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I giovani tra immagine e identità

I nuovi mezzi di comunicazione, e però anche la scuola, tendono a una standardizzazione dei comportamenti. Ma la sfida da assumere sarebbe quella della originalità e unicità

27 Marzo 2023 Stefania Tirini  651

I giovani sono una categoria, e, come avviene con le categorie, si tende con esse a generalizzare per rendere uguali coloro che ne fanno parte. Questo potrebbe essere anche un aspetto positivo: ma non andrebbe mai dimenticato che le categorie includono una moltitudine di persone che, anziché uguali, sono esattamente l’opposto, tutte diverse. La loro ricchezza sta in questo. È sbagliato non vederlo, ma spesso fa comodo farlo. Oggi un adolescente è un nativo digitale, uno di quelli che uno schermo lo adopera subito con le dita, perché è nato nella cultura del touch, e la televisione per lui è un oggetto obsoleto. Perciò i ragazzi sono entusiasmanti, il loro modo di imparare – che non assomiglia per niente alla generazione nata nel secolo scorso – è attraverso i link. Quando un adolescente legge qualcosa sullo schermo del suo dispositivo, e trova qualcosa di interessante nella frase, clicca sulla parola ed entra da un’altra parte, e così avanza all’infinito, come vuole la rete. Questo modo di affrontare la realtà è molto diverso dal nostro, ma è immensamente interessante, non sai mai dove ti porta, è imprevedibile, sebbene anche pericoloso.

Osservandoli e ascoltandoli, i ragazzi passano molto tempo a fotografarsi e a pubblicare le loro immagini. Pubblicano le immagini perché stanno su Instagram e su Instagram ci sono gli amici, e tanti di loro non fanno altro che pubblicare le loro storie, tutto il santo giorno. Quello che fanno va su Instagram, e le persone che li seguono apprezzano ciò che pubblicano. Tutti fanno cose e tutti le pubblicano: questo permette di diventare popolare. È la realtà, le cose stanno così.

Ma se fai della popolarità il termometro che decide se continuare o non continuare in quella direzione, hai già rinunciato alla possibilità di suscitare un interesse che ancora non esiste. Sei nato dentro la consapevolezza che la tua unica possibilità di successo è quella di inseguire la domanda, non di suscitarla; quindi, io avrò successo se sono popolare, sarò popolare se il gusto del pubblico corrisponde a quello che gli offro, ovvero devo offrire qualcosa che piace. Questo significa che non proverai mai a fare qualcosa che all’inizio non piace: in questo modo potrai soltanto plasmare la tua offerta sulla domanda, e dare alle persone ciò che già vogliono. Ma se le persone non sanno che esiste qualcosa che non conoscono come possono volerlo? Noi, tendenzialmente, vogliamo solo quello che conosciamo.

Chi ha inventato l’iPhone lo ha fatto su una domanda inesistente. Si conosce qualcuno che ha cambiato la storia della sua vita o degli altri, che ha fatto una qualche rivoluzione, prendendo il numero dal salumiere e mettendosi in fila? Cioè facendo ordinatamente quello che hanno fatto gli altri? O conosciamo grandi inventori geniali, grandi scopritori che sono tali perché hanno fatto qualcosa di diverso dagli altri? Fare qualcosa di diverso significa non farlo sulla base di quante persone lo vogliono, significa farlo anche se non lo vuole nessuno, anzi significa farlo quando non lo vuole nessuno.

Pensiamo alla politica. Fare politica – ci insegnavano i nostri professori al liceo – significa piantare un seme, da cui nascerà un albero sotto la cui ombra tu non siederai. Fare politica significa fare un investimento i cui frutti arriveranno, magari, fra due generazioni. Perché oggi la politica non è così? Perché il risultato deve essere immediato. Perché io prima di fare una dichiarazione devo sentire i sondaggi. Pensate a un Berlinguer o a un De Gasperi che si affidavano a un sondaggio prima di emettere una dichiarazione? La politica è indicare una rotta. O almeno lo era.

La riflessione sugli adolescenti porta molto lontano. I ragazzi considerano importante e fondamentale la reputazione e la popolarità. Se non sono popolari sono esclusi. La loro reputazione è contata su quante persone seguono le loro storie su Instagram. Pensiamo alla reputazione di un diciassettenne che vive nella rete. Proviamo a immaginare un suo ragionamento. Di fronte a una platea potenzialmente sterminata di milioni di persone che non vedi, loro però ti vedono: loro vedono la mia foto di ragazzina diciassettenne, ma io non li vedo. Come faccio a piacere a qualcuno che non conosco? L’unico modo di piacere a tante persone è somigliare a qualcuno che piace già (influencer, idoli pop, ecc.) e ha già una grande popolarità in rete. Questo meccanismo genera copie ed elimina il valore dell’identità individuale, che è diversa in ognuno e ciascuno. Chi decide questo? Perché ci uniformiamo tutti? Come faccio a piacere a qualcuno?

È sempre vero, in generale, che abbiamo l’opportunità di interessare gli altri soltanto facendo qualcosa che interessa noi. Non è possibile calcolare razionalmente (e cinicamente) un profilo di sviluppo della propria carriera in base alla convenienza. Se non c’è un autentico sentire, uno sguardo personale, una passione, è molto difficile che riusciamo ad avere successo in quello che desideriamo fare. L’unica possibilità reale di avere successo è quella di fare qualcosa che ci piace davvero. Così come essere diversi è fondamentale, ed essere uguali è drammatico. Quello che ci rende indispensabili alla vita degli altri, nell’amore, nella professione, è la nostra diversità. Gli elementi che costituiscono la nostra identità e ci rendono diversi dal nostro vicino.

La scuola invece forma a criteri standard. Come se l’idea di fondo fosse quella di arrivare a una omogeneità di formazione. I giovani (ma questo vale per tutti) saranno interessanti a coloro che li ascoltano, soltanto se saranno in grado di dire qualcosa di sorprendente e assolutamente personale. Qualcosa di originale, di unico.

Insegnare la cura verso l’unicità, a essere diversi da qualunque altro, è la strada da perseguire. Come si forma? Con le parole, dando un nome a ciò che siamo, comunicandolo. Le parole sono il grimaldello che apre tutte le porte. La parola scritta è destinata a essere detta. E se viene detta con amore e passione si vede. Perché la passione si comunica. Nei tempi di crisi questo vale ancora di più. Quando c’è un’economia florida, c’è posto per tutti, ma quando non ci sono opportunità è fondamentale comunicare la nostra unicità, e quindi è necessario distinguersi. Quando c’è un grande bisogno di rinascimento, di rifondare una cultura, un senso di appartenenza, è necessario che ciascuno faccia quello che gli piace. Così, del resto, anche Platone nella Repubblica.

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Tagsadolescenti diversità formazione giovani identità media politica popolarità scuola Stefania Tirini

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