
Suscitò sorpresa e un po’ di scandalo, nel 2021, l’incontro del papa con i portuali genovesi (vedi qui) da un paio d’anni in prima linea nello sciopero pacifista che attraversava le banchine europee, da Anversa a Le Havre, a Bilbao. Bergoglio aveva elogiato la loro lotta e il fatto che avessero respinto una “nave della morte” che trasportava armi. Disse: “I lavoratori del porto hanno detto no. Sono stati bravi”. E durante l’incontro aveva reiterato: “Continuate queste lotte, bene avete fatto a bloccare queste navi da guerra cariche di armi, continuate così”, aggiungendo l’auspicio che il Mediterraneo tornasse a essere “un mare di cultura e di unione dei popoli piuttosto che un grande cimitero di umanità”. Tornano alla mente quell’incontro e quelle parole, nel momento in cui si spende molta retorica intorno al pacifismo del papa e agli intenti del suo operato.
Lo spazio e il supporto concessi ai genovesi del Calp (Collettivo autonomo lavoratori portuali), collettivo di estrema sinistra, fecero storcere il naso a più di un commentatore, anche perché alcuni portuali che avevano animato i blocchi erano all’epoca inquisiti, sottoposti a denunce. In città ci fu chi parlò, malignamente, di un incontro tra “il diavolo e l’acqua santa”. Certo, con il suo andare controcorrente, accettando di ricevere i portuali, il papa era stato anche incoraggiato dai gruppi del variegato movimento antimilitarista e pacifista di ispirazione religiosa e laica, che da decenni aveva condotto battaglie politiche e sociali, molto presente anche a Genova, e dalla cui azione era in buona parte scaturita la legge 185 del 1990 contro i traffici di armi: una legge peraltro minacciata continuamente di depotenziamento da parte delle lobby affaristiche militari, e oggi, in piena temperie di riarmo europeo, più che mai di difficile applicazione.
L’episodio dei portuali è in ogni caso interessante, perché mostra bene quanta attenzione riservasse Bergoglio a tutto quello che si muoveva intorno alla pace, da lui vista giustamente al crocevia di una serie di altre questioni, come quella dei migranti, e come egli abbia cercato pazientemente di avere contatti, anche eterodossi e non formalizzati, con mondi che non erano certo ufficialmente rappresentati o direttamente contigui al suo. Basti pensare alla vicenda della Ong Mediterranea Saving Humans, dal papa supportata e difesa in un momento in cui la politica era pressoché compattamente schierata per un inasprimento dei controlli e dei respingimenti dei migranti. Mentre tristi personaggi al potere fantasticavano di “taxi del mare”, il papa volle conoscere una delle figure di spicco di Mediterranea, Luca Casarini, ex leader del movimento anti-G8, con cui nacque un rapporto umano e di scambio di opinioni, come ha ricordato recentemente, in una intervista televisiva, lo stesso Casarini. E il vecchio “disobbediente” non fu il solo a rimanere sorpreso dalla personalità e dal carisma di Francesco, ci furono anche altri “atei devoti” che finirono per essere catturati dal magnetismo del personaggio. In particolare, dopo l’enciclica Laudato si’, giunse a ingrossare le file dei seguaci laici del papa una serie di ambientalisti e di intellettuali impegnati in questioni di natura e territorio.
Sul fronte della pace, il piano su cui cercava di muoversi Bergoglio era naturalmente più ampio: egli guardava con grande preoccupazione, prima di tutto, ai grandi equilibri internazionali in disfacimento e al ritorno della guerra come modo di risoluzione dei conflitti tra potenze, ma era estremamente attento anche ai piccoli segnali controcorrente che affioravano qua e là. Il papa riconobbe – nell’azione diretta del movimento dei portuali genovesi e in Mediterranea – una capacità di opporsi al potere, di dire la verità su quanto accade, e un antidoto all’ipocrisia dei molti che predicano la pace ma praticano la guerra.
Nell’attenzione riservata a questi segnali, si rivelava anche il carattere tragico del pontificato: l’isolamento, la solitudine estrema che ne hanno spesso caratterizzato l’azione politica, le difficoltà nel trasformare perorazioni e moniti in una politica che fosse di qualche efficacia. In realtà, nella sua concreta impresa pacificatrice, Bergoglio ha riscosso più insuccessi che successi, come non mancava di fare rilevare, in maniera forse un po’ ingenerosa, un recente editoriale della “Zeit”. Il papa ha cercato più volte di svolgere il ruolo di pacificatore su una scena mondiale sempre più tempestosa, ma per lo più i risultati sono stati discutibili, e le sue prese di posizione molto criticate. Pochi mesi dopo l’invasione dell’Ucraina, da parte dell’esercito russo, Bergoglio affermò che la Nato poteva avere “abbaiato troppo forte alle porte della Russia”. Fu duramente attaccato per questa affermazione, dato che non ci voleva molto a concludere che così si attribuiva alla Nato la maggiore responsabilità nell’avere provocato la guerra. Lo si accusò di avere sposato la versione di Putin, e servì a poco il tentativo di relativizzare quanto aveva detto. Rimase la spiacevole impressione che il papa stesse giustificando l’aggressione russa.
Due anni più tardi, nel marzo 2024, parlò di nuovo della guerra in Ucraina, e lo fece nuovamente con una frase equivocabile: “Non vergognatevi di negoziare prima che la situazione peggiori”, disse agli ucraini. E aggiunse che era il caso di avere il “coraggio di alzare bandiera bianca”. Quello che era un monito di fronte alla crescita impressionante del numero delle vittime fu interpretato solo come un invito all’Ucraina ad arrendersi e a sottomettersi alla volontà dell’aggressore. Ancora di recente, è stato messo sotto accusa dal governo israeliano per avere alzato la voce sul massacro della popolazione civile a Gaza. È anche vero però che ha colto qualche piccolo successo, come la ripresa delle relazioni diplomatiche tra Cuba e gli Stati Uniti, nel 2014, avvenuta grazie alla mediazione del Vaticano e al suo impegno personale.
In tempi difficili, il punto centrale del suo operato è stato – come da tradizione della Chiesa – il promuovere il dialogo sempre, ovunque e in ogni momento; ma ha anche cercato in alcuni casi di forzare, di esercitare una pressione, di affrettare i tempi di eventuali trattative. Bergoglio è stato un papa molto politico, che ha utilizzato la sua posizione anche come capo di Stato in modo abile per sottolineare come le preoccupazioni centrali della politica estera del Vaticano – la pace, la libertà religiosa, la giustizia internazionale e la lotta contro i cambiamenti climatici e le disuguaglianze – fossero parte di una più ampia strategia, che intendeva coinvolgere non solo la cristianità ma il mondo intero.
Il suo sforzo per la pace ha assunto, verso la fine del pontificato, toni drammatici, diventando quasi un grido inarticolato, un “grido disperato di aiuto”, come recita una delle sue ultime comunicazioni, che, senza nascondere il lato oscuro del presente, il precipitare degli eventi, rilancia l’appello per un cessate il fuoco a Gaza e per una tregua in Ucraina. Così la sua figura è andata assumendo un carattere profetico: notava Max Weber che, nei tempi di rivolgimenti storici e sociali, tace il prete e parla il profeta. Mentre il sacerdote conserva e riproduce, il profeta allude a nuovi ordinamenti, e si crea una tensione latente tra rivoluzione e sistemazione, che si palesa in uno scarto tra la forma della predicazione e gli obiettivi di essa. E la tragicità di Francesco risiede nell’avere dovuto, e forse voluto, incarnare in alcuni casi ambedue queste figure. Cosa che non è passata inosservata agli “atei devoti” di sinistra che ora si uniscono a chi ne piange la scomparsa.