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Home » Editoriale » Il giusto coltello di Montanari affondato nella storia

Il giusto coltello di Montanari affondato nella storia

30 Agosto 2021 Aldo Garzia  2887

“Leggo che avrei ‘negato’ le foibe: ovviamente è falso. Contesto invece la loro decontestualizzazione, amplificazione, falsa e strumentale parificazione alla Shoah. La narrazione neofascista impostasi nella costruzione della giornata del ricordo”. È l’autodifesa di Tomaso Montanari, storico dell’arte, rettore dell’Università per stranieri di Siena, finito nell’occhio del ciclone delle polemiche per aver definito “falsificazione storica” la giornata del ricordo con cui si celebra dal 2004, ogni 10 febbraio, il rinvenimento di fosse comuni lungo il confine tra Italia ed ex Jugoslavia.

Montanari “negazionista” è una truffa agostana che è servita alla destra per chiederne la rimozione dall’incarico di rettore. L’interessato ha poi gettato benzina sul fuoco annunciando di aver rassegnato le dimissioni dal Consiglio superiore dei Beni culturali, del quale faceva parte in qualità di presidente del comitato tecnico-scientifico per le belle arti. Spiegazione: “Mi sono dimesso per denunciare l’arroganza del ministro Dario Franceschini nella nomina del soprintendente dell’Archivio centrale dello Stato, apologeta di Rauti”.

Il riferimento è ad Andrea De Pasquale nominato alla guida dell’Archivio centrale dello Stato, considerato da Montanari “con esperienze archivistiche del tutto incoerenti con quel ruolo cruciale”, oltre che inadatto per ragioni politiche, a causa del precedente legato all’acquisizione del fondo Rauti per la Biblioteca nazionale centrale di Roma (Pino Rauti è stato militante del partito fascista, segretario del Movimento sociale, fondatore del gruppo Ordine nuovo nel 1973).

Sulla nomina di De Pasquale è intervenuto lo stesso ministro Franceschini replicando a Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione familiari delle vittime della strage della stazione di Bologna del 1980, che aveva protestato come Montanari: “Ho ritenuto il dott. De Pasquale il più idoneo in quanto, oltre a possedere i necessari titoli di archivista, ha, negli ultimi anni, diretto con molta efficacia la Biblioteca nazionale centrale di Roma”. Puro stile burocratese da parte del ministro della Cultura.

Torniamo alle foibe. Come si decise di istituire la “giornata del ricordo”? Nei primi anni Duemila i Ds (futuro Pd) si impegnarono nel vano tentativo di “costituzionalizzare” la destra di Alleanza nazionale, dopo la “svolta” di Fiuggi voluta da Gianfranco Fini (il fascismo definito “male assoluto”), e l’avvento di Forza Italia guidata da Silvio Berlusconi. Ricordate la Bicamerale presieduta da Massimo D’Alema nel 1997, con l’obiettivo di riscrivere le regole istituzionali, e il discorso di Luciano Violante sui “ragazzi di Salò” appena eletto presidente della Camera dei deputati nel 2001? È in quel clima che si tentò una sorta di “pacificazione” delle memorie e della politica, a cui contribuirono pure Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano, capi dello Stato.

Tutto alla fine saltò per aria per volere più di Berlusconi che di Fini (andrebbero ancora indagate le ragioni di quell’esito). Ma il centrosinistra in quel periodo fece due inspiegabili concessioni. La prima: l’incomprensibile legge elettorale per gli italiani all’estero approvata nel 1999 e in vigore dal 2001, il pallino di Mirko Tremaglia, deputato di Alleanza nazionale con un passato nella Repubblica di Salò, che non ha paragoni giuridici in altri paesi d’Europa (esiste perfino una circoscrizione “Oceania” che elegge un deputato). La seconda: l’istituzione della giornata del ricordo sulle foibe nel 2004 che doveva fare da ideale pendant con quella che il 27 gennaio ricorda la Shoah istituita nel 2005 su scala internazionale.

La storia però non si fa con i do ut des, con gli scambi che rendono tutti uguali, pure i fatti e non solo i protagonisti. Quelle concessioni restano una macchia di contenuto e di metodo nella storia del centrosinistra del primo decennio del Duemila e i cui risultati sono evidenti nella pochezza dell’odierno dibattito pubblico storiografico (utilissimo a questo proposito il libro di Eric Gobetti E allora le foibe?, edito da Laterza nel 2021).

In ogni caso, i paragoni che fa la destra italiana tra foibe e Shoah, di cui non si può dimenticare l’unicità, sono solo propaganda tesa a cancellare le responsabilità fasciste e italiane sul corso degli eventi della seconda guerra mondiale e negli anni successivi. Scoppiata la guerra, la Jugoslavia fu sottoposta ad anni di brutale occupazione da parte dei fascisti e dei nazisti, che alimentarono la guerra civile mettendo le varie componenti etniche le une contro le altre. Si calcola che circa mezzo milione di jugoslavi siano morti durante l’occupazione nazista: questo dato è cancellato dalla memoria collettiva anche grazie al centrosinistra. Il che non giustifica le modalità dell’esodo degli italiani dall’Istria e le foibe, bensì ricorda le due facce di una tragica medaglia. Le vittime e i carnefici non sono da una parte sola.

Da annotare, infine, che Sergio Mattarella – con saggio equilibrio – l’anno scorso ha visitato la foiba di Basovizza, insieme con il suo omologo sloveno, per ricordare le vittime italiane delle milizie comuniste jugoslave e, allo stesso tempo, un gruppo di giovani patrioti sloveni condannati a morte dal tribunale speciale fascista. Mattarella è stato inoltre il primo presidente della Repubblica a visitare il Narodni Dom, l’edificio della comunità di lingua slovena a Trieste incendiato dai fascisti in una delle loro azioni squadristiche.

Se serve a discutere nel merito, ben venga dunque la polemica aperta da Montanari. Di storia contemporanea si parla troppo poco.

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TagsAldo Garzia Andrea De Pasquale centrosinistra Dario Franceschini destra foibe Shoah Tomaso Montanari

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