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Rishi Sunak salverà il Regno Unito?
Prezzo del gas, un cappello rivelatore
L’interminabile vicenda del “cappello” al prezzo del gas la dice lunga sulla compattezza dell’Unione europea in questa fase storica. Dopo che se ne parla da marzo, il 20 ottobre a Bruxelles, è stata finalmente tracciata la road map che dovrebbe condurre a una bozza di programma comune; ma, nonostante l’ottimismo – che campeggia peraltro principalmente sui quotidiani italiani –, dovranno seguire ancora due incontri per avere, forse verso fine novembre, un piano chiaro di intervento condiviso sulla questione. Una questione che tra l’altro trascina inevitabilmente con sé anche la lungamente dibattuta problematica del debito comune europeo, di cui abbiamo recentemente parlato (vedi qui), dato che questo potrebbe essere una via per finanziare tutta l’operazione “cappello”. Se l’obiettivo da raggiungere – affrontare la speculazione e intervenire sui picchi dei prezzi – appare largamente condivisibile, sul metodo, invece, le opinioni continuano a divergere: i contrasti sono stati così forti da mettere in dubbio il vertice franco-tedesco dei ministri degli Esteri, che avrebbe dovuto proseguire la discussione avviatasi nei giorni scorsi, e che è stato confermato in extremis solo dopo molte tensioni.
Per ora, l’accordo raggiunto prevede, in linea di massima, di adottare “decisioni concrete” sul price cap, in grado di incidere sul mercato Ttf di Amsterdam, pur nel rispetto delle condizioni stabilite, ossia che l’intervento debba essere temporaneo, di ultima istanza, così da non mettere a rischio le forniture.
Ultimi giorni di Liz Truss?
La Germania e il debito comune europeo
La ritirata di Truss
I sogni muoiono all’alba, recitava il titolo di un vecchio film. E così, nel giro di pochi giorni e poche convulse notti di consultazioni, si è sgonfiato l’ambizioso programma iperliberista di Liz Truss. Abbandonata dal suo stesso partito, la nuova prima ministra inglese si è trovata nella difficile condizione di dovere combattere su più fronti: non solo quello della fronda interna, rappresentata dai sostenitori del rivale Rishi Sunak e dai nostalgici di Boris Johnson, che tutto sommato “le sparava meno grosse”, ma anche sull’inatteso fronte esterno rappresentato dal Fondo monetario internazionale, da cui è giunto un severo monito. Al Fondo non garbava, infatti, una politica fiscale come quella prevista dal piano Truss-Kwarteng, che avrebbe finito per confliggere con la politica monetaria, da mesi perseguita dalla Banca d’Inghilterra, per contrastare un’inflazione senza precedenti, che supera ormai il 10%.
Inoltre, la ricetta, ispirata non solo a precedenti progetti della prima ministra, ma suggerita – si mormora – da qualche think tank americano di estrema destra, che prevedeva di redistribuire la ricchezza verso l’alto, con il taglio delle aliquote ai ricchi e la riduzione della spesa pubblica e dell’assistenza sociale, faceva temere possibili disordini: cosa che non ha mancato di mettere in allarme perfino le agenzie di rating. A dare la mazzata finale, ci si sono messi i mercati finanziari, che hanno giudicato la manovra rischiosissima, in buona parte costruita su nuovo debito, scatenando una tempesta monetaria che ha portato a un rapido crollo della sterlina, faticosamente arginato dalla Banca d’Inghilterra. Curiosamente, quello che avrebbe dovuto essere l’avversario politico principale, cioè il Partito laburista, si è limitato a godersi l’autoaffondamento della barca di Truss stando alla finestra, senza intervenire criticamente, se non in maniera piuttosto timida, probabilmente già soddisfatto dei sondaggi, che lo danno ormai stabilmente in grande vantaggio rispetto ai conservatori.
La Germania va da sola
La guerra contro i poveri di Liz Truss
Linke e non più Linke: il discorso di Sahra Wagenknecht
Truss, la nuova “dama di ferro” per un Regno Unito in...
Liz Truss pare non amare le mezze misure. Già qualche mese fa, prima della sua contrastata elezione a primo ministro, avevano destato scalpore e perplessità le foto in cui si era fatta ritrarre, in tenuta mimetica, mentre si sbracciava da un tank in Ucraina. Così non devono sorprendere le sue recenti, roboanti dichiarazioni sulla disponibilità a scatenare una guerra nucleare, “premendo il bottone, se necessario”. Se le sue posizioni sul conflitto russo-ucraino erano da tempo note, viene certo da chiedersi il perché questa ambiziosa ex dirigente aziendale, laureata in filosofia e scienze politiche a Oxford, mostri un volto così arcigno e abbia pensato di inaugurare il suo mandato con minacce urbi et orbi.
Al di là dei limiti caratteriali del personaggio, sulla cui vita privata si sono sbizzarriti i tabloid inglesi (e la cui ascesa ha suscitato non poche preoccupazioni nei tory, che tutto sommato continuavano a pensare che fosse meglio Johnson), l’impressione è che Truss voglia trasmettere una immagine di forza e di determinazione. Immagine importante nel momento in cui gli inglesi si trovano a fare i conti con una crisi sociale senza precedenti, e per molte famiglie si prospetta un autunno in cui dovranno scegliere tra fare la spesa o scaldarsi. In fondo, anche dallo scontro con l’altro competitor alla massima carica dello Stato, Rishi Sunak, Liz Truss è uscita vittoriosa perché è riuscita a conquistare i membri del Partito conservatore in virtù di un messaggio semplice e diretto: ha promesso di ridurre le tasse, di liberarsi dalle leggi e dai vincoli della Unione europea, di cancellare la quota, presente nelle bollette, destinata all’energia verde e a finanziare progetti di tipo ambientale.
A che punto è il conflitto? I limiti dell’informazione di guerra
Bellum dulce inexpertis, diceva Erasmo da Rotterdam: la guerra piace a chi non la conosce. Nulla di più attuale, nel momento in cui le conseguenze del conflitto russo-ucraino cominciano a farsi sentire nell’Unione europea. Conseguenze economiche e sociali, che si profilano in tutta la loro pesantezza. La questione del gas impazza nei media vecchi e nuovi, mentre pare scendere il sipario sull’andamento reale del conflitto. Certo, la comunicazione di guerra è parte della guerra (come avevamo sottolineato con Michele Mezza già all’inizio delle ostilità: vedi qui). Era quindi ampiamente preventivato che si sarebbe subito messa in moto, da ambo le parti, la “fabbrica delle notizie”, come la chiamava il più grande tra gli studiosi della opinione pubblica, Walter Lippmann. E sapevamo, inoltre, che la prima vittima della guerra è la verità, perché, parafrasando von Clausewitz, l’informazione è la prosecuzione della guerra con altri mezzi.
Raramente, però, le notizie che circolano sono sembrate così nebulose, se non distorte, come negli ultimi tempi: i media pullulano di omissioni, esagerazioni e di dati non verificabili. Su quello che avviene in quelli che sembrano essere, al momento, i punti cruciali del conflitto – la centrale nucleare di Zaporižžja e l’offensiva ucraina a Kherson –, giungono informazioni contraddittorie e lacunose. La centrale atomica viene bombardata prima dai russi e poi dagli ucraini… in essa sono collocate infrastrutture militari, che però i tecnici inviati per controllare la sicurezza della centrale non vedono. L’offensiva ucraina a Kherson è un grande successo… però forse no… e così via in una ridda di smentite e controsmentite.