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Sui licenziamenti partita ancora aperta

Imprese e forze conservatrici all’attacco contro il blocco che ha salvato finora milioni di posti di lavoro. Ma nonostante questo ammortizzatore sociale straordinario, i dati Istat sull’andamento dell’occupazione sono impietosi e descrivono lo tsunami sociale in corso. Sempre più urgente una riforma

11 Giugno 2021 Piero Masacci  477

L’ultima conferma arriva dall’Istat. In un anno sono stati bruciati quasi novecentomila posti di lavoro, mentre nel primo trimestre del 2021 i rapporti di lavoro a tempo indeterminato – che pure avevano resistito allo tsunami della pandemia – hanno cominciato un lento ma inesorabile percorso di discesa. Una fotografia, quella dell’Istat, che è stata scattata in un periodo particolare condizionato dalla scelta politica (unica in Europa) di bloccare i licenziamenti in attesa di una riforma generale del sistema degli ammortizzatori sociali. Ma ora questa situazione straordinaria potrebbe essere interrotta dalla decisione del governo di “sbloccare” il blocco. Le pressioni delle aziende in questo senso sono state fortissime, come abbiamo visto dalle ultime esternazioni dei dirigenti della Confindustria e delle imprese di medie e piccole dimensioni. L’assunto ideologico, che a quanto pare non risulta fondato su teorie scientifiche o evidenze economiche, è semplice: per ripartire le imprese devono essere libere di licenziare.

Dal lato opposto ci sono i sindacati confederali, che in questo caso dimostrano di essere uniti, e alcuni partiti della sinistra politica. Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, si è pronunciato a favore della proroga del blocco per evitare quello che si prospetta come un vero e proprio ulteriore terremoto sociale. Pd, Leu e 5 Stelle si sono espressi in più occasioni, mentre l’ultima notizia sul fronte parlamentare riguarda la presentazione degli emendamenti del Pd, che in questo modo tenta una mediazione tra le posizioni ultrà della Confindustria e gli equilibrismi della maggioranza che sostiene il governo Draghi.

La soluzione, o meglio il compromesso, potrebbe essere quello di varare una norma che distingua tra settori più o meno colpiti dalla crisi. “Abbiamo proposto di mantenere il blocco dei licenziamenti fino a settembre per le aziende dei settori ancora in crisi, individuati con decreto dai ministeri del Lavoro e dello Sviluppo economico” – ha dichiarato Debora Serracchiani, capogruppo del Pd alla Camera. Una soluzione, spiega la parlamentare, che dovrà essere legata alla “sottoscrizione di un accordo con le organizzazioni sindacali”. Per il Pd, in sostanza, non tutti i comparti produttivi sono stati colpiti allo stesso modo, ed è giusto che vengano mantenute forme diversificate di sostegno ai lavoratori. Numerosi indicatori mostrano che la ripresa economica starebbe partendo e che la crescita del Pil sarà anche più consistente di quanto previsto. “Tutelare l’occupazione e aiutare le aziende in questa fase delicata è l’obiettivo che ci siamo dati”, conclude Serracchiani.

Ma questi – a guardarli bene – sono solo parziali escamotage. La realtà – anche se per ora solo statistica – è quella della falcidia di posti di lavoro. I dati Istat, spiega una dirigente nazionale della Cgil, Tania Scacchetti, “fotografano la reale condizione occupazionale del Paese, confermandone la gravità e smentendo il dibattito insussistente di questi giorni sulla presunta mancanza di ‘voglia di lavorare’”. “I quasi novecentomila posti di lavoro bruciati in un anno dimostrano con drammaticità che l’Italia non può permettersi e accettare ulteriori risoluzioni dei contratti di lavoro. Per questo, il blocco dei licenziamenti è una necessità, un’urgenza da prorogare fino alla fine di ottobre”.

Ovviamente il problema non si risolve solo con una moltiplicazione delle proroghe del blocco. La scelta decisiva riguarderà infatti il Recovery Plan, ovvero il Pnrr, Piano nazionale di ripresa e resilienza, che dovrà avere la capacità di selezionare gli investimenti a favore della creazione di nuovi posti di lavoro. E per i sindacati questa volta non si dovranno accettare compromessi, ovvero creazione di posti di lavoro purchessia. Si deve, al contrario, invertire la tendenza alla sottoccupazione e al lavoro nero e povero. Su questi temi Cgil, Cisl e Uil – che pure divergono su altre questioni – hanno la stessa posizione. Lo hanno spiegato in questi giorni i dirigenti della Cisl. “Da due settimane siamo mobilitati nei luoghi di lavoro, nei territori e con le categorie, non escludiamo altre manifestazioni, ma lavoriamo per la via del dialogo e del confronto. È il tempo della coesione sociale”, dichiara il segretario generale della Cisl Luigi Sbarra intervistato da Rainews in merito alla questione della proroga del blocco dei licenziamenti che i sindacati chiedono che venga spostato almeno sino alla fine di ottobre.

E a peggiorare il quadro, oltre i dati dell’Istat, ci si mette anche lo Svimez. Con la pandemia il calo dell’occupazione è stato piuttosto omogeneo tra Mezzogiorno (-2%) e Centro-Nord (-1,9%) ma sono le donne e i giovani del Sud a subire l’impatto maggiore nella crisi: -3% a fronte del -2,4% del Centro-Nord per le donne; -6,9% al Sud a fronte del -4,4% del Centro-Nord per i giovani under 35. È quanto rivela appunto il rapporto “Il lavoro nella pandemia” realizzato da Svimez/Enbic, secondo cui colpito è stato in particolare il turismo delle regioni meridionali. Tra il 2019 e il 2020, nel Mezzogiorno, il comparto delle attività turistiche ha subito una flessione più accentuata (-12,7% a fronte del -10,7% del Centro-Nord). I dati sul mercato del lavoro che ancora non tengono conto dei disoccupati “virtuali” degli attuali cassaintegrati e dei lavoratori solo ufficialmente occupati per effetto del blocco dei licenziamenti.

Dal fronte del governo, oltre alle prime dichiarazioni del presidente Mario Draghi (che ha ricevuto a palazzo Chigi il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini), abbiamo registrato le prese di posizione ufficiali da fonti ministeriali. “I dati che abbiamo dicono che i lavoratori in cassa integrazione ordinaria sono più o meno 480mila. Analizziamo questo universo e vediamo quali sono i settori più in crisi e interveniamo su questi”, ha detto in un’intervista al Corriere della Sera il sottosegretario all’Economia, Claudio Durigon, proprio in merito al dibattito sulla proroga del blocco dei licenziamenti. Tra i settori più in difficoltà, Durigon cita “sicuramente il comparto del tessile e della moda, dove abbiamo 140mila lavoratori in cassa. Settori come questi e il calzaturiero hanno bisogno di una proroga del blocco dei licenziamenti. Parliamo quindi di una proroga selettiva – spiega –, si dovranno valutare le attività più in crisi è importante per gestire questa fase. Per queste attività prolunghiamo il blocco mentre lasciamo liberi tutti gli altri settori, molti dei quali sono in forte ripresa e non credo proprio che licenzieranno, ma semmai assumeranno. Però bisogna restituire il mercato del lavoro alle sue dinamiche e allo stesso tempo mettere in campo una robusta riforma degli ammortizzatori sociali”. Alla domanda su quanto dovrebbe durare la proroga selettiva, il sottosegretario risponde così: “Direi almeno fino a dopo l’estate. Ma si potrebbe anche scegliere una soluzione flessibile, per esempio legando la durata del blocco al livello di cassa integrazione, per cui quando si scende sotto la soglia stabilita il blocco cessa. Anche qui il ministro Orlando potrà studiare le soluzioni migliori”.

Insomma la partita è ancora tutta aperta, ma quello che è chiaro è che nessuna soluzione provvisoria o di compromesso ideologico potrà affrontare e risolvere il vero problema di fondo: il crollo dell’occupazione (soprattutto di quella di qualità, ovvero con tutti i diritti) e la mancanza di occasioni vere per i giovani, che oggi sono perfino criminalizzati. La rappresentazione mediatica sfocia nel ridicolo. Sarebbero loro, i giovani, a non voler lavorare perché preferiscono essere assistiti dai nonni o dallo Stato (con il reddito di cittadinanza). Un film di fantascienza. O un horror di quarta categoria.

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