è oggi

Qualcuno si sarà sorpreso dell’uso, in un nostro articolo (vedi qui), di un’espressione tipica del linguaggio dell’odio come “topo di fogna”, sia pure tra virgolette: “Come! Un giornale riflessivo e serio come il vostro, che intende rompere con l’andazzo linguistico della comunicazione tramite Internet e i social media, si lascia andare a un epiteto così scomposto?”. Ma stavamo facendo una citazione dagli anni Settanta, un decennio in cui le parole forti, in particolare nei confronti dei neofascisti, erano moneta corrente. E la cosa singolare era che, almeno in parte, questo era accettato dalla stessa estrema destra. Una rivista lanciata da Marco Tarchi – ideologo del Movimento sociale italiano, poi espulso per contrasti con i dirigenti – si chiamava “La voce della fogna”, a sottolineare con ironico orgoglio, e come una rottura “rivoluzionaria”, ciò che l’appartenenza al sottosuolo designava. In questo modo, pur nell’autocompatimento a volte compiaciuto, la vicenda dei militanti neofascisti, provenienti dalla lugubre esperienza di Salò, fu una storia insieme interna ed esterna al sistema politico. Da una parte, c’era tutto il risentimento per come era terminata la guerra civile – con le fucilazioni (secondo alcuni della parte avversa perfino poche), per l’esposizione dei cadaveri a testa in giù a piazzale Loreto, con un certo numero di epurazioni, e così via. Dall’altra, però, c’era una proterva volontà di stare nel gioco politico secondo lo slogan “né rinnegare né restaurare”. Così il neofascismo doveva essere veramente qualcosa di nuovo, pur nella continuità con il passato, la cui rivendicazione era racchiusa nel simbolo di quella fiamma tricolore che, secondo alcune interpretazioni, sorgeva dalla tomba di Mussolini.

Superfluo dire che l’obiettivo fu largamente raggiunto. Non solo il Msi non fu mai messo al bando (come richiesto a più riprese da associazioni partigiane, partiti e gruppi della sinistra), ma addirittura i suoi voti in parlamento furono determinanti in un certo numero di passaggi. Senza neppure riferirsi alla complicata e breve vicenda del governo Tambroni del 1960, che innescò quasi una ripresa della guerra civile, basti pensare che il presidente della Repubblica Leone, nel 1971, fu eletto con l’apporto decisivo dei voti missini. Ciò a segnalare una strutturale incapacità, o non volontà, da parte della Democrazia cristiana, o di alcune sue correnti, di evitare di ricorrere al “soccorso nero” sotto il peso delle proprie beghe interne.