“Il nostro rapporto con il governo è pessimo”. Non ha usato mezzi termini il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, durante il primo confronto con il capo degli industriali, il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, in occasione della festa del “Fatto quotidiano”. “Il governo con chi si confronta? Inviti al tavolo con i sindacati per ora non ce ne sono”. Un messaggio chiaro, rilanciato due giorni dopo durante il summit a Cagliari che i sindacati confederali hanno organizzato insieme alle delegazioni internazionali come controcanto al vertice dei ministri del G7. Al quale ovviamente i sindacalisti non sono stati invitati. Il quadro generale che emerge è quello di una distanza sempre più pronunciata tra l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni e i rappresentanti dei lavoratori. I pronunciamenti elettorali e le promesse di coinvolgimento delle parti sociali sono lontani, come è lontanissimo il tempo della “concertazione”.
La premier, d’altra parte, conferma la sua allergia a molte delle istituzioni democratiche. Abbiamo potuto verificare in più occasioni la natura del suo rapporto con la stampa e l’informazione. Abbiamo ascoltato alcuni suoi pronunciamenti preoccupanti sull’azione della magistratura e sul ruolo del fisco (chi non ricorda la battuta sulle tasse come “pizzo di Stato”?). E ultimamente sono emerse notizie sulla volontà della presidente del Consiglio di allontanare dal suo piano a palazzo Chigi i poliziotti addetti alla sicurezza. Non si fida della polizia di Stato? Episodio smentito prontamente dall’ufficio stampa del governo, ma confermato dai sindacati di polizia. Insomma le allergie democratiche si moltiplicano.
Ora però è bene concentrarsi sulla questione sindacale, perché, oltre all’importanza generale che riveste nella vita del Paese, ha anche una grande attualità: proprio in questi giorni, infatti, si stanno facendo scelte cruciali e si sta preparando il terreno per le misure economiche e sociali legate alla legge di Stabilità. I dati reali dell’economia smentiscono la propaganda dei partiti di governo, e in particolare di Fratelli d’Italia, che non perdono occasione per osannare la loro “capa” e magnificare i risultati raggiunti in campo economico e del mercato del lavoro: “il più alto tasso di occupazione dai tempi di Garibaldi”. La realtà però è molto diversa dal quadro idilliaco costruito sulle veline. L’occupazione è cresciuta come effetto “elastico” dopo la grande crisi seguita alla pandemia, in relazione alla ripresa e allo sviluppo solo di alcuni settori, come il turismo e la ristorazione, mentre nei settori principali dell’industria i dati sono sempre più negativi.
Secondo gli osservatori economici e finanziari, non è solo la locomotiva tedesca a spaventare gli investitori europei. Una nuova fonte di preoccupazioni arriverebbe dall’industria italiana, che non smette di procedere in retromarcia. Lo segnala l’ultima nota dell’Istat, secondo cui la produzione nazionale di luglio risulta in calo dello 0,9% su base congiunturale e del 3,3% rispetto allo stesso periodo del 2023. Una dinamica che peggiora ulteriormente il bilancio degli ultimi due anni, durante i quali la contrazione complessiva è stata pari al 6,7%, e getta nuove ombre sull’economia proprio nei giorni in cui il governo si appresta a definire la legge di Bilancio 2025. A questi dati va aggiunto poi, per completezza, il quadro molto preoccupante che è stato la base del report di Mario Draghi sulla competitività in Europa. Il ritardo nella ricerca tecnologica delle industrie europee, italiane comprese, è ormai impressionante, come abbiamo già visto analizzando la situazione dell’automotive e la crisi delle immatricolazioni Stellantis (vedi qui).
Poi c’è un altro elemento che in genere viene trascurato quando si parla di economia e di rapporti di produzione, quello relativo alla qualità della vita delle persone. Stiamo vivendo un periodo storico molto particolare, in cui il lavoro non è più una certezza per una vita sicura e, ai vecchi temi dell’alienazione, si aggiungono quelli di una precarietà economica che inevitabilmente si riflette anche sulla psiche delle persone e sicuramente sui valori etici. “In palio c’è la vita delle persone”, ha spiegato in questi giorni, nei vari convegni e incontri, il segretario Landini. “Dobbiamo rimettere al centro il lavoro e valorizzarlo. La domanda cui dare una risposta è quella della libertà delle persone. Una persona è libera grazie al lavoro che fa, al salario che percepisce, se questo salario le permette una vita dignitosa, se può usare la propria intelligenza per partecipare alle decisioni su cosa produrre e come, se può andare a lavorare senza rischiare di infortunarsi o di morire. La contrattazione è lo strumento, e il rapporto con Confindustria è importante non solo per fare contratti e accordi, ma per affrontare i temi del futuro”. Se non si faranno passi in questo senso la crisi della democrazia non potrà che peggiorare.
La spia di una crisi profonda nei rapporti tra governo e sindacati e quindi del governo complessivo delle relazioni sociali diventa evidente andando ad ascoltare le dichiarazioni dei sindacalisti della Cisl, da sempre sindacato moderato e aperto alla collaborazione con i governi. “Ci aspettiamo che il governo convochi le parti sociali e le organizzazioni sindacali”, ha detto il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra durante il contro-summit dei sindacati del G7. “In queste settimane stiamo sollecitando l’attivazione di un tavolo di dialogo, di confronto, su due grandi temi: i contenuti del piano strutturale di bilancio che il governo deve presentare entro fine mese alla Commissione europea per capire qualità degli investimenti, riforme, necessità di sostenere crescita, sviluppo e occupazione. E poi la preparazione della prossima legge di stabilità. Secondo noi, deve corrispondere a due grandi priorità: primo, un forte sostegno alla crescita economica e allo sviluppo, nella politica industriale, nel sistema delle infrastrutture, nel terziario allargato, sbloccando le assunzioni nella pubblica amministrazione. In una parola, per far crescere il Paese, alzare la produttività, fare innovazione”.
I sindacati chiedono anche la proroga di tutte le misure in scadenza al 31 dicembre di quest’anno per sostenere i redditi delle famiglie, dei lavoratori e dei pensionati. “Penso alla necessità di prorogare, e nella prospettiva, rendere strutturale, il taglio del cuneo contributivo – spiega Sbarra – e l’accorpamento delle prime due aliquote Irpef per sostenere i redditi più bassi”. Si chiede poi la piena indicizzazione delle pensioni e di proseguire sulla strada della detassazione sulla contrattazione di secondo livello, e di favorire il rinnovo dei contratti pubblici e privati. “E poi – dice la Cisl – ci aspettiamo un forte sostegno alla sanità, alla scuola e agli enti locali”.
Ma tutte queste rimarranno belle parole e bei propositi se non usciranno dalle piattaforme sindacali per essere discusse dai decisori politici. L’aria però è appunto pessima, come dice Landini. Non si era mai vista negli ultimi trent’anni una situazione del genere, ovvero la scena di un governo autarchico e chiuso al suo interno, neppure nei momenti peggiori dell’era berlusconiana. Il governo non solo è impermeabile al confronto democratico con le forze sociali e del lavoro, ma si mostra anche continuamente in guerra al suo interno, come si intuisce dalle dichiarazioni imbarazzate del ministro Giorgetti. D’altra parte, la stessa Giorgia Meloni, annunciando pomposamente la fine dell’era dei “bonus” (espressione ambigua, perché in realtà gli unici sostegni che sono stati cancellati sono quelli ai più poveri), ha spiegato che non ci sono soldi da sprecare. La domanda è scontata: le pensioni sono ormai considerate soldi sprecati? Il sostegno al reddito e le misure urgenti per affrontare la crisi della sanità sono soldi sprecati? I finanziamenti per la scuola pubblica e per la formazione dei giovani sono soldi sprecati?
Le chiacchiere insomma stanno a zero. Un governo serio dovrebbe dare una risposta alla crisi che non è passata e cercare di sostenere tutti quei di cittadini con più di 18 anni che, pur lavorando, sono poveri. Dubitiamo che questo sarà fatto. Non ci resta che sperare in una reazione vitale dei sindacati, che per la prima volta, nel summit di Cagliari, hanno parlato dell’urgenza di costruire una mobilitazione anche di livello mondiale. “Il prossimo anno sarà l’anno del Giubileo e in Italia è previsto l’arrivo di trenta milioni di persone da tutto il mondo – dice Landini –, sarebbe importante se a partire dalle organizzazioni italiane, insieme all’Ituc, riuscissimo a farci promotori di una grande mobilitazione che metta i temi della pace e della qualità del lavoro, contro lo sfruttamento del lavoro, contro il caporalato, per essere in grado, in concerto con le autorità che gestiranno l’anno giubilare, di costruire assieme un’iniziativa”. La proposta è stata ascoltata dal coordinamento della Confederazione sindacale internazionale, e dai sindacalisti di Canada, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito, Stati Uniti. Rimarrà solo un’idea?
Intanto la Cgil fa sapere di aver raccolto già quattro milioni di firme per il referendum abrogativo del Jobs act.
Post-scriptum – Appena pubblicato questo articolo (alle ore 17 del 12 settembre), abbiamo avuto notizia di una convocazione del governo a Cgil, Cisl e Uil per il 23 settembre su lavoro e immigrazione (non si fa cenno alla legge di Bilancio). Avendo seguito i rapporti tra l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni e i sindacati in questi ultimi mesi, non crediamo che questa convocazione possa cambiare radicalmente il quadro che abbiamo descritto e che si tratti della ripresa inaspettata di una nuova stagione di concertazione. Ma ovviamente siamo pronti a essere smentiti dai fatti. Se ci saranno.