L’assessore Vincenzo Colla conosce bene la materia, perché viene dal sindacato (è stato segretario nazionale della Cgil). In questi giorni è in contatto continuo con i suoi colleghi assessori delle regioni più colpite dagli effetti a catena della guerra in Ucraina e dalla corsa dei prezzi. Gli abbiamo chiesto di fare il punto sulla situazione reale e sugli interventi da mettere in campo.
Assessore, l’allarme su quello che sta per succedere in molte filiere produttive italiane arriva da più parti. Imprenditori, sindacati e amministratori temono il peggio. Dall’Emilia-Romagna voi siete in contatto continuo con le altre regioni, soprattutto quelle del Nord. Qual è la situazione? È vero che sono in ballo migliaia di posti di lavoro?
Vediamo un allarme generalizzato che è partito certamente dalle imprese più energivore, come le fonderie, le ceramiche, le vetrerie, le cartiere, ma che ora si sta estendendo anche agli altri settori. È chiaro che tante imprese, nonostante siano piene di ordinativi, alla luce dei costi energetici alle stelle reputano più conveniente chiudere che continuare a produrre. Per loro, l’unica possibilità diventa concordare la cassa integrazione con le organizzazioni sindacali. Non mi risulta, infatti, che ci siano stati atti unilaterali sul nostro territorio, e questo dimostra la grande responsabilità e serietà dei corpi intermedi. È evidente che c’è una forte preoccupazione, perché mettere oggi in cassa integrazione i lavoratori non è come è avvenuto nel periodo del Covid, perché, da una parte, la speculazione sui prezzi del gas arriva anche sulle famiglie, dall’altra l’inflazione sta aumentando i costi del carrello della spesa. Chi oggi va in cassa integrazione a novecento euro deve pagare una bolletta da centinaia di euro, il latte a due euro, pane e pasta raddoppiati… In più c’è l’altra speculazione, di cui si parla poco: lo spread alto si riversa anche sui mutui di piccole imprese, commercianti e lavoratori che hanno fatto investimenti o chiesto prestiti. Quindi, ancora una volta, batte sui più deboli.
Questa nuova crisi è determinata esclusivamente dall’aumento del prezzo del gas e dagli effetti della guerra in Ucraina? La dipendenza delle imprese energivore è totale?
Non dimentichiamo che la crisi è iniziata prima della guerra in Ucraina. È partita da una situazione geopolitica energetica che ha visto, da un lato, nel 2021, la ripresa della domanda di energia post-lockdown da parte delle imprese di tutto il mondo e, dall’altro, l’aumento esponenziale della domanda in Cina e India, che l’offerta pre-lockdown non è stata più in grado di soddisfare. L’Occidente ha giustamente avviato la transizione green, non più rinviabile, ma ha bisogno di tempo e, come in tutte le transizioni, serve mantenere un delicato equilibrio di governo per garantire un passaggio democratico. Io sono convinto che l’approdo finale, per le imprese energivore, sarà l’idrogeno. Non a caso ci sono esempi illuminati di imprenditori che ci stanno investendo. Penso, per esempio, a un grande marchio della ceramica, che insieme a Snam ha realizzato un nuovo stabilimento in provincia di Reggio Emilia, alimentato in buona parte da idrogeno verde ottenuto trasformando l’energia solare prodotta dall’impianto fotovoltaico sul tetto. È chiaro però che la conversione all’idrogeno delle imprese energivore richiederà tempo, e oggi non ci sono alternative all’utilizzo del gas.
Che cosa può fare la politica a livello nazionale e al livello locale sul territorio? Le entrate fiscali previste per la norma sugli extraprofitti possono essere per esempio un aiuto?
Mi sembra che il governo italiano, in questa crisi, si sia mosso bene per diminuire la dipendenza dal tubo di Putin e diversificare gli acquisti. È riuscito in poco tempo a stringere nuovi accordi con l’Algeria, il Congo e il Qatar, ad acquistare due nuovi rigassificatori, ad incrementare la Tap. Nel decreto “aiuti bis”, inoltre, sta posizionando tutte le risorse disponibili per aiutare famiglie e aziende e comprare tempo, in attesa di un provvedimento europeo. Perché è chiaro che l’unica vera risposta per calmierare oggi il prezzo del gas può venire solo dall’Europa: va bene qualsiasi soluzione – si metta un tetto al prezzo del gas, o l’Europa diventi acquirente unico per tutti i Paesi o faccia un fondo per abbattere il costo del gas –, purché si faccia presto. Nell’emergenza, ovviamente, è anche necessario mettere in campo un’idea di efficientamento e di risparmi nel breve periodo, come il governo sta già facendo.
In Emilia-Romagna, mentre siamo impegnati ad attivare nei tempi previsti il rigassificatore di Ravenna, stiamo per approvare il nuovo Piano triennale attuativo del Piano energetico regionale, che prevede un investimento mai visto (4,5 miliardi di euro in quattro anni) su tutte le energie rinnovabili. Vogliamo puntare su una cultura dell’energia di prossimità, attraverso autoconsumo e autoproduzione: che sia il fotovoltaico sul tetto di un capannone o di un condominio, che siano biogas, biomasse o biometano, abbiamo bisogno di progettare adesso un sistema che ci consenta di avere sempre più autonomia.
Dalla norma sugli extraprofitti, a oggi, è entrato un solo miliardo di euro sui dieci attesi. È chiaro che il tema è la capacità di incassarli: le imprese italiane mi risulta che abbiano pagato, ma andare a prendere gli extra-utili ai grandi soggetti internazionali, che hanno le ragioni sociali in giro per il mondo, non è una passeggiata. Questo è il contesto in cui ci troviamo. Se si vuol giocare col populismo, lo possiamo fare, ma quando la situazione è grave, è sempre meglio dire la verità.
Una delle questioni strategiche riguarda in generale la riconversione dell’industria nell’ambito di un nuovo sviluppo eco-compatibile. L’Emilia-Romagna è sempre stata un laboratorio di sperimentazioni. Che cosa si sta facendo in questo senso? Si può superare la vecchia contrapposizione tra industria (inquinante) e ambiente?
In Emilia-Romagna quella contrapposizione non esiste. Non a caso, a dicembre 2020, abbiamo firmato con tutte le associazioni imprenditoriali, le organizzazioni sindacali, istituzioni, università, terzo settore il Patto per il lavoro e per il clima. In quel documento abbiamo condiviso una nuova idea di sviluppo, che tenga insieme sostenibilità economica, ambientale e sociale. Non può esistere l’una senza l’altra.
Il nostro sistema imprenditoriale è molto sensibile al tema ambientale. Noi impiegheremo fondi sia europei che nazionali per sostenere gli investimenti nella direzione del risparmio, del riuso e riciclo, in progetti di economia circolare e di decarbonizzazione, consapevoli che ogni euro pubblico ha un moltiplicatore privato di 1,5-2 volte quel valore.
Con la nuova legge sulle comunità energetiche rinnovabili puntiamo, inoltre, a stimolare le imprese a installare impianti fotovoltaici su tutti i capannoni industriali e commerciali, proprio in quell’ottica di produzione di prossimità e autoconsumo di cui parlavo prima. La nostra responsabilità istituzionale è supportare ogni percorso virtuoso, monitorare la situazione e governare la transizione affinché sia giusta e inclusiva.