Come in tutte le odissee che si rispettino, anche il lungo viaggio di Giovanni Toti attraverso le vicende giudiziarie pare che stia per giungere a un nuovo approdo. Da quando gli è stato permesso di avere contatti politici, nel domicilio in cui ancora è confinato, l’azione del presidente della Regione Liguria è stata continua. Ha ricevuto nella sua bella villa di Ameglia gli assessori Alessandro Piana, Giacomo Giampedrone e Marco Scajola per la prima tranche di confronti politici autorizzati dalla giudice, e avrebbe già fissato altri incontri: il prossimo dovrebbe tenersi domani, venerdì 28, con i leader della sua maggioranza (Edoardo Rixi, Matteo Rosso e Carlo Bagnasco), mentre, lunedì primo luglio, ci sarà quello con Maurizio Lupi e Pino Bicchielli, rispettivamente leader e deputato di “Noi moderati”.
L’attivismo di Toti è motivato fondamentalmente da due fattori: il primo è che si avvicina la data fatidica, in cui verrà probabilmente deciso il suo destino per i prossimi mesi. Dopo che il 14 giugno il giudice per le indagini preliminari, Paola Faggioni, ha rigettato l’istanza di revoca della misura cautelare presentata dal legale di Toti, Stefano Savi, decidendo che il presidente deve rimanere agli arresti domiciliari perché “c’è ancora il pericolo di reiterazione di reato e di inquinamento probatorio”, il tribunale del riesame ha fissato, per l’8 luglio, l’udienza in cui l’avvocato chiederà nuovamente la revoca dei domiciliari.
La decisione arriverà probabilmente un paio di giorni dopo. Ed è proprio l’approssimarsi di questa scadenza che potrebbe rappresentare uno spartiacque in tutta la vicenda, giustificando e alimentando un fervore di iniziative e contatti. Al tempo stesso, guardando al futuro, dal suo non troppo tetro reclusorio, il presidente sta muovendo tutte le carte possibili per ritrovare un protagonismo sulla scena nazionale e locale. Questa, dunque, la seconda ragione della serie di incontri: ricominciare a pianificare un possibile percorso politico a venire. Anche perché, negli ultimi giorni, dal suo entourage è sembrato trapelare un certo ottimismo: nell’istanza che presenterà dinanzi al tribunale del riesame, l’avvocato Savi sosterrà che non esistono più le esigenze cautelari, visto che le audizioni dei testimoni sono state a suo avviso completate, e quindi non c’è alcun rischio di inquinamento probatorio, e, soprattutto, non esiste il rischio che il presidente della Regione Liguria, reiteri il reato, una volta tornato eventualmente alle sue funzioni istituzionali, dato che non ci sono in vista competizioni elettorali per cui chiedere finanziamenti a breve.
L’avvocato fa anche ricorso a un argomento che lascerebbe intuire una parziale e implicita accettazione delle accuse rivolte al suo cliente. Infatti Toti, “pur convinto di aver agito sempre nell’ambito della legge, non agirebbe più come prima; soprattutto sul modo di finanziare l’attività politica”. Savi, nell’atto di appello, scrive che “è da escludere che Giovanni Toti possa nuovamente, con immutato approccio, interessarsi di tali vicende o, semplicemente, chiedere a privati dei finanziamenti”. Anche se puntualizza come Toti “fosse fermamente convinto di aver agito per il bene dell’interesse pubblico e si sia sempre mosso nel rispetto formale delle regole”, sarebbe evidente che “alla luce dell’attuale vicenda giudiziaria (…)” sia da escludere che “le modalità oggetto di contestazione possano essere reiterate, se non altro al fine di escludere l’insorgenza di nuove contestazioni penali”.
Risulta quindi evidente come il momento del riesame rappresenti un vero e proprio spartiacque per Toti e per l’inchiesta: se dovesse essere nuovamente rigettata la richiesta, il governatore rischia di passare tutta l’estate ai domiciliari, perché il ricorso in Cassazione non verrà discusso prima di settembre-ottobre, con un eventuale rallentamento dei suoi tentativi di ricucire contatti politici a livello nazionale. Decisivo sarà dunque l’esito – anche dal punto di vista di una sua possibile parziale “riabilitazione”. Più il tempo passa, più l’abate Faria di Ameglia, che finora ha chiaramente mostrato di non avere la benché minima intenzione di dimettersi, avrà difficoltà a risalire la china. D’altro canto, leggendo tra le righe dell’argomentazione presentata dall’avvocato, parrebbe di capire che sia da escludere un rientro a livello locale, e che certo Toti non potrà più tessere le fila della sua politica fatta di favori, di accordi non trasparenti e di maneggi. Di qui l’importanza di un’eventuale ricollocazione a livello nazionale.
Nel contempo, il “gemello diverso”, il sindaco Marco Bucci, appare in difficoltà, orbato com’è del consueto supporto del suo partner in Regione: la gigantesca mole di progetti, molti dei quali stravaganti, avviati nell’affaccendarsi inoperoso degli ultimi anni, segna il passo. Il sindaco sembra muoversi a vuoto tra le cento opere che dovrebbero essere intraprese. La più faraonica, la nuova Diga foranea procede lentamente, il primo cassone è stato non senza difficoltà finalmente posato sul fondale verso la fine di maggio, ma dovrebbero seguirlo altri novanta a maggiore profondità… e questo solo per avviare la prima fase della costruzione. Intanto, l’ingegner Pietro Silva, già autore di una lettera aperta alla cittadinanza sulla impossibilità tecnica di realizzazione della Diga, è tornato nuovamente alla carica, parlando di una vera e propria catastrofe, con tanto di tsunami, che potrebbe essere innescata da un cedimento della stessa.
A rallegrare ulteriormente il clima plumbeo che incombe sulla Liguria, è giunto un testo interessante, appena pubblicato per i tipi di Erga edizioni, firmato da un economista dell’Università di Genova, Maurizio Conti, che si chiede La Liguria è (ancora) una regione del Nord?. Nel volume, dopo un’analisi storica del declino, a partire dal 1973, Conti mostra come il divario con le altre regioni si sia accentuato negli anni della gestione Toti: tra i vari indicatori, egli introduce anche la “qualità istituzionale”, e dalle sue valutazioni emerge come quella ligure sia la peggiore amministrazione del Nord, sotto il profilo delle prestazioni, della imparzialità e della corruzione. E così tutto congiura per “bastonare il cane che affoga”, come diceva Mao, anche se il soggetto in questione non è ancora da dare per spacciato. Il presidente della Regione appare sicuro di sé e, almeno in apparenza, dà mostra di essere in possesso di carte che non ha ancora giocato. Ulisse deve forse ancora flettere il suo arco – sempre che non gli si spezzi in mano.