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Home » Archivio editoriali » 8 marzo: si fa presto a dire “auguri!”

8 marzo: si fa presto a dire “auguri!”

8 Marzo 2021 Manuela Bianchi  475

Non bastano gli auguri per tutte le donne che oggi vivono la ricorrenza della loro festa, perché la fase terribile che stiamo vivendo – complici la crisi economica che ci accompagna da più di un decennio e un anno di pandemia che ci sta mettendo in ginocchio sotto tutti i punti di vista – corrisponde a un periodo nero per il mondo femminile. Una crisi che, dal punto di vista occupazionale, ha colpito principalmente i lavoratori autonomi e quelli a tempo determinato. E proprio per questo ha inciso negativamente sull’occupazione femminile. Basti pensare che, pur in presenza del blocco dei licenziamenti, che resterà in vigore fino alla fine di marzo, i dati Istat 2020 ci dicono che su 101mila lavoratori che hanno perso il lavoro a dicembre (-0,4% rispetto a novembre), ben 99mila sono donne e solo duemila uomini.

Non solo le donne, tra i lavoratori, sono le più colpite dal Covid e hanno lavori più precari o irregolari, ma detengono anche un altro primato: sono quelle che continuano a morire per mano del partner o dell’ex. Solo tra gennaio e febbraio si contano in Italia già dodici donne uccise, dodici femminicidi, un problema culturale che abbiamo già toccato su terzogiornale. Non c’è quindi molto da festeggiare in questo 8 marzo 2021.

In questa ultima crisi, a differenza delle precedenti in cui il settore più colpito era stato quello dell’industria con manodopera a maggioranza maschile, è stato colpito principalmente il settore dei servizi, occupato soprattutto da donne. E queste, si sa, sono più facili da licenziare, perché impiegate in lavori domestici, di assistenza familiare, come le baby sitter, in cui è impossibile lo smart working. Sono del resto diffusamente presenti intorno ai servizi legati alla cura, il settore che ha mietuto più vittime dall’inizio della pandemia. La salute, la scuola, il sociale: in questi settori i due terzi del personale è femminile.

Le istituzioni dovrebbero fare tutto ciò che non è stato fatto per decenni. Il nostro Paese non si è mai dotato di politiche sociali adeguate: per sviluppare servizi per l’infanzia, come gli asili nido, o di servizi sociali sul territorio per anziani e disabili, di integrazione e di assistenza sociosanitaria. Perché? Perché tanto ci sono le donne che se ne occupano, non retribuite. Ma sappiamo a che prezzo. Le statistiche dicono che una donna su cinque interrompe il lavoro alla nascita di un figlio e che, a stragrande maggioranza, le donne sono penalizzate nella carriera per lo stesso motivo, legato a una cronica mancanza di investimenti pubblici. Così, in un circolo vizioso, le donne perdono posti di lavoro, e perdono anche la possibilità di lavorare perché non sanno a chi affidare i figli. Accanto all’incremento degli investimenti in infrastrutture, il lavoro di cura che le donne svolgono nelle proprie case, per i propri cari, andrebbe retribuito? E come?

La “condizione femminile” è, da una parte, una questione economica, e dall’altra culturale ed educativa. La prima avrebbe bisogno di tempi corti per accelerare quelli, inevitabilmente più lunghi, della seconda. Le donne hanno necessità di un nuovo welfare che parta dai bisogni basici della quotidianità, come il controllo sul prezzo degli assorbenti per il ciclo mestruale, per arrivare a una totale, assoluta, inequivocabile parità di genere. Un esempio segna una possibile strada, nel suo piccolo, verso questo obiettivo. La sindaca di San Lazzaro di Savena, nella città metropolitana di Bologna, Isabella Conti, prima cittadina dal 2014, confermata nel 2019 con l’ottanta per cento dei voti, ha compiuto un passo importante verso le uguali opportunità investendo nelle strutture per l’infanzia. Oggi tutti i nidi della municipalità sono gratuiti a prescindere dal reddito, e le donne possono inoltre usufruire del progetto NILDE (Nuova Impresa Libera Donne Eccezionali), un omaggio a Nilde Iotti, che fu dirigente comunista e presidente della Camera, per fare impresa attraverso l’utilizzo di spazi gratuiti in cui possono avere i loro uffici e l’accesso alla formazione orientata dal Comune. Un caso riuscito di welfare sul territorio.

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Tags8 marzo donne lavoro Manuela Bianchi welfare

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