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In Svezia sdoganata l’estrema destra
Troppi immigrati? Perché il Nord Europa si difende
Che cosa accade a Stoccolma e Copenaghen sul fronte immigrati? È in atto una forte frenata nelle avanzatissime politiche di accoglienza e integrazione di cui si vantavano la Svezia e la Danimarca? Sì, è così. I partiti socialdemocratici, tornati a governare nelle due capitali, hanno corretto energicamente da qualche tempo le proprie politiche sul tema. Come mai e perché? Vale la pena contestualizzare il problema prima di parlare di “stretta autoritaria” o, peggio, di perdita della tradizionale civiltà scandinava e socialdemocratica.
La Svezia ha poco più di dieci milioni di abitanti, di cui un milione e duecentomila sono immigrati regolarmente registrati. In realtà sono molti di più, e comunque oltre il 10% del totale della popolazione, barriera ritenuta compatibile per non creare scossoni sociali e procedere a politiche inclusive. È poi indubbio che negli ultimi vent’anni i Paesi scandinavi abbiano assorbito, in percentuale, più immigrati che gli altri Paesi europei. Inoltre, le società del Nord Europa sono ritenute assai democratiche e accoglienti, ma sociologicamente compatte: religione maggioritaria protestante, valori etici condivisi, parità uomo/donna raggiunta, alta natalità grazie alle politiche sociali.
L’Europa e lo scandaloso silenzio sugli innocenti
Quello che sta per chiudersi è l’anno del silenzio sugli innocenti. L’Europa che guarda dall’altra parte, che prova a combattere contro il virus, che si ritrova impantanata tra i “no vax e i “no pass”, non ha neanche la capacità di fare la voce grossa contro la Polonia, che alza muri per impedire che i profughi, i senza patria, gli immigranti possano entrare in quella che fu la culla della civiltà, l’Europa appunto. Sono disperati fantasmi strumentalizzati dalla Bielorussia, corpi violentati dal freddo e dalla fame, e sono ancora lì, in questo tenebroso Natale, alla ricerca di una solidarietà negata. Solo una voce si è alzata in loro difesa, una voce forte e chiara. Ed è quella del pellegrino papa Francesco, che da Lesbo e da Cipro si è interrogato sulla fine della civiltà e della democrazia in questo nostro nuovo mondo.
È l’Europa che stenta a prendere corpo, a diventare un soggetto politico forte in un mondo che, crollati i muri, è diventato multipolare e sta costruendo nuove barriere. Cina, Russia, Usa, le grandi megalopoli arabe si contendono risorse e territori. Il mercato, e non solo. E l’egemonia si gioca su questo, non sulla diplomazia, sulle relazioni internazionali, sullo spauracchio degli eserciti e delle armi di distruzione di massa.
Classe lavoratrice, la faccia nascosta dell’immigrazione
Ius soli, Landini rilancia. Draghi alla prova
Ci è piaciuto ieri Maurizio Landini. Durante i cinquanta minuti dell’incontro di “ascolto”, più che di consultazione, con il presidente incaricato Mario Draghi ha fatto saltare la scenografia, ricordando lo ius soli, l’urgenza di una normativa che dia dignità agli “stranieri” chi vivono nel nostro Paese. Landini prima ha parlato della assoluta necessità di proseguire il blocco dei licenziamenti e di pensare a un nuovo sistema di ammortizzatori sociali, dopo il massacro del Jobs act di Renzi, mentre Confindustria vuole aprire senza tanti complimenti la stagione delle ristrutturazioni aziendali: Draghi cosa farà? Quale direzione sceglierà? Poi ha lanciato parole chiare e dritte sul tema ormai dimenticato dello ius soli. Nessun’altra forza politica lo ha fatto in questo modo. “Chiediamo lo ius soli, che è il primo passo per una vera integrazione e inclusione”, ha detto e poi, nelle successive dichiarazioni alla stampa, ha rincarato: “Se si vuole costruire un clima di coesione, allora bisogna dire che i giovani sono anche i figli di migranti e, se si vuole creare un clima di coesione diverso, serve che chi nasce qui o ha studiato qui abbia gli stessi diritti di cittadinanza di tutti gli altri”.