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Tag: Agostino Petrillo

Brexit, il pentimento degli economisti

“Tenere duro in una condizione di tranquilla disperazione è lo stile inglese”: le parole di una celebre canzone dei Pink Floyd, Time, sembrano le...

Partita a scacchi sul prezzo del gas

Alla fine, si sono messi d’accordo. I Paesi europei hanno raggiunto una faticosissima intesa sul tetto del gas. Dopo mesi di negoziati difficili –...

Natale nel caos per il Regno Unito

Nel film Il senso della vita dei Monty Python, era un banale gruppo di impiegati, trasformatisi in pirati, che, irrompendo negli uffici delle corporations,...

La congiura dei “Cittadini del Reich”

Passata sui media nostrani come poco più di una buffonata, una sorta di congiura farsesca ordita da pochi squilibrati, la vicenda della cospirazione dei...

C’era una volta la Brexit. I piccolissimi passi di Rishi Sunak

Col passare del tempo le cose assumono a volte una fisionomia più chiara. È il caso della Brexit e delle sue conseguenze. A ormai...

Ritorno su Ischia

Cessato lo strepito, è forse ora possibile qualche considerazione più strettamente politica sull’evento di Ischia – ed è da preferire il termine “evento” ad altre formule più retoriche e culturalmente connotate, come “tragedia” o “disastro”, che rimandano inevitabilmente a una sorta di fatalismo arcaicizzante. Anche per il crollo del ponte Morandi a Genova la denominazione di rito, ormai comunemente reiterata, è “tragedia”, rimuovendo così completamente le responsabilità umane. Nel Paese delle frane e dei terremoti, parliamo di un evento, dunque, in cui convergono tre diversi piani, strettamente intrecciati. Il primo è certo quello della fragilità dell’isola, nota da sempre (in questi giorni è stato ricordato dalla stampa che ne fece le spese lo stesso Benedetto Croce, ma i segnali d’allarme sono stati insistenti e ricorrenti negli ultimi anni, intensificandosi a partire dal 2006). Un territorio che però è stato soggetto a trasformazioni tutt’altro che “naturali”. Di qui l’importanza del secondo piano, quello dell’attività umana: scomparsa di antiche strutture di contenimento, moltiplicarsi di cave, infittirsi delle costruzioni, esplosione dell’abusivismo, enorme concentrazione di edifici in un’area piccolissima, in buona parte da ricondursi alle seduzioni del facile guadagno col turismo. Terzo piano che ha concorso a determinare l’evento, ed è in fondo il più importante: quello istituzionale.

La strategia dei condoni ripetuti, l’abusivismo come sorta di vizio nazionale, in qualche modo “tollerabile”, ne sono una componente non trascurabile. Ancora ieri il ministro per la Protezione civile, Nello Musumeci, con singolare intempestività, in una intervista sottilizzava sull’esistenza di “diversi livelli di abusivismo”, i cui aspetti meno eclatanti sarebbero “accettabili”, dando così voce a un raramente palesato comune sentire della politica. È probabilmente ciò che prova a balbettare il sindaco di Ischia, quando si agita sostenendo che non ci sarebbe stato abusivismo sull’isola; in realtà, vuole dire un’altra cosa, che non può dire a chiare lettere: “così fan tutti”, tutti si arrangiano, si allargano, autocostruiscono, da decenni c’è un “partito dell’abusivismo e del condono”, del tutto trasversale, come ha ricostruito dettagliatamente Paolo Barbieri (vedi qui).

Genova, “skymetro” e altri mostri

Tra le molte meraviglie che il sindaco Bucci sta progettando per la sua Genova futuribile, spiccano un paio di innovazioni infrastrutturali, che paiono non...

Aria fritta a Sharm-el-Sheik

Così non si va da nessuna parte. I partecipanti al vertice Cop27 sul riscaldamento globale, che si è tenuto per dieci giorni a Sharm-el-Sheik,...

A Est della Ostpolitik, Scholz sulla via di Pechino

La gitarella di Olaf Scholz a Pechino non ha mancato di suscitare una serie di reazioni, tanto a livello internazionale quanto nel dibattito politico...

Ma cos’è il rave? Sottocultura o controcultura?

Tra le cosiddette sottoculture quella rave occupa un posto particolare. Non si sa precisamente quando e come sia nata, negli anni Ottanta: ma si è radicata rapidamente, fino a guadagnarsi un posto di rilievo nell’immaginario giovanile. La techno-rave è una cultura profondamente estetica, come mostrano bene l’attenzione ai dettagli, lo stile dell’abbigliamento e il mutuo riconoscimento da parte dei frequentanti. Certo, non è un movimento di massa: può essere descritta, tuttavia, come un campo culturale ampio, formato da una moltitudine di comunità. Un’estetica impura, aggredita, come sempre avviene in questi casi, anche da aspetti commerciali, comunque dotata di una sua autonomia e legata a una sfera valoriale originale.

Cerchiamo di capire di cosa parliamo quando parliamo dei rave: si tratta di free parties, di liberi raduni di persone che si riuniscono in un determinato luogo per ascoltare o ballare musica da ballo prodotta elettronicamente. I primi rave sono nati in Inghilterra, e si sono rapidamente diffusi nel resto dell’Europa, soprattutto in Germania. Spesso questi raduni erano illegali e si svolgevano in fabbriche o magazzini abbandonati. Inoltre i rave, nella loro prima fase, sono stati spesso associati a spettacoli con luci violente e stordenti, a un'atmosfera suggestiva, all’edonismo e al consumo della “droga dell'amore”, l’ecstasy. Una sottocultura, nei suoi tratti essenziali, sostanzialmente pacifica, in cui il motto, sintetizzato nell’acronimo Plur, stava per una serie di valori condivisi: Peace, Love, Understanding e Respect (“pace, amore, comprensione e rispetto”). E questo pacifismo di fondo dei ravers lo si è visto bene anche nella mancata reazione allo sgombero poliziesco dei giorni scorsi.