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In balia della pandemia

Il 2 aprile del 2020, in piena e travolgente spallata della pandemia, a qualche giorno dalla truce sfilata di camion carichi di bare a...

Un Draghi a due teste

Dopo la conferenza stampa di fine anno, sappiamo con certezza che Draghi è disponibile a farsi eleggere alla presidenza della Repubblica. Peraltro non ne dubitavamo: come presidente ha una lunga carriera alle spalle, gli manca soltanto l’ultimo gradino per poter fare il “nonno”, come lui stesso si è definito, coronando probabilmente l’ambizione di una vita. Ma la questione non è il carrierismo di Draghi (del resto sostenuto anche dal “Financial Times”, secondo il cui autorevole parere meglio sette anni in un bel posto sicuro, anziché ancora un anno, o poco più, al governo). È piuttosto l’inghippo istituzionale che ciò comporta. Abbiamo infatti un presidente del Consiglio che, nelle prossime settimane, sarà tutto preso da una trattativa più o meno sottobanco per trovare un accordo tra i partiti sul governo che dovrà succedergli, mentre lui rassegnerà le dimissioni nelle mani del capo dello Stato uscente – per ripresentarsi subito dopo come il capo dello Stato entrante, olé!

Il virus ha mutato i termini del conflitto sociale e politico

Il virus si è ormai insediato nelle maglie della nostra società, aderendo non solo al nostro bagaglio genetico, ma sfruttando esattamente le caratteristiche socio-antropologiche dell’attuale stile di vita, basato sulla mobilità frenetica e sulla convivialità diffusa. Mentre istituzioni e società civile provano a divincolarsi dalla morsa dell’emergenza – resettando la problematica, derubricando l’evento a crisi momentanea –, si continua a discutere di altro: di Quirinale, di elezioni, e si misurano i provvedimenti sul green pass solo nella chiave delle possibili conseguenze sulle basi di consenso delle diverse forze politiche. Ma si ignora la talpa che scava sotto i nostri piedi, rendendo friabili le fondamenta della democrazia e stressando un gioco di poteri che offusca la trasparenza del conflitto politico.

Perfino “Limes”, una delle sedi più accreditate di “pensiero lungo” sulle strategie geopolitiche celebra, con un numero speciale e un forum a Genova, “la riscoperta del futuro”, ignorando completamente, nelle sue dotte argomentazioni, la variabile Covid-19. Sembra di essere all’imbrunire del 14 luglio del 1789, quando un sereno Luigi XVI annotava nel suo diario: “Niente da segnalare oggi”.

Lockdown di Natale

Che cosa si aspetta ad assumere misure drastiche per cercare di arginare questa maledetta ripresa pandemica su larga scala? Non si tratta soltanto delle varianti, della minaccia costituita da “omicron”, eccetera. C’è che per far funzionare le vendite di Natale, per tenersi alti con il famoso 6,2% di crescita del Pil, si esita. È questa la minaccia che pesa di più. E la dice lunga su quale sia l’autentica posta in gioco sociale di qualsiasi epidemia: non le fregnacce sul “sovrano che decide circa lo stato di eccezione”, non quelle sulla presunta “dittatura sanitaria”. A essere in pericolo, piuttosto, sono “i schei”, i quattrini, la dolce vita a gogò delle feste e festicciole, o dei grandi pranzi di famiglia con i nonnastri e gli ziastri che incontrano i nipotastri (come se non avessero altre occasioni per infettarsi, eventualmente). Insomma, soprattutto a Natale, business as usual, da un lato; e dall’altro quel centinaio di morti al giorno, che vuoi farci?

Pandemia in Germania. Un ritorno del rimosso?

In cauda venenum, dicevano gli antichi. A fine ottobre, proprio nel momento in cui stava per scadere la validità delle norme anti-Covid stabilite nell’ambito...

Destra e sinistra nella pandemia

“Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra?” domandava un Giorgio Gaber già declinante verso un più o meno esplicito qualunquismo. Che consiste, anzitutto, nel porre sotto tensione la distinzione, polverizzandola o scompigliandola al punto da renderla di fatto inattiva. Invece la linea di demarcazione tra la destra e la sinistra c’è, eccome. Soltanto, i due termini vanno considerati come concetti di posizione: il che significa che la loro definizione e il loro possibile contenuto mutano a seconda dei contesti in cui sono inseriti. Se, come diceva Mao, solo nel deserto non ci sono una destra e una sinistra, ciò vuol dire che esse sono categorie relative all’interno di uno spazio sociale e politico di cui non è possibile tracciare una volta per tutte la mappa. E dunque, in ciascuna situazione specifica, ci si può rinfacciare “sei di destra!” o “sei troppo a sinistra!”, dando vita al triste spettacolo in cui si sono esercitati a lungo i partiti socialisti e comunisti (nei quali, come sapeva Pietro Nenni, c’è sempre qualcuno “più puro” che ti epura).

Ciò detto, mai come di fronte alla recente pandemia si sono viste all’opera una destra e una sinistra. Lo ha mostrato bene Antonio Tricomi nel suo libro da poco uscito, Epidemic (Jaca Book), in cui evidenzia come fin dalle vecchie pestilenze, almeno durante quelle avvenute già sotto lo spirito del capitalismo, si dava l’alternativa: lascio ogni attività economica e mi ritiro in chiusure parziali o totali, al fine di proteggere la mia vita e quella degli altri, o resto in ballo con tutti i miei affari, rischiando, sì, ma seguitando a fare denari? È il dilemma posto al borghese: accettare la selvaggia selezione naturale proposta dall’infezione o cercare di correre ai ripari, sapendo che questo gli farà perdere un sacco di soldi?

Morti sul lavoro: andare alla radice

Due, quattro, sei, otto, dieci al giorno. Il numero dei morti sul lavoro in Italia cresce in progressione lineare. Sono settecento dall’inizio dell’anno quelli...

Il “green pass” e il paradosso di un’estrema destra “delle libertà”

I “no vax” e i “no pass” non sono soltanto una rumorosa piazza autoconvocata secondo la più pura modalità di formazione dei movimenti odierni, non priva di aspetti confusionari e qualunquistici; sono anche un tentativo di egemonia e rilancio a livello di massa dell’estrema destra europea. In Germania – dove tuttavia i risultati elettorali dicono che Alternative für Deutschland è rimasta al palo ­– al centro della campagna reazionaria non ci sono stati più gli immigrati, e come difendersi dalla loro “invasione”, ma proprio le restrizioni imposte dalla pandemia. Si soffia là dove sembra esserci la brace viva del risentimento sociale, per cercare di far divampare l’incendio.

È una strategia ben nota, basata su una logica dell’inversione reattiva che consiste in questo: se a sinistra è all’ordine del giorno la rivoluzione (come accadde in Italia e altrove sull’onda dell’Ottobre sovietico), si metterà allora in atto una “controrivoluzione preventiva” che assumerà le vesti di una “rivoluzione nazionale”; se – molti decenni dopo – a sinistra si parlerà di multiculturalismo, si batterà sulla cultura, sulle radici cristiane nel senso di un richiamo identitario, per proporre un Occidente avvitato su se stesso e un mondo in cui ciascuno, per preservare le proprie usanze, se ne stia a casa propria. Non c’è quasi tematica inizialmente di sinistra a cui non si possa fare lo sberleffo capovolgendone il significato.

Mettere a punto nuovi vaccini: una svolta politica prima che sanitaria

Si annuncia non una nuova ondata, ma una pandemia diversa per quantità e qualità, che impone una nuova generazione di vaccini, e soprattutto una strategia pressante territorialmente ed efficace tecnologicamente. Siamo al nuovo tornante di un cammino che si allunga a ogni piè sospinto. L’estate, moltiplicando i contatti interpersonali e ampliando le occasioni di promiscuità ovunque, ha mostrato con sufficiente chiarezza quale sia la natura del fenomeno che abbiamo dinanzi.

Il Covid-19 non è un virus che segue le cadenze e il destino di tutti quelli che lo hanno preceduto, per il semplice fatto che agisce in un contesto e con un ospite – l’essere umano – che all’alba del secondo decennio del secondo millennio non assomiglia minimamente a quelli che lo hanno preceduto. Sono anzitutto radicalmente mutate le caratteristiche socio-ambientali, dato che la comunità umana attuale è caratterizzata da comportamenti, mobilità, ambizioni e desideri assolutamente diversi anche da quanto contrassegnava il pianeta nel corso della spagnola, solo un secolo fa. Poi dobbiamo constatare che l’ecosistema è del tutto diverso, con un quadro di presidi naturali sguarniti e di vulnerabilità, come i contatti con animali selvatici, che ci rendono più vulnerabili.

Andrea Crisanti, l’eretico di Padova

“Non ci voglio credere e mi sembra assurdo. È dai tempi di Galileo che una procura non si occupa di giudicare un articolo scientifico”. È stato questo il commento di Andrea Crisanti alla notizia che l’azienda sanitaria della Regione Veneto lo aveva querelato per diffamazione, a causa delle sue riserve sull’uso disinvolto dei tamponi rapidi da parte di quell’amministrazione locale.

In effetti è davvero singolare che lo scienziato sia messo sotto accusa per una valutazione tecnica proprio dalla regione Veneto, dopo la prova straordinaria che aveva dato, nella fase più terribile della prima ondata della pandemia, in quei tragici giorni di fine febbraio dell’anno scorso, quando fra Lombardia e Veneto si scatenava l’inferno, con il virus che correva e nessuno ci capiva niente; mentre proprio l’equipe di Crisanti, a Vo’ Euganeo, riusciva a frenare il contagio, riducendone l’impatto devastante che invece si ebbe a qualche centinaio di chilometri, in Lombardia, nella zona di Codogno. Paradossale ma non sorprendente. Lo staff di Zaia, il doge del Veneto, aveva cominciato da subito a diffidare di questo microbiologo appena arrivato al vertice del reparto malattie infettive di Padova, con un lungo curriculum scientifico maturato interamente all’estero, e che oggi ancora si divide tra la cattedra di microbiologia dell’università padovana e l’Imperial College di Londra. Crisanti si era mosso da subito in maniera non convenzionale.