È continuata anche ieri, martedì 30 settembre, la protesta dei giovani nelle principali città del Marocco. La polizia ha cercato di impedire gli assembramenti, largamente annunciati sui social, ma le manifestazioni si sono svolte ugualmente. A Casablanca è stata occupata l’autostrada: ventiquattro manifestanti sono stati arrestati e sei minori fermati. Le autorità hanno duramente condannato questa azione, definendola estranea alle forme di protesta pacifiche. Il fatto è che le manifestazioni – che, dallo scorso sabato 27, si susseguono ogni giorno – sono state regolarmente represse dalla polizia, intervenuta con violenza.
Il movimento spontaneo è stato lanciato attraverso la piattaforma di giochi Discord da un collettivo che si è autodefinito Gen Z 212, la generazione Z dei giovani, nati tra la fine degli anni Novanta e il primo decennio del nuovo millennio, e che si è connotata – rispetto ad altri movimenti simili della GenZ (vedi qui) in Africa – come “212” dal prefisso telefonico internazionale del Marocco. Questi giovani intendono creare uno spazio di discussione attorno ad alcuni problemi sociali cruciali, come l’educazione, la sanità, il lavoro e la corruzione.
Fin dal primo giorno, la polizia ha usato le maniere forti, del resto una consuetudine nel Paese, per impedire le manifestazioni che si sono svolte a Rabat, Casablanca, Tangeri, Marrakech, Agadir e altri centri. Malgrado ciò, le giovani e i giovani si sono presi le strade e hanno protestato. Sono seguiti decine di arresti in tutto il Paese, una settantina solo a Rabat. Ma la prova di forza della polizia non ha sortito effetto, perché la protesta, amplificata dai social, è continuata nei giorni successivi.
Il malcontento ha preso le mosse il 14 settembre da un fatto accaduto nello spazio di una settimana, quando otto giovani donne sono morte di parto in successione, a qualche giorno di distanza, nell’ospedale regionale di Agadir, una struttura pubblica. In attesa dei risultati dell’inchiesta, aperta dal ministero della Salute, è partita la protesta delle famiglie delle donne e dei pazienti di fronte alle evidenti carenze di igiene e dell’assistenza sanitaria in generale. Le associazioni per i diritti umani hanno denunciato il sovraffollamento dell’ospedale, la grave carenza di personale medico, i guasti periodici delle apparecchiature diagnostiche. Molti pazienti hanno segnalato di essere stati obbligati a rivolgersi a cliniche private. L’ospedale di Agadir non fa altro che rispecchiare la situazione della sanità nel Paese, al di sotto degli standard minimi richiesti.
A fronte di queste carenze, nelle infrastrutture di base, si assiste a massicci investimenti negli impianti sportivi, poiché il Marocco – che si appresta a ospitare quest’inverno la Coppa d’Africa 2025 delle nazioni – accoglierà, con Spagna e Portogallo, i mondiali di calcio nel 2030, come annunciato due anni fa. La megalomania del regime monarchico di Mohammed VI è orientata a costruire uno stadio da 115.000 spettatori a Casablanca, il più grande al mondo, nella speranza di ospitare la finale della competizione, soffiandola alla Spagna. È la corsa a una urbanizzazione che, come in altre città africane (vedi qui), vede megastrutture spazzare via d’un colpo quartieri popolari e bidonville, con l’apertura di ampie strade di collegamento e lasciando interi strati della popolazione nell’indigenza e di fronte a difficoltà di ogni tipo.
Questa febbre della modernità costruttiva, che si sta diffondendo nei principali centri del Marocco, si arresta però davanti alle porte degli ospedali pubblici, come quello di Agadir, e delle altre infrastrutture necessarie. Non a caso, uno slogan diffuso dalla Gen Z 212 è: “Gli stadi sono qui, ma dove sono gli ospedali?” Dal governo, per il momento, la brutalità poliziesca contro chi manifesta e il silenzio. Ma l’imbarazzo è evidente di fronte alle altisonanti inaugurazioni del re Mohammed VI e alle sue promesse di sviluppo, che riguardano, anche visivamente, solo una parte del Paese.
Il Marocco è ancora giovane. Su una popolazione totale di 36,8 milioni di abitanti (censimento del 2024), ci sono 8,2 milioni di giovani, tra i 15 e i 29 anni. Sono soprattutto questi a risentire maggiormente della frattura tra i discorsi ufficiali e la realtà, a percepire le disparità sociali, a subire le conseguenze di una cattiva amministrazione in campo educativo. Secondo le statistiche ufficiali, la disoccupazione è leggermente scesa nel secondo trimestre di quest’anno – al 12,8% e al 16,4% in ambiente urbano –, ma la disoccupazione giovanile rimane elevata 36,7% (2024) per i giovani tra i 15 e i 24 anni, leggermente migliorata nel secondo semestre di quest’anno, al 35,8%, che il collettivo della Gen Z 212 ha adottato come parametro. La situazione è però assai diversa se si prende in considerazione la disoccupazione femminile: 52,4% (contro il 30,3% maschile) nel secondo semestre per la stessa fascia di età. E anche questo spiega perché nelle strade ci siano le ragazze.








