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Pensioni, i nodi di una riforma difficile

Flessibilità in uscita, ammortizzatori e cassa integrazione, garanzia per i giovani: sono le questioni sul tavolo

4 Marzo 2022 Piero Masacci  796

Le pensioni cambiano. O meglio, dovrebbero cambiare in base al superamento della riforma Fornero che, com’è noto, ha alzato il tetto del pensionamento a un livello che non ha confronti in Europa, penalizzando soprattutto i giovani e le donne. Governo e sindacati stanno discutendo i termini di questa riforma, che si pone come obiettivo di cambiare completamente il quadro di riferimento della previdenza pubblica. Usiamo il condizionale, perché il negoziato tra le parti – che sembrava già avviato verso il traguardo – ha subito ritardi dovuti alla modificazione repentina dello scenario politico, condizionato prima dalla pandemia e ora dall’emergenza della guerra in Ucraina.

In ogni caso, la trattativa procede e cominciano a filtrare le prime notizie ufficiose sulle intenzioni del ministro del Lavoro, Andrea Orlando, e degli altri ministri competenti del governo Draghi, dopo vari incontri “tecnici” tra le parti. Uno degli scogli, forse il più grosso, è proprio quello dell’uscita dal mercato del lavoro. Le ipotesi sul tavolo del governo riguardano, infatti, la libertà di scelta del lavoratore. Si potrebbe (scusate ancora il condizionale) decidere autonomamente l’età della messa a riposo, ma chi vorrà uscire dal mondo del lavoro prima dei 67 anni riceverà un assegno più basso. Viceversa, chi ritarderà l’uscita potrà decidere liberamente l’età della pensione. Ferma restando l’età “legale” (oggi 67 anni), il lavoratore potrà anticipare o posticipare il suo addio al lavoro, sapendo di ricevere un assegno di importo più basso (primo caso) o più alto (secondo caso). È la cosiddetta “flessibilità nell’uscita dal mercato del lavoro”, che compare tra gli obiettivi strategici voluti dal ministro del Lavoro per il 2022. Nel pacchetto del ministero di via Veneto c’è anche la riforma degli ammortizzatori, affiancata a nuove “politiche attive” per più occupazione e sicurezza; a tal fine istituendo due nuove “direzioni”: per la sicurezza e per le politiche attive. Tra gli obiettivi che dovranno confluire nella prossima legge di Bilancio, c’è anche la riforma della cassa integrazione.

Per quanto riguarda le pensioni, la direttiva del ministro Orlando prevede un “intervento sul sistema pensionistico, attraverso il dialogo e il confronto con le parti sociali, volto a garantire un sistema equo e flessibile nell’uscita dal mercato del lavoro”. Un sistema “equo” e “flessibile” di pensionamento è quello che, a partire da un’età “legale” consente di anticipare o posticipare l’effettiva età di pensionamento (“flessibilità”), agendo sul calcolo della pensione: cala se si anticipa e cresce se si posticipa, rispetto all’età “legale” (“equità”). Già oggi, il sistema funziona in questi termini, ma al solo fine di preservare i conti pubblici. Quindi, con zero duttilità per i lavoratori. I quali possono anticipare di tre anni la pensione (64 anni) solo se hanno maturato un assegno mensile di almeno 2,8 volte l’assegno sociale, cioè circa 1.300 euro. In senso contrario, però, se a 67 anni non hanno maturato una pensione almeno pari a 1,5 volte l’assegno sociale (circa 700 euro mensili), non possono mettersi in pensione, e devono continuare a lavorare finché non maturano quell’importo minimo di pensione, comunque non oltre i 71 anni d’età.

Per quanto riguarda la cosiddetta “speranza di vita”, dalle anticipazioni di questi giorni si è capito che verrà congelata fino al 2026. La nota di aggiornamento delle tendenze di medio-lungo periodo elaborate dalla Ragioneria generale dello Stato, rivela infatti che i requisiti per accedere alla pensione non dovrebbero subire incrementi neanche nel biennio 2025-2026, mentre nella versione precedente delle tabelle era stato previsto un incremento di tre mesi. Un aggiornamento che ha conseguenze immediate sui piani di esodi aziendali per i lavoratori vicini alla pensione, realizzati tramite isopensione, contratto di espansione o assegno straordinario dei fondi bilaterali.

La legge 122/2010 stabilisce infatti che, a cadenza biennale, tutti gli ingressi a pensione possono subire un incremento, fino a un massimo di tre mesi, sulla base del monitoraggio della variazione della speranza di vita in Italia. La circolare Inps 28/2022, del 18 febbraio, ha recepito i risultati del decreto del ministero dell’Economia e delle Finanze del 27 ottobre 2021, il quale ha ufficialmente stabilito che, nel biennio 2023-24, gli ingressi a pensione non subiranno alcun incremento nei requisiti anagrafici o contributivi. Quindi, per la pensione di vecchiaia, fino al 2024, serviranno 67 anni di età per entrambi i sessi, mentre, per l’anticipata, i requisiti sono congelati fino al 2026 per effetto del decreto legge 4/2019.

Tornando alla trattativa tra governo e sindacati, prima dell’avvio della fase conclusiva politica (era previsto anche un incontro con la partecipazione del presidente Mario Draghi, per ora non confermato), i tecnici del ministro e quelli dei sindacati dovranno trovare la quadra di alcune questioni rimaste per ora in sospeso.Tra queste, si discute nei dettagli quella che dovrebbe essere una novità, la pensione di garanzia dei giovani. Il problema è evidente ed esplosivo. Ci sono migliaia di giovani che oggi lavorano in condizioni precarie e con retribuzioni che non permettono il versamento regolare dei contributi per la costruzione della pensione futura. I sindacati hanno dunque avanzato la proposta di istituire una pensione contributiva di garanzia, che permetta in futuro di determinare pensioni decenti anche per i giovani di oggi.

I nodi da sciogliere riguardano, comunque, il sistema di finanziamento di queste pensioni che non dovrebbero assomigliare alle attuali pensioni minime sociali. I sindacati insistono per valorizzare l’aspetto “contributivo”, ovvero la creazione di pensioni costruite nel corso degli anni di attività dai lavoratori, e integrate con un assegno ricavato magari dalla fiscalità generale. Sul tavolo ci sono però anche altre ipotesi elaborate dai tecnici del ministro del Lavoro. Una di queste, prevede uno schema ibrido tra previdenza e assistenza. Vedremo tra pochi giorni, forse già dalla prossima settimana, gli sviluppi di questo confronto.

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