Questo 27 marzo 2021 potrebbe essere il giorno della divulgazione della lettera “nemici tutti”, che ben esprimerebbe la cultura nichilista, suprematista, liberista e populista di chi nasconde milioni di dosi di vaccini, blocca tutta la produzione AstraZeneca, visto il locale picco dei contagi, e altro. Manca ancora il capitolo sulla scoperta di partite di vaccini contraffatti, ma si potrebbe sempre fare a tempo nonostante il 27 sia ormai alle porte, la data perfetta.
Infatti il 27 marzo 2020, un anno fa, sotto la pioggia, il vescovo di Roma, Francesco, pubblicò la sua prima video enciclica. Quella sera lui non scese dalla basilica in piazza San Pietro per comunicare ai fedeli la sua verità. No. Quella sera il vescovo di Roma, neanche protetto da un ombrello, fiancheggiò tutta la piazza per poi risalire verso la basilica, come avrebbe fatto un qualsiasi pellegrino, o turista, o curioso. Il senso di quel lungo camminare di un uomo assillato dall’artrosi, con indosso solo la sua veste bianca, senza alcun paramento, senza alcun coadiutore, stava nel darci la certezza che radunava tutti, senza scartare alcuno. Come a dire con i gesti, che poi avrebbe ripetuto con le parole, che, al contrario di quanto si afferma in “nemici tutti”, siamo tutti sulla stessa barca. È stato difficile allora capire appieno cosa volesse dire questo “siamo tutti sulla stessa barca”, ora con la vicenda dei vaccini è più chiaro.
Credere, come allora tanti dicevano, che siamo in guerra, annunciava un mondo in cui i vaccini garantiti vengono dati ad altri, qualcuno li paga il doppio o il triplo, altri li nascondono, chi non paga ancora non li vede, altri li vogliono tenere solo per sé. È questo il modo giusto per curarsi, per pensare di uscirne davvero? Se non capiamo che siamo tutti sulla stessa barca, per Francesco ne usciremo, ma peggiori. Francesco però sa bene che ci sono molte altre pandemie, davanti alle quali neanche usiamo mascherine. Come definire altrimenti la violenza, l’inquinamento, i mutamenti climatici, la corsa all’atomica? Anche per queste si può scegliere il sistema dell’inimicizia, dell’interesse illegittimo, dell’ingiustizia, o la bussola opposta, quella della fratellanza. Ecco perché Francesco ha riaperto, appena è stato possibile, cioè un anno dopo quel marzo 2020, la stagione dei suoi viaggi recandosi in Iraq. Perché è lì che è originata la nuova pandemia di violenza che scuote tutto il bacino del Mediterraneo espandendosi a macchia d’olio dalle sue coste in Africa, Europa e Asia. In un certo senso la sua preghiera nel cuore devastato di Mosul è stata il proseguimento della preghiera del 27 marzo 2020 a San Pietro, per invitare tutti a scegliere la fraternità e non il fratricidio.
In questi giorni, per esempio, non è stato facile trovare sui nostri giornali la notizia dell’attentato terroristico che martedì ha ucciso centotrentacinque persone in Niger, o delle alluvioni che devastano l’Australia. Il diverso peso attribuito a sciagure lontane non è nuovo, ma il fatto che la catena di esplosioni avvenuta in una zona del Niger al confine con il Mali avrebbe consentito di cogliere la rilevanza delle stragi che lì si susseguono da inizio anno (ben quattro ormai) in un teatro dove operano al-Qaeda per il Maghreb islamico e lo Stato islamico nel Grande Sahara. Nulla a che fare con Mosul?
Non sorprende che la strage sia stata ricordata da Francesco: il Vaticano su questo ha sempre dimostrato maggiore attenzione. Ma dall’inizio del pontificato bergogliano la fratellanza sta innovando profondamente il discorso religioso, perché esplicita che il disegno divino contempla le nostre diversità, di fede, sesso, razza, cultura. È sempre più chiaro che non c’è una verità di fede contrapposta a false credenze accettate da una falsa umanità.
Questa fratellanza non può giustificare la recente decisione della Congregazione per la dottrina della fede che ha escluso la possibilità di benedire unioni di persone dello stesso sesso. Queste benedizioni non sono sacramenti, sono gesti liturgici che intendono favorire effetti spirituali. Siccome il recente sinodo sulla famiglia ha finalmente riconosciuto la necessità di una pastorale per le persone omosessuali, come intendono accompagnarle i padri della Congregazione? In solitudine? Il Francesco che disse “se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla” è quello che oggi afferma che “la teologia morale deve riguardare le persone e la realtà, non solo i principi”, linea che emerge chiaramente da quanto dichiarato dal cardinale, arcivescovo di Vienna, Schönborn: preso atto che la Congregazione giustamente difende la famiglia sacramentale il porporato aggiunge: “Questo ‘sì’ alla famiglia non deve essere detto in un ‘no’ a tutte le altre forme. Se la richiesta non è uno spettacolo, se è sincera ed è veramente la domanda della benedizione di Dio per un cammino di vita che due persone, in qualsiasi situazione, stanno cercando di percorrere, allora non sarà loro negata tale benedizione. Anche se, come sacerdote o vescovo, devo dire: ‘Non hai raggiunto tutto l’ideale’. Ma è importante che tu viva la tua strada sulla base delle virtù umane, senza le quali non c’è una partnership di successo”.
Dunque Francesco ci propone un nuovo approccio. È un mutamento che si vede ovunque, dalla pandemia alla violenza al rispetto per chi comunque ama. Una vera rivoluzione.