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Germania, verso una cittadinanza “turbo”?

La coalizione di governo velocizza i tempi della naturalizzazione degli immigrati: la spinta economica è data dalla necessità per il Paese di attrarre mano d’opera qualificata da qui al 2030, e c’è poi un problema di integrazione

15 Settembre 2023 Agostino Petrillo  519

Controcorrente rispetto a un’Europa in cui sembrano prevalere orientamenti ispirati dalla paura degli immigrati e da istanze di contenimento della loro presenza, la Germania prosegue sulla strada tracciata negli ultimi due decenni di ampliamento e facilitazione dell’acquisizione della cittadinanza. Nonostante la difficile temperie internazionale, il governo della coalizione “semaforo” continua, sia pure lentamente, ad attuare il programma di riforma sociale presentato nel 2021: “Osare più progresso”. La revisione della legge sull’acquisizione della cittadinanza rientrava appunto in questo programma. Già a fine marzo di questo anno, il cancelliere Olaf Scholz, preannunciando le modifiche, aveva sottolineato in parlamento l’importanza per la Germania di riuscire ad attirare lavoratori qualificati. “Abbiamo bisogno di una delle leggi più moderne dell’Unione europea sull’immigrazione, di manodopera qualificata, concorrenziale a livello globale e all’avanguardia”. E aveva aggiunto: “È un altro passo verso la modernizzazione (…), un altro passo per garantire la crescita economica, ed è un passo per superare decenni di stagnazione”.

Nell’ultima settimana di agosto è stata presentata la bozza di riforma, che certo subirà ancora modifiche durante la discussione e la votazione al Bundestag, ma che presenta dei tratti interessanti. Si tratta, d’altronde, di un’accelerazione di un processo già avviato nel 2008, con la radicale modifica della legge che aveva cancellato la secolare tradizione Blut und Boden, introducendo lo ius soli e una serie di elementi di razionalizzazione della presenza migrante, tra cui il discusso provvedimento riguardante gli Optionskinder, i ragazzi delle seconde generazioni, figli di immigrati in regola, che avevano una finestra di tempo di cinque anni – dal compimento del diciottesimo, fino ai ventitré – per scegliere se optare per la nazionalità del Paese di origine o per quella tedesca.

Questo perché la legge in Germania non prevedeva la possibilità del doppio passaporto, se non per alcuni specifici casi quantitativamente poco rilevanti. Provvedimento che aveva dato adito a molte polemiche, sia per l’obbligo a una scelta non sempre facile, sia perché la Turchia, in cui la legge prevede invece la possibilità della doppia cittadinanza, aveva giocato un po’ sporco sulla questione, attirando con varie facilitazioni i “turco-tedeschi” bilingui e spesso dotati di una formazione alta. A queste situazioni la nuova normativa dovrebbe porre rimedio, visto che sarà possibile, anche in Germania, avere una doppia nazionalità. Con la riforma, il doppio passaporto passerà da eccezione a regola. In linea di principio tutti i cittadini naturalizzati di provenienza non Ue potranno mantenere la loro cittadinanza originaria.

Gli aspetti più interessanti del pacchetto di norme in gestazione riguardano però la tempistica dell’acquisizione: se in precedenza erano necessari otto anni, con la riforma la naturalizzazione sarà possibile dopo cinque anni di residenza senza interruzione nel Paese, e in casi di “riuscita integrazione” il periodo potrà essere ridotto fino a tre anni. Importanti presupposti sono di non dipendere da sussidi sociali e non aver commesso reati. Ma, stando alla bozza della naturalizzazione “turbo”, sarà possibile presentare domanda, anche dopo soli tre anni, agli stranieri con una competenza avanzata della lingua tedesca, e dotati di competenze professionali di livello alto, ai ricercatori, e a quanti abbiano fornito servigi “eccezionali” al Paese.

Ben oltre gli aspetti di civiltà giuridica e di progresso sociale, che stanno dietro questo rinnovamento delle modalità di acquisizione della cittadinanza, esiste evidentemente un aspetto economico della questione. La ministra Nancy Faeser l’ha detto a chiare lettere: esiste una necessità di attrarre lavoratori qualificati, e di immigrati che paghino le quote delle pensioni. Secondo la Bundesagentur für Arbeit (Agenzia nazionale per l’impiego) da qui al 2030 saranno necessari almeno quattrocentomila immigrati solo per mantenere la forza lavoro al suo livello attuale.

Mentre la maggioranza degli economisti e il mondo dell’industria valutano la riforma positivamente, e ritengono che, vista la concorrenza globale, la modifica della legge possa servire ad attirare la manodopera necessaria, da parte dell’opposizione sono arrivate critiche feroci. La Cdu-Csu, sottolineando che la cittadinanza tedesca è qualcosa di molto prezioso, ha parlato di “svendita” del passaporto tedesco, che diverrebbe con le nuove norme una sorta di articolo in saldo durante il black friday. Sostenendo il principio della “lealtà” nei confronti di un solo Stato, i cristiano-democratici si sono dichiarati contrari all’introduzione della doppia cittadinanza, anche se questa possibilità di fatto esiste già per tutti i cittadini della Unione europea. Scatenato il partito di estrema destra, che sulla questione della velocizzazione delle procedure per la cittadinanza ha condotto una durissima campagna nei Länder dell’Est, all’insegna dello slogan “la Germania ai tedeschi”, vedendo le sue aspettative di voto crescere vertiginosamente.

Certo, il governo di Scholz sul fronte dell’immigrazione sta procedendo in maniera coraggiosa; ma al di là delle polemiche politiche rimane aperta una questione filosofica e sociologica di fondo: fino a che punto la cittadinanza e la naturalizzazione portano effettivamente a un’integrazione riuscita? O sono solo gli immigrati che hanno i migliori prerequisiti e la maggiore volontà di integrarsi che veramente si naturalizzano? Nel primo caso, la cittadinanza funge da catalizzatore per l’integrazione e migliora la posizione economica e sociale degli immigrati, con un potenziale impatto positivo sulla famiglia e non solo. Nel secondo, la naturalizzazione funziona semplicemente come una sorta di premio dato agli immigrati già integrati con successo.

Rispondere a questa domanda fornisce una base importante per le decisioni dei politici: se la cittadinanza è un catalizzatore dell’integrazione, allora la liberalizzazione delle leggi sulla cittadinanza potrà migliorare l’integrazione da un punto di vista economico e sociale. Ciò va a vantaggio sia degli immigrati sia del Paese di destinazione. Se, invece, la naturalizzazione non si dimostra un catalizzatore dell’integrazione, ma permangono differenze culturali radicali (basti pensare all’annosa polemica sulle parallele Gesellschaften, sulla società tedesca e quelle dei migranti che non si incontrano mai), la liberalizzazione delle leggi sulla cittadinanza avrà un effetto molto limitato e una ricaduta principalmente in ambito economico. L’accelerazione del conseguimento della cittadinanza, quindi, non è di per sé una panacea: occorre anche attivare meccanismi sociali di reale integrazione. Nel caso della Germania, probabilmente, sarà il tempo a dirci quale delle due possibilità prima ventilate finirà per concretizzarsi.

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TagsAgostino Petrillo cittadinanza Germania immigrati immigrazione integrazione manodopera qualificata

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