Questa volta ha prevalso il buon senso e la lungimiranza del governo dei conflitti. L’esecutivo Draghi – che in tema di scelte in campo economico era sembrato sbilanciato verso le posizioni più oltranziste degli industriali – ha scelto una soluzione di equilibrio. Dopo una riunione fiume con i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, il presidente del Consiglio ha infatti accettato di rafforzare i limiti allo sblocco dei licenziamenti che erano già stati decisi lunedì 28 giugno nella riunione della cabina di regia a Palazzo Chigi. Una riunione, quella di lunedì, che era stata la prima risposta del governo alle manifestazioni dei sindacati confederali di venerdì 26 giugno. In particolare, oltre alla proroga del divieto di licenziare fino al 31 ottobre per il tessile e i settori collegati (abbigliamento, calzature), ora la proroga sarà estesa a tutte le aziende che hanno tavoli di crisi aziendali aperti al ministero dello Sviluppo, nelle Regioni e nelle Prefetture. Sono previste tredici settimane in più di cassa integrazione straordinaria gratuita. È stato anche raggiunto un “avviso comune”, cioè un’intesa tra governo, sindacati e associazioni imprenditoriali, che impegna le aziende a utilizzare tutti gli ammortizzatori sociali a disposizione prima di arrivare ai licenziamenti. Queste novità sono inserite in un decreto legge che contiene anche il rinvio di una serie di scadenze fiscali. Il mondo del lavoro – ma anche le aziende – tirano un sospiro di sollievo. Si può dire: pericolo scampato per migliaia di lavoratori, che avrebbero potuto ricevere la lettera di licenziamento da domani, primo luglio.
La sfida era alta ed era quella di disinnescare la “bomba sociale” dei licenziamenti di massa, dopo un anno di pandemia che ha già intaccato pesantemente gli equilibri del mercato del lavoro. Le cifre sono diverse, ma tutte molto preoccupanti. L’Eurostat ha parlato di una riduzione di circa cinquecentomila posti di lavoro in Italia, a causa delle chiusure e delle crisi legate al Covid 19; mentre la Banca d’Italia calcola i possibili effetti finali dello sblocco dei licenziamenti: settecentomila posti di lavoro a rischio. Non si poteva scherzare con il fuoco, come già abbiamo spiegato su “terzogiornale”, ricordando anche le parole del ministro degli Interni, Luciana Lamorgese, che nei giorni scorsi aveva ammesso il rischio di un’esplosione di rabbia sociale, visto che c’erano (e ci sono) migliaia di famiglie con il fiato sospeso.
Il nuovo patto sociale è nato quasi per caso. Un semplice incontro del governo per informare i sindacati di come si sarebbe confermato lo sblocco dei licenziamenti dal primo luglio, e introdotta una serie di salvaguardie per i lavoratori dei settori e delle aziende più in crisi, si è trasformato in quella che anche i quotidiani di oggi (30 giugno) hanno definito una vera e propria maratona, cominciata ieri alle ore 15 e terminata in tarda serata, dopo diverse interruzioni per approfondimenti tecnici e per acquisire il consenso delle varie associazioni datoriali, in particolare della Confindustria.
Il risultato è stato l’avviso comune che inquadra i licenziamenti come extrema ratio. È stato quindi il risultato – in termini calcistici – di un vero e proprio pressing sindacale non solo nei confronti di Draghi, ma anche ovviamente dei suoi ministri, in particolare Daniele Franco (ministro dell’Economia) e Andrea Orlando (Lavoro). Per quanto riguarda l’oggetto, ovvero i contenuti della trattativa che si è trasformata in accordo, si deve evidenziare la contestazione dei sindacati dei codici Ateco per individuare le aziende del tessile e affini. Quei codici rischierebbero di lasciare fuori molte aziende delle filiere. Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, ha insistito anche sull’applicazione delle tredici settimane di cassa integrazione aggiuntiva per le aziende in crisi degli altri settori, in modo obbligatorio e non facoltativo.
Ma perché il governo ha deciso di cambiare idea? E perché soprattutto gli industriali hanno “ceduto” alla proroga, pur sostenendo che il nostro Paese continua a essere l’unico in Europa a utilizzare strumenti del genere? Sono molte le analisi che si stanno moltiplicando in queste ore. Tra i commenti che abbiamo letto, ha una certa logica pragmatica quello di Paolo Griseri, vicedirettore della “Stampa”, che azzarda un paragone tra la situazione economica e la Formula Uno. “Quando in corsa si verifica un grave incidente – scrive Griseri –, e certamente il Covid lo è stato, l’auto dei commissari entra in pista, rallenta il gruppo, azzera le differenze tra i primi e gli ultimi, e quando i detriti sono stati rimossi dall’asfalto si toglie di mezzo facendo ripartire la gara. Il blocco dei licenziamenti è la safety car. Toglierla dalla pista con troppo anticipo è rischioso perché qualcuno può andare contro i detriti sull’asfalto e farsi male. Lasciarla troppo a lungo davanti ai piloti rischia di appiattire i primi sugli ultimi, facendo perdere il senso della gara, nel nostro caso la concorrenza tra imprese”. E qui arriviamo all’accordo raggiunto tra governo e parti sociali, che è fatto in modo da consentire un’uscita graduale della safety car dalla pista dell’economia italiana.
Molto meno positivo e ottimista il commento sul “Fatto Quotidiano” di Gad Lerner, che contesta ai sindacati di aver accettato un compromesso che non dà certezze (non sappiamo, infatti, quante aziende rispetteranno la proroga del blocco dei licenziamenti) e che soprattutto non rappresenta il grande mondo del lavoro irregolare e non tutelato. “Se Landini, o chi per esso – scrive Gad Lerner – non troverà il coraggio di fare il primo passo in direzione del dialogo – per quanto difficile – con i rappresentanti del lavoro più sfruttato e meno tutelato, la lacerazione renderà impotente l’insieme del mondo sindacale. L’esito del lungo incontro governo-sindacati, convocato a meno di 36 ore dal ‘liberi tutti’, pare comportare lievi miglioramenti di sostanza e un ‘avviso comune’ con Confindustria sull’uso della Cig in alternativa ai licenziamenti. Come che sia, i sindacati si trovano nell’angolo, penalizzati anche da una sinistra che ha rinunciato a rappresentare il lavoro dipendente”.
La vede in modo diverso, com’è ovvio, il leader della Cgil, Landini, secondo il quale siamo in presenza di “un fatto importante perché vuol dire mettere al centro la difesa del lavoro e avviare un processo di confronto, di merito. Nella dichiarazione comune è previsto anche l’impegno, nei prossimi giorni, di avviare il confronto per la riforma degli ammortizzatori sociali, le politiche attive e la formazione”. L’impegno del governo “è anche ad affrontare gli altri temi di riforme fondamentali che devono essere realizzate, perché è necessario che il mondo del lavoro sia coinvolto nei cambiamenti e nelle scelte da fare in Italia. Oggi è una giornata davvero importante: credo che l’unità delle sigle sindacali abbiano prodotto un risultato non solo per i lavoratori, ma per l’intero Paese”. Vedremo presto le prossime puntate.