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A Davos l’America latina in primo piano

Tra il 16 e il 20 gennaio 2023, a Davos, in Svizzera, si è tenuto il World Economic Forum dal titolo “Cooperazione in un...

Lula sostituisce il comandante generale dell’esercito

Con effetto immediato, il presidente brasiliano Lula da Silva ha destituito qualche giorno fa il comandante generale dell’esercito, generale Júlio Cesar de Arruda, nominato...

Brasile, Bolsonaro ormai senza chance

Prima o poi, il problema si sarebbe posto perfino se Jair Bolsonaro fosse uscito vincitore dalle urne (per garantirsi la massima clientela elettorale possibile,...

La lezione di Brasilia

La prima osservazione da fare su ciò che è avvenuto a Brasilia, domenica 8 gennaio, riguarda il nesso con quanto avvenne negli Stati Uniti il 6 gennaio 2021. Se questo episodio, con il suo golpismo, poteva essere letto (vedi qui) come un caso di sudamericanizzazione della politica nordamericana, l’attacco della folla bolsonarista alle istituzioni democratiche brasiliane è indice, viceversa, della ripresa in Sudamerica di un populismo di destra che va trasformandosi in movimento reazionario di massa. Lo schema appare ormai collaudato: si comincia, fin da molto prima delle elezioni, ad agitare lo spettro del risultato elettorale truccato (vedi qui), e, una volta perse le elezioni di misura (recuperando in parte il distacco anche grazie a questo tipo di propaganda), si passa alla contestazione aperta dell’esito elettorale, gettando un’ombra sulla democrazia in quanto tale e lanciando una mobilitazione prolungata, che acquista poi un carattere insurrezionale. Se di golpismo si tratta, lo è di un genere diverso rispetto a quello che avevamo conosciuto nella seconda metà del Novecento: non il classico colpo di Stato militare, ma la creazione di un crescente stato di tensione. In Brasile però – e ciò rende la cosa molto più preoccupante di quanto accadde a Capitol Hill – la tensione è volta a produrre le condizioni di un pronunciamento militare (Bolsonaro stesso è un ex capitano), mediante quella che, nella conversazione di Mezza con Bivar (vedi qui), è giustamente definita una strategia del caos.

Fin qui le forze armate brasiliane si sono attenute, nell’insieme, a una lealtà democratica per minare la quale è stato organizzato l’attacco alle istituzioni. Lo stesso non può dirsi di una parte delle forze di polizia, la cui compiacenza nei confronti dei devastatori è apparsa invece chiara. Lula, del resto, ha reagito nell’unico modo che gli era possibile: avocando allo Stato federale il controllo di un ordine pubblico che sarebbe spettato alle autorità di Brasilia difendere. La sua è stata una pronta controffensiva. Ma resta la domanda: che cosa potrà accadere nelle prossime settimane e nei prossimi mesi? La lezione che viene dal Brasile dice che lo Stato democratico ha certamente gli strumenti legali per debellare i conati di fascismo (un paragone con quanto accaduto in Europa negli anni Venti e Trenta del Novecento può essere stabilito, pur con i necessari distinguo), ma la questione di fondo è: su quali forze sociali e politiche ci si appoggia?

Golpismo in stile Trump a Brasilia

Poco prima delle ore 15 di domenica 8 gennaio, migliaia di manifestanti, riuniti senza preavviso sulla Esplanada dei ministeri, nel centro di Brasilia, hanno...

Primo gennaio, il giorno di Lula

Stop alla concessione di permessi per l’acquisto di armi e la creazione di club di tiro, nuova registrazione di tutte le armi acquistate dai...

Il Sudamerica nella morsa della siccità

Paesi come Argentina, Brasile e Cile non sono estranei alle ondate di calore e alle siccità, ma negli ultimi anni la crisi del cambiamento...

Tra Mercosur e Unione europea, un accordo da ratificare

Europa e America latina hanno un legame storicamente radicato, che oggi si sviluppa attraverso una importante rete commerciale tra le economie del vecchio continente...

In Brasile vince la democrazia

Alla fine, sta andando come doveva andare. Pur in una tumultuosa polarizzazione, il Paese profondo ha respinto gli eccessi: le fantasie di golpe, da...

Brasile spaccato, ma vince Lula

“È la vittoria di un immenso movimento democratico” – ha detto Lula poco dopo avere appreso che i suoi 60.345.999 voti avevano superato i 58.206.354 andati a Bolsonaro, consegnandogli così la presidenza di un Paese mai come ora diviso e il primato di essere il più anziano capo di Stato brasiliano mai eletto. Scontata la promessa che, dal primo gennaio 2023, sarà il presidente di tutti, e non solo di coloro che lo hanno votato, Lula ha promesso una via d’uscita che riporti la pace e ricostruisca un Brasile dilaniato dall’odio, al quale si sforzerà di restituire la possibilità di vivere democraticamente. E con buona probabilità dovrà caratterizzare il suo terzo mandato mediante un approccio più centrista rispetto al passato, dovendo mediare con l’ampio schieramento che l’ha sostenuto, pur di evitare i pericoli per la democrazia brasiliana rappresentati da Bolsonaro.

“Hanno cercato di seppellirmi vivo e io sono qui per governare questo Paese in una situazione molto difficile. È ora di abbassare le armi, che non avrebbero mai dovuto essere brandite. Le armi uccidono. E noi scegliamo la vita. Credo che i principali problemi del Brasile, del mondo, dell’essere umano, possano essere risolti con il dialogo, non con la forza bruta. La ruota dell’economia tornerà a girare, con la generazione di posti di lavoro, la valorizzazione dei salari e la rinegoziazione dei debiti delle famiglie”. Queste alcune delle dichiarazioni del neopresidente, mentre i suoi sostenitori invadevano la Avenida Paulista, a San Paolo, per festeggiare l’elezione di un leader che alla sua bella età sembra ancora insostituibile. Il quale, per di più, ha vinto senza avere anticipato nella campagna quasi nulla del suo piano di governo, premiato da un voto che, prima di tutto, è stato un voto contro l’attuale presidente, il primo nella storia della democrazia brasiliana a non essere rieletto per un secondo mandato.