Il confronto faccia a faccia fra Letta e Meloni non è stato granché. Ognuno ha puntato a mischiare le carte, cercando di smussare i propri angoli e mostrando, invece, le proprie flessibilità. Il fatto di essere uno a fianco all’altra, potendo contestare direttamente le rispettive tesi, non ha dato alcun brio: ognuno se n’è andato per i propri vicoli.
Più significativi sono stati i commenti all’evento. Il padrone di casa, innanzitutto, cioè il “Corriere della sera”. Il giornalone milanese si sta palesemente riposizionando. Il direttore Fontana, nel gestire il faccia a faccia, è stato assolutamente impeccabile, cronometro alla mano. Il suo giornale, il giorno seguente, ha sancito la nuova gerarchia: Meloni una leader da scoprire, Letta un déjà vu senza sugo, con una cravatta triste. Svanite le apprensioni sulla collocazione internazionale, sminuite le ansie anti-europee, tutta l’attenzione si sposta sul caratterino della signora e sul suo vestito verde. Per Letta solo uno scoraggiante “non ha vinto né perso”. Si intravede un “mielismo” di ritorno, una riedizione di quel cerchiobottismo, di quel barcamenarsi nei confronti del potere di turno, come si diceva una volta, in cui l’ex direttore del “Corrierone”, e attuale eminenza grigia dell’editore Cairo, è stato un campione. Stupisce la rassegnata subalternità dei comunicatori del centrosinistra, che si avviano a questi dibattiti come capri al macello, addirittura ringraziando i carnefici.
Per contro, “Repubblica” cerca di guadagnarsi uno spazio editoriale all’americana, candidandosi come ammiraglia della flotta di opposizione al prossimo governo. La chiave l’ha indicata il direttore del quotidiano romano, Molinari, quando ha parlato di iper-atlantismo antieuropeo per definire la strategia di politica estera che annuncia Fratelli d’Italia. Non mancano strizzate d’occhio al fronte del Nord della Lega, ai due governatori del Friuli, Fedriga, e del Veneto, Zaia, indicati come possibili successori di un Salvini giubilato dopo il voto.
Ma da quello che leggiamo sembra di capire che anche “Repubblica”, comunque, dia per scontato uno squagliamento della carovana delle opposizioni di centrosinistra. Letta viene sempre indicato come primus inter pares in un partito irrequieto e sgangherato. Calenda e Renzi sono come Totti e Ilary, oltre il livello della convivenza. Mentre i frammenti della sinistra radicale sono dati sotto il livello dell’acqua.
Le testate della destra rispondono al fuoco delle corazzate editoriali maggiori, difendendo la futura probabile prima ministra, se si può dire, ma non negando il suo contrasto con Salvini, che diventa oggi la vera garanzia di una normalizzazione anche ideologica dei neofascisti, i quali usano gli oltranzismi dell’ex ministro degli Interni per accreditare il proprio moderatismo. Siamo insomma già a urne aperte. E nessuno al momento accredita sorprese. Se non nel dosaggio della vittoria e nelle personalità che la interpreteranno. Per il resto, notte fonda.