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Per una politica internazionale dei diritti umani
L’Italia non si distingue certo per la sua politica dei diritti umani. È il decimo esportatore di armi nel mondo; fa accordi con le bande armate che in Libia catturano e torturano i migranti (e Draghi di recente, con involontario sarcasmo, è arrivato a elogiare i “salvataggi in mare” della guardia costiera libica); all’Onu vota contro una risoluzione che intendeva denunciare il concetto di “embargo”, un modo per fingere di sanzionare i potenti colpendo gravemente le popolazioni… Però, a essere sinceri, non un solo paese al mondo può dirsi del tutto esente da critiche sotto il profilo dei diritti umani; mentre una politica incentrata su questi non potrebbe che avere un carattere internazionale.
Se il mondo fosse diverso, di diritti umani non ci sarebbe neppure il bisogno di parlare: sarebbe semplicemente scontato che le controversie non si risolvono con le guerre, che la vita e la dignità delle persone vanno sempre rispettate, che i migranti sono nel loro pieno diritto quando si spostano da una zona del globo a un’altra, e così via. Tutto ciò rientra nel progetto illuministico di una “pace perpetua”. Un obiettivo perseguibile – come ben sapeva Kant – solo all’interno di una confederazione mondiale di Stati basata sul diritto internazionale: oggi, in sostanza, rendendo operante nella realtà ciò che l’Onu esprime unicamente in linea di principio. Negli anni passati, invece, si è assistito perfino a una strumentalizzazione, da parte dei paesi occidentali, del diritto internazionale: con la dubbia nozione di “ingerenza umanitaria”, si è data una verniciatura ideologica a vere e proprie guerre di aggressione.