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Home » Articoli » L’America latina e le sue diseguaglianze

L’America latina e le sue diseguaglianze

Il balzo in avanti degli anni Duemila, con una notevole riduzione della povertà, ha lasciato il posto a una situazione problematica, che deve fare i conti con le conseguenze della pandemia

14 Giugno 2022 Ludovica Costantini  638

In America latina e nei Caraibi, il 10% più ricco della popolazione detiene più del 60% del reddito totale, rendendola una delle regioni più diseguali al mondo. Mentre i 105 miliardari hanno un patrimonio netto combinato di 446,9 miliardi di dollari, due persone su dieci non hanno ancora abbastanza da mangiare. Il subcontinente americano rappresenta, storicamente, la regione con i tassi di diseguaglianza economica maggiori, nonostante gli altri indicatori di sviluppo riportino invece tendenze positive, come un aumento dell’aspettativa di vita e una minore mortalità infantile.

È importante analizzare questo aspetto, riconducendolo tanto a questioni di giustizia sociale, quanto alla necessità di guardare al quadro generale per comprendere gli andamenti economico-sociali dei diversi Paesi. Negli anni, è stato sviluppato un indicatore numerico con cui misurare la diseguaglianza economica, ossia il coefficiente di Gini. Questo indice, che può andare da 0 (perfetta eguaglianza) a 1 (totale diseguaglianza) misura la distribuzione del reddito in un Paese. Secondo uno studio pubblicato da Verónica Amarante per “Revista Cepal”, gli indicatori della diseguaglianza di reddito in America latina sono sostanzialmente cambiati negli ultimi venti anni. Dal 2002 circa, i livelli di disparità di reddito sono diminuiti nella maggior parte dei Paesi: questo fenomeno ha rappresentato un unicum durato circa una decade. Studiosi e ricercatori hanno cercato di comprendere il motivo di questo cambiamento, riconducibile in parte all’innovazione nelle politiche sociali, anche grazie ai vari governi di sinistra presenti nel subcontinente, al miglioramento dell’educazione durante gli anni Novanta, a un aumento dei salari minimi, e principalmente all’abbassamento dei livelli di disoccupazione nelle classi di reddito più basso.

Gli economisti si sono chiesti se questo miglioramento fosse reale e a lungo termine: la risposta è arrivata nel 2020. Già dal 2013, si è assistito a un rallentamento della riduzione delle diseguaglianze; ma sulla scia della crisi pandemica il divario tra ricchezza estrema ed estrema povertà si è ulteriormente acuito. Il Rapporto 2021 sullo sviluppo umano regionale Trapped: High Inequality and Low Growth in Latin America and the Caribbean, lanciato dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, analizza la trappola in cui è presa la regione, che impedisce il progresso verso il raggiungimento degli obiettivi di eguaglianza proposti dall’Agenda 2030: la crescente dispersione dei salari, e l’aumento delle quote di reddito percepite dalle fasce più elevate, allargano sempre di più la forbice sociale.

Una delle misure più utili al fine di ridurre la povertà, e quindi restringere il divario economico tra le fasce della popolazione, è stato individuato dagli studiosi nei trasferimenti dallo Stato alle famiglie: i sistemi di welfaree il sostegno economico statale hanno avuto un grande impatto in America latina durante i primi anni Duemila. Un esempio perfetto è quello brasiliano: il governo di Lula, sostenuto dal Partido dos trabalhadores, ha introdotto una misura di aiuti economici chiamato Bolsa Familia. Questo sostegno, insieme con una combinazione di democrazia consolidata e contesto macroeconomico stabile, ha contribuito ad abbassare drasticamente gli indici di povertà nel Paese, portando milioni di persone fuori dall’ultima fascia di reddito. Ma con l’impatto della crisi causata dalla pandemia, con le attività chiuse, milioni di brasiliani sono ripiombati nella povertà. Le misure adottate dal governo di Bolsonaro sono state insufficienti, e questo ha creato, oltre alla crisi economica, anche un contesto di forte instabilità politica. Il Brasile deve affrontare un divario ancora enorme tra i più ricchi del Paese e il resto della popolazione. Peggio ancora, c’è la minaccia di un’inversione dei progressi che il Paese ha fatto per porre fine alla povertà.

Il Cile è precipitato nella recessione a causa del doppio shock: da un lato, le proteste sociali di fine 2019 e, dall’altro, la crisi pandemica. L’effetto delle politiche di distanziamento sociale ha avuto un impatto significativo in termini di disparità di reddito e tassi di povertà; e anche se la situazione positiva delle finanze pubbliche ha consentito audaci azioni di stimolo a sostegno dell’economia, i rischi sono ancora presenti. La pandemia ha messo in luce vulnerabilità economiche di ben più lunga data, che richiedono un’azione politica strutturale, per evitare che gli effetti della crisi annullino alcuni dei progressi compiuti negli ultimi decenni nella riduzione della povertà e della diseguaglianza, e per rafforzare la resilienza economica e la crescita. Un sistema fiscale più efficace, una rete di sostegno alle famiglie, ma soprattutto un maggiore investimento nell’educazione, sono le misure che il governo dovrebbe assumere per migliorare la distribuzione del reddito, e creare condizioni favorevoli per una maggiore eguaglianza a lungo termine.

Con un investimento nel mercato del lavoro si avrà un miglioramento nel breve termine, necessario per contenere la crisi economica attuale; ma ciò che conta maggiormente è investire sull’educazione e sul recupero di quella formazione persa a causa della pandemia. È infatti dimostrato che la maggiore e migliore educazione, negli anni Novanta del secolo scorso, ha formato lavoratori più abili ed efficienti sul mercato, permettendo così la riduzione delle diseguaglianze negli anni Duemila. Adesso però si potrebbe registrare una tendenza inversa: la peggiore qualità dell’educazione e l’abbandono scolastico, causati dalla pandemia, hanno colpito maggiormente i figli delle famiglie più povere, causando la creazione di futuri adulti non formati per il mercato del lavoro. Ciò non farà che esacerbare le differenze di reddito, azzerando la mobilità sociale e facendo aumentare i tassi di diseguaglianza.

Le democrazie latinoamericane devono investire sul capitale umano, sulla scolarizzazione e sul miglioramento strutturale del mercato del lavoro, al fine di aumentare l’occupazione tra le fasce a reddito più basso, favorendo così una distribuzione più equa dei redditi, sostenibile a lungo termine. I progressi compiuti verso l’eguaglianza economica negli anni Duemila non sono stati definitivi, ma hanno dimostrato che, con una giusta intersezione di fattori, è possibile il cambiamento.

Archiviato inAmerica latina Articoli Dossier
TagsAmerica latina coefficiente Gini diseguaglianze Ludovica Costantini povertà

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