
“Francamente, detto da un semplice osservatore esterno, non se ne può più”. Non possiamo che fare nostre le parole del politologo Antonio Floridia, pubblicate sul “manifesto”, all’indomani del voto referendario. Il riferimento è all’infinita lotta intestina interna al Pd che, come un virus pandemico, infetta da anni il principale partito della sinistra (o del centrosinistra, altro dilemma che non fa dormire sonni tranquilli a molti), di fatto fin dalla sua nascita, quando Walter Veltroni candidò un falco di Confindustria come Massimo Calearo e Antonio Boccuzzi, unico operaio sopravvissuto al disastro della Thyssenkrupp nel 2007. Un colpo al cerchio e uno alla botte, l’antefatto del renzismo.
Ora, come un fiume carsico i cosiddetti “riformisti” (vedi qui), dopo un periodo di silenzio, sono riemersi per colpire la “vittima”, ovvero la segretaria Elly Schlein. Evento che si ripropone non appena si concretizza qualche sconfitta o risultato insoddisfacente. Naturalmente l’insuccesso referendario sui cinque quesiti – quattro sul lavoro e uno sulla cittadinanza degli immigrati – è stata una nuova occasione per chi aveva annunciato un “no” o un “sì” a seconda del quesito, disattendendo le indicazioni del partito. Questa volta, dopo una prima incredibile esultanza – che lascia pensare che più d’uno in quell’area abbia votato come la destra –, è subentrata una calma, una forma di ordine per cercare di moderare delle posizioni che appunto assomigliavano troppo a quella della destra. Sono quelle degli eredi del renzismo, ovvero dei parassiti pronti a far morire l’essere che li nutre, come aveva cercato di fare, senza riuscirci, l’ex presidente del Consiglio con la fondazione di Italia viva.
A somministrare un po’ di bromuro a chi vede come il fumo negli occhi tutto ciò che sa di sinistra, sostenuto anche da un pezzo importante del sistema mediatico, sembra essere ora Stefano Bonaccini, che si sta ritagliando un ruolo all’interno del Pd per assumere la leadership di un’opposizione dialogante con la segretaria. Lo dimostrerebbe l’intervista rilasciata, due giorni fa, da Bonaccini al “Corriere della sera”. Lasciando probabilmente da parte gli inutili “riformisti”, troppo deboli contro una segretaria che continua a essere invece molto popolare, con il partito dato intorno al 23%, per non parlare dei successi conseguiti alle amministrative. Sempre nell’intervista rilasciata al maggiore quotidiano italiano l’uomo ha mostrato, sia pure partendo da una posizione meno conflittuale con il mondo dell’imprenditoria, una condivisione nella scelta di sostegno alla Cgil, insieme con i 5 Stelle e con l’Alleanza verdi-sinistra. “Inutile dire – ha detto il presidente – che c’erano idee anche diverse sullo strumento referendario e sul merito dei singoli quesiti, ma la scelta di stare dalla parte dei diritti era abbastanza naturale”. E prende le distanze anche dall’attacco dei “riformisti” ai referendum: “Quando si discute di diritti dei lavoratori e cittadinanza io ci sono, al di là dei limiti dei singoli quesiti e dello strumento del referendum per risolvere questi problemi”.
Proprio a conferma del clima conciliante, non ci sarà alcuna riunione della corrente fondata dall’ex renziano, Energia popolare: “Porteremo alla discussione del partito proposte e contenuti per rafforzare l’agenda del Pd in materia di lavori, professioni e imprese”. Questo scenario che si sta (forse) configurando potrebbe portare all’inaugurazione di un nuovo Pd, con un profilo chiaro e due componenti, una maggioritaria, che fa capo alla segretaria, più spostata a sinistra (vedi qui), come stiamo osservando da mesi sia sui temi nazionali sia su quelli internazionali, e un’altra più moderata che guarda con maggiore attenzione al mondo delle imprese.
Se le cose evolvessero così, il merito o una parte del merito potrebbe andare paradossalmente proprio all’appuntamento dell’8 e del 9 giugno. “Con i referendum – dice ancora Floridia – il Pd compie una tappa importante nel processo di ridefinizione del proprio profilo politico”. E anche il sociologo Marco Revelli, sulle pagine del “Fatto quotidiano”, rende merito alla sinistra e alla Cgil: “La dignità della politica consiste anche in queste battaglie”.
Non ci resta allora che aspettare l’autunno caldo delle elezioni regionali e un congresso – previsto forse a gennaio – magari di quelli veri, come si faceva una volta, e non con primarie e sciocchezze varie. Pensare che il principale partito della sinistra italiana possa così ritrovare interamente una sua “ragion d’essere” ci sembra troppo. Ma può essere un inizio. Grazie anche alla “non sconfitta” dei referendum.