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Home » Editoriale » Il patriarca di Mosca, una teologia al servizio di un impero

Il patriarca di Mosca, una teologia al servizio di un impero

15 Marzo 2022 Riccardo Cristiano  502

La prima voce che si è levata a sostegno delle tesi espresse dal patriarca di Mosca, Kirill, secondo il quale in Ucraina è in atto una guerra tra lo spirito russo e l’Occidente corrotto, è stata quella dell’ayatollah Khamenei. Il fatto che il primo sia un cristiano ortodosso e il secondo la guida della rivoluzione islamica iraniana non deve sorprendere: entrambi esprimono un pensiero apocalittico e teocratico. Che si esprima da una prospettiva islamica o da una prospettiva cristiana, cambia qualcosa, ma il pensiero di fondo resta lo stesso. Decisiva, usando una terminologia teologica, è la resistenza all’Anticristo, che il patriarca moscovita vede prendere forma nel “mondo russo”, quello che la sua Chiesa rappresenta e il Cremlino guida.

Lo spirito russo è quello del “mondo russo”, con una capitale politica, Mosca, una capitale spirituale, Kiev, dove la Rus’ si convertì, con una Chiesa che è quella moscovita. Essa esprime lo spirito proprio di Russia, Bielorussia, Ucraina, Moldavia, Kazakistan. Dunque quella di Kirill è una Chiesa etnica, non una Chiesa universale, e incarna la missione di un popolo. Per questo non può concedere un centimetro di suolo del “mondo russo”, che sotto la guida del suo presidente deve combattere le forze del Male rappresentate dall’Occidente liberale e corrotto. L’esportazione della rivoluzione iraniana ha intenti analoghi: mira a unire tutto l’islam per consentire, dopo di ciò, la vittoria celeste. Ma la visione di Kirill è contestata dalla teologia ortodossa che, con il patriarcato ecumenico di Costantinopoli, ha riconosciuto la Chiesa ucraina indipendente, e per questo è stata scomunicata da Mosca con tutte le altre Chiese ortodosse che l’hanno seguita. Analogamente, la teologia sciita non khomeinista ritiene che la conquista dell’islam sia un’eresia finalizzata a ricreare l’impero persiano. Il fondamentalismo sunnita è l’opposto analogo, e ha avuto espressioni teologiche chiare, come quella wahabita.

All’interno di queste visioni, il tempo è concepito come qualcosa di completamente diverso da quello che pensiamo noi. Il tempo è uno scontro perenne tra la forza che tiene a freno l’Anticristo e l’Anticristo stesso, fino alla battaglia finale, quando il Bene prevarrà sul Male e prevarrà la giustizia. Per questo sono teocratici. Dio guida il potere temporale a eseguire i suoi piani.

Il patriarca di Mosca oggi esplicita di vedere l’Anticristo nell’Occidente, questa forza peccaminosa e indecente che calpesta la legge di Dio. A essa bisogna opporsi. Kirill ha detto chiaramente di vedere questa forza messianica – questo potere che si oppone al Male e resiste nel nome del Bene, in attesa che arrivi il Salvatore celeste – nell’anima russa, e quindi nel “mondo russo”. Khamenei lo applaude perché ritiene che il nemico sia lo stesso: cambia la forza messianica, ma il motivo per cui l’Occidente rappresenta il Male è lo stesso, il peccato, il disordine morale.

Il patriarca di Mosca ha così assunto i Gay Pride come simbolo per spiegare l’identificazione dell’Occidente con l’Anticristo. L’omosessualità rimane il peccato dei peccati, quello che scatenò l’ira di Dio. Dunque i Gay Pride sarebbero l’ostentazione della ribellione dell’uomo a Dio. Questa ribellione è quello che in Ucraina la Russia sta combattendo. E l’anima russa è chiamata a questa lotta “metafisica” tra il bene e il male. Lo stesso pensano il fanatismo sunnita e sciita. E il rapporto con il potere politico è decisivo. Senza la forza militare, l’anima russa non potrebbe svolgere la propria missione.

La concezione del tempo del patriarca di Mosca non è la concezione delle altre Chiese ortodosse, ed è agli antipodi del cattolicesimo di papa Francesco. Il tempo di Francesco è lineare. I tempi cambiano – ha detto nel 2015, durante un’omelia pronunciata a Santa Marta –, e i cristiani li interpretano seguendo e cogliendo i segni dei tempi. Restando fedeli al Vangelo, i cristiani cambiano, perché colgono i segni dei tempi. Qui diviene decisivo quanto ha scritto nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, quella in cui afferma che la cosa più importante è avviare processi, perché il tempo è superiore allo spazio: “Uno dei peccati che a volte si riscontrano nell’attività sociopolitica consiste nel privilegiare gli spazi di potere al posto dei tempi dei processi. Dare priorità allo spazio porta a diventar matti per risolvere tutto nel momento presente, per tentare di prendere possesso di tutti gli spazi di potere e di autoaffermazione. Significa cristallizzare i processi e pretendere di fermarli. Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. Il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce. Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, affinché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci”.

I processi, dunque, sono anelli di una catena in costante crescita. Dio non è solo dove ci sembra di vederlo, lo spirito soffia dove vuole, e il nostro compito nella storia è quello di interpretare i tempi, di capire, di discernere. Le certezze consolidate non hanno più senso. Non a caso, poco dopo, Francesco cita il suo filosofo di riferimento, Romano Guardini: “L’unico modello per valutare con successo un’epoca è domandare fino a che punto si sviluppa in essa e raggiunge un’autentica ragion d’essere la pienezza dell’esistenza umana, in accordo con il carattere peculiare e le possibilità della medesima epoca”.

L’esegesi biblica del patriarca di Mosca è ferma ad alcuni secoli fa. Scoprire che a Sodoma la rabbia di Dio si scatenò non per la sodomia, ma per la mancanza di ospitalità verso lo straniero, non può interessarlo. Il tempo infatti non è un flusso, è uno scontro. Non c’è ieri o domani, i conflitti sono eterni e immodificabili. In Francesco, invece, la fluidità del tempo evidenzia come lo scontro tra il Bene e il Male non sia uno scontro manicheo tra i buoni e i cattivi. La pace per Francesco è sempre possibile. Per gli apocalittici, la forza che tiene a freno l’Anticristo deve combattere sempre di più, lo scontro deve aggravarsi, fino a portare alla vittoria dei buoni sui cattivi, quella dei figli della luce sui figli delle tenebre, dopo la resistenza indomita all’Anticristo da parte di questa forza, che nel linguaggio biblico si chiama katechon, “colui che trattiene”.

Le ragioni storiche dell’uno o dell’altro non c’entrano, o c’entrano poco, giusto per convincere qualche razionalista della propria posizione terrena. La guerra che gli apocalittici propongono, come ha detto il patriarca di Mosca, è “metafisica”.

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TagsAnticristo chiesa etnica Francesco Khamenei Kirill patriarca Riccardo Cristiano Romano Guardini Russia Ucraina

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